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Al Hayya e la lotta delle donne nel mondo arabo.
La scena editoriale indipendente dell'area MENA ha una lunga eredità legata alle lotte politiche e rivoluzionarie che nei decenni hanno modellato le proprie comunità e società. Tra i bollettini, i ciclostilati, i comunicati e le riviste pubblicate dalla seconda metà del novecento in poi, sono passate alcune delle voci più libere e coraggiose del mondo arabo. Basti pensare all'esperienza editoriale di Al Hafad, rivista edita dal grande scrittore palestinese Ghassan Kanafani dal 1969 sino al 1972, anno delle sua morte, oppure all'esperienza di Presénce des femmes, rivista femminista algerina che ha dato voce ad artiste e attiviste a testimoniare il periodo di proteste popolari del 1988 in Algeria. Oggi, in un contesto politico regionale che continua a essere estremamente complesso e turbolento, i collettivi editoriali indipendenti perseverano nel loro tentativo di decodificare le società arabe attraverso una produzione che spazia tra media digitali e cartacei, e tramite sperimentazioni linguistiche e visuali.
Sulla scia di questa profonda tradizione editoriale, riviste come la pan-araba Discontent, fondata da Iain Ackerman, giornalista britannico residente in Medio Oriente, o Tok Tok, rivista quadrimestrale a fumetti egiziana, la cui pubblicazione è terminata nel 2020, l'editoria indipendente araba mostra ancora oggi vitalità. Beirut, la capitale del Libano, seppur martoriata da una soffocante crisi economica e politica, è sicuramente una delle città della regione più vitali dal punto di vista artistico ed editoriale. Ed è proprio un collettivo di donne di Beirut a riuscire in uno dei progetti editoriali più interessanti degli ultimi tempi: Al Hayya, rivista biannuale dedicata – come recita il sottotitolo – “alla creazione e alla pubblicazione di contenuti sulle donne e intorno alle donne”, della quale il secondo numero è uscito lo scorso ottobre. Il primo numero ha accolto articoli, visual essays e interviste ad alcune delle protagoniste dell'attivismo arabo come Soha Bechara e ad artiste come Etel Adnan. Il collettivo è composto da graphic designers, attiviste e fotografe, tra le quali spicca Myriam Boulos, fotografa della Magnum e che ha curato le copertine dei due numeri usciti finora.
In questa intervista, parleremo del progetto con parte del collettivo editoriale: Maya Moumne, editor in chief e già fondatrice di Safar Journal, Yasmine Rifaii, creative director e membro dell'ong Heaven for Artist, e Sally Chamas editorial director e attivista.
Pierluigi Bizzini - Come nasce l'esperienza di Al Hayya?
Yasmine Rifaii - Al Hayya nasce nel 2020 da un incontro avvenuto con Maya. La scena artistica di Beirut è parecchio concentrata, e per via dei nostri interessi comuni e delle reciproche conoscenze, il nostro incontro sarebbe stato inevitabile. È stata lei la prima a confidarmi del suo desiderio di realizzare un magazine femminista. A mio parere, c'è una grave mancanza di produzioni editoriali del genere nella regione. Per questo motivo mi è stato naturale sposare l'idea di Maya.
Maya Moumne - Mi sono resa conto che non esistevano magazine o piattaforme femministe in cui sentirmi pienamente rappresentata. Ho cominciato dunque a ragionare sulla produzione di una rivista in grado di saper cogliere il femminismo con approcci e sguardi differenti.
Yasmine Rifaii - Ciò che ci proponiamo di fare rispetto a quel poco che già esiste nel nostro panorama editoriale, è creare un prodotto che accompagni le donne nel loro quotidiano, che possa soddisfare la loro sete collettiva rispetto alle tematiche femministe attraverso un linguaggio vasto e sperimentale ma non perciò esclusivo. Qualcosa di non necessariamente leggero ma comunque accessibile, non so se mi spiego. Questo è ciò che Al Hayya sta cercando di fare.
Pierluigi Bizzini - Cosa vi ha spinto a puntare sul cartaceo?
Maya Moumne - Ci sono diverse ragioni. La più ovvia forse, è che l'esperienza di possedere un magazine, ovvero un oggetto che occupa uno spazio fisico nelle case, nelle metro, nelle strade, nelle librerie, è simbolo di ciò che dovrebbe essere il femminismo oggi: una pratica in grado di occupare e vivere letteralmente i luoghi e i corpi che abitiamo. E mi fa piacere pensare che Al Hayya possa vivere per sempre nelle case delle persone attraverso le sue testimonianze, i suoi racconti e le sue rappresentazioni visuali.
Yasmine Rifaii - C'è inoltre qualcosa in più nel cartaceo, ovvero che riesce in un qualche modo a convocarti. Non ti invade come fa il digitale, bensì ti invita e allo stesso tempo ti sfida stimolando la tua concentrazione, la tua volontà nel voler sfogliare le pagine, nel voler posare gli occhi sulla rivista. Inoltre, leggere sul cartaceo ti guida in una dimensione solitaria e contemplativa: leggi e dedichi il tuo tempo alle storie delle donne raccontate tra le pagine, sviluppi un tuo tempo intimo che ti permette di immedesimarti nelle loro vite. La sfera digitale è invece troppo cacofonica, il tuo focus si distacca… Se il magazine centra il suo obiettivo, allora riuscirà a instaurare una relazione durevole con il lettore e le lettrici.
Pierluigi Bizzini - Il tema del primo numero è Agency. Quali sono state le ragioni di questa scelta?
Yasmine Rifaii - Rispetto al nostro essere donne in un contesto politico così opprimente, l'agentività si rivela essere un concetto fondamentale da comprendere e assimilare. È necessario che le donne riprendano il controllo della propria narrazione, una narrazione che di certo ci è sfuggita di mano nel corso degli ultimi anni. Quando abbiamo iniziato a lavorare al magazine, il Libano ha attraversato delle fasi molto complesse e traumatiche: le proteste del 2019, il Covid, l'esplosione al porto nell'agosto del 2020. Quest'ultimo evento ci ha lasciato sgomenti. Beirut era ammantata da un'aria di sconfitta e di perdita. Migliaia di giovani hanno lasciato la città, sfaldandone il tessuto connettivo urbano e umano. È come se la città avesse smesso di funzionare e di conseguenza, anche noi come collettività, abbiamo smesso di funzionare con essa. Maya, per esempio, è andata via, si è sentita cacciata. Ci siamo chieste allora come reagire, cosa fosse giusto fare. Bisognava creare, ricostrure il proprio potere da zero. Al Hayya è stato il primo passo per ritrovare un'agentività perduta, un atto di cura e di controllo. Le donne subiscono quotidianamente ogni forma di violenza. È dunque tempo di resistere, di partecipare al dibattito con tutte le energie che abbiamo. Questa è il nostro significato di Agency.
Sally Chamas - Aggiungo inoltre che spesso diamo per scontato di possedere un corpo che agisce in uno spazio sociale e politico. Quando però le condizioni non sussistono più, quando si subisce l'oppressione, l'agentività è la prima caratteristica a venire meno. Bisogna mantenere la guardia alta, lottare affinché la nostra individualità non venga schiacciata.
Pierluigi Bizzini - Come funziona il processo editoriale e la selezione dei contributi?
Maya Moumne - Uno degli aspetti più interessanti nel sviluppare Al Hayya è stato il mettersi in contatto con le autrici e scoprire di più su certe tematiche o storie a noi sconosciute. A un livello più personale – e credo di poter parlare per ognuna di noi della redazione – il processo di lavorazione è stato liberatorio. Come già detto, imbastire un progetto editoriale guidato interamente da donne, ci ha permesso di riscoprici. Incontrare le donne protagoniste delle loro storie, lavorarci, discuterne tra di noi, tutto ciò ci ha donato un sentimento di pura libertà.
Yasmine Rifaii - Al Hayya nasce in Libano ma si apre all'intera regione e così anche al mondo intero. Il mondo arabo non è ristretto nello spazio geografico, né nella cultura né nella storia. Parte da qui, dalle nostre esperienze personali, dal nostro attivismo, dal nostro essere cittadine, dalla nostra pratica artistica per poi sconfinare ogni frontiera. Si è creato nel tempo un gruppo diversificato, una rete variegata di persone che attraverso i loro contributi hanno reso quel che è oggi Al Hayya. I nostri primi passi sono stati sommessi ma le donne coinvolte nel progetto hanno portato con sé molto entusiasmo che si è infine riversato sulle pagine del magazine.
PB - Qual è stata la ricezione da parte dei lettori e delle lettrici in Libano e all'estero?
Yasmine Rifaii - Finora la ricezione è stata molto positiva. Ci siamo rese conto che l'audience è abbastanza diversificata: persone interessate al femminismo, curiosi che conoscono poco o nulla del mondo arabo, accademici, attivisti, artisti, … Per ora si tratta di un pubblico prevalentemente internazionale, ma sono convinta che per la regione si prospettano tempi eccitanti e interessanti. Lo vediamo per esempio dai commenti e dalle storie personali che riceviamo attraverso i social. C'è molto entusiasmo e presa di consapevolezza da parte delle donne arabe. C'è voglia di cambiare. Ed è nostra responsabilità guidarle.
PB - Quale sarà il futuro di Al Hayya? Si espanderà anche nel digitale?
Maya Moumne - C'è molto entusiasmo tra noi della redazione e ogni giorno ci vengono in mente nuove idee per i numeri che verranno. Stiamo lavorando a una sezione digitale del magazine che sarà completamente differente rispetto alla produzione cartacea. La sezione digitale si porrà come obiettivo di raccontare storie più situate nel tempo, per esempio attraverso report, testimonianze di violenze, bollettini, racconti più personali, …
PB: Infine, qual è il significato dietro alla parola Al Hayya?
Yasmine Rifaii - È una parola che viene usata quando si vuole indicare una donna come furba, che sa cavarsela nel quotidiano. Inoltre, Al Hayya signifca vita. Per noi questa parola assume un grande significato, in quanto la nostra è una rivista che prende vita nelle librerie, che prova a ristabilire un contatto e a rivitalizzare delle comunità frammentate: una rivista che è in grado di farsi strada da sola.
è editor in chief di Al Hayya. È fondatrice dell'agenzia di design Studio Safar e della rivista di cultura visuale araba Safar Journal.
è creative director di Al Hayya. Lavora nella scena culturale e artistica di Beirut ed è membro dell'ONG libanese Heaven for Artists.