Saremo mai a posto con la coscienza? - Singola | Storie di scenari e orizzonti
Esemplare maschile di Ectopsocus Briggsi
Esemplare maschile di Ectopsocus Briggsi | Copyright: Marti Cooper / Flickr

Saremo mai a posto con la coscienza?

Un nuovo saggio pubblicato da Adelphi indaga il rapporto tra cervello animale e coscienza. Un dibattito che va al di là dell'etologia e interessa l'AI e la singolarità.

Esemplare maschile di Ectopsocus Briggsi | Copyright: Marti Cooper / Flickr
Intervista a Giorgio Vallortigara
di Dario De Marco
Giorgio Vallortigara

è professore di Neuroscienze presso il Centre for Mind-Brain Science dell'Università di Trento, di cui è stato anche direttore per vari anni Adjunct Professor presso la School of Biological, Biomedical and Molecular Sciences dell'Università del New England, in Australia. È autore di più di 300 articoli scientifici su riviste internazionali.

Dario De Marco

(1975) è stato redattore del mensile Giudizio Universale e editor di Esquire. Scrive di letteratura e cibo per CheFare, Dissapore, Esquire, L’Indiscreto, L'Integrale, La Ricerca. Ha pubblicato il romanzo Non siamo mai abbastanza (66thand2nd) e la non fiction Mia figlia spiegata a mia figlia (LiberAria). Nel 2021 è uscito il libro di racconti Storie che si biforcano (Wojtek).

La coscienza è un tema affascinante e complesso: più lo studiamo, meno ci rendiamo conto di saperne. Meno ne sappiamo, più ci rendiamo conto di aver bisogno di capire. Che cos’è, precisamente? Non siamo sicuri neanche di poterla definire. Da cosa si origina, e perché? Altro mistero. Dove si trova: cervello, mente, anima? Ce l’abbiamo solo noi umani - e tutti gli umani, o no? Anche gli animali, e tutti o solo quelli “superiori”? E se poi l’intelligenza artificiale diventasse generale, bucasse il muro della singolarità, dovremmo attribuirla anche alle macchine? Infine, forse: la coscienza, oppure le coscienze? 

Si tratta di uno dei temi su cui si stanno misurando le più grandi menti degli ultimi anni, e che coinvolge una serie di discipline apparentemente distanti: etologia ed etica, filosofia e diritto, tecnologia e neuroscienze, psicologia e religione. Non è solo questione teorica, pura speculazione per chi vedendo troppe serie di fantascienza sogna più androidi che pecore. Ha implicazioni politiche, morali, pratiche: riguardo ad alcuni tipi di pazienti neurologici; relativamente allo sfruttamento degli animali a fini alimentari; sulla possibilità di riconoscere diritti ai robot. In un momento in cui l’apocalisse climatica sembra inevitabile, e in cui l’unico modo per salvarsi - o almeno per andarsene con maggiore consapevolezza e meno rabbia - pare quello di avere un sguardo che abbracci tutto il vivente, tutto l’esistente, si capisce che il tema è centrale.
Dare un posto alla coscienza significherebbe mettersi a posto con la coscienza. Forse. 

Un contributo intrigante arriva da Giorgio Vallortigara, professore di Neuroscienze al Center for Mind/Brain Sciences dell’Università di Trento, e da anni autore di libri divulgativi che non cedono mai spazio alla banalizzazione (da Cervelli di gallina a Piccoli equivoci tra noi animali. Siamo sicuri di capirci con le altre specie?). Ora è uscito Pensieri della mosca con la testa storta, per Animalia, la collana di Adelphi inaugurata dal meraviglioso Al di là delle parole di Carl Safina, e che ha ospitato incursioni nella mente del polpo come in quella del corvo. Il libro parte dai cervelli minuscoli degli insetti, così diversi dal nostro eppure così funzionali, per arrivare a ipotesi generali sulla coscienza, ipotesi che nella loro semplicità sembrano inevitabili. Scopo di questa intervista non è riassumerlo o spiegarlo - leggetelo, è intenso ma breve - bensì parlare di una serie di argomenti connessi, che Vallortigara sfiora o implica.

Dario De Marco - Il primo luogo comune che lei smonta nel libro è quello sulle dimensioni del cervello: la differenza tra alcune specie e altre sarebbe meramente quantitativa e non qualitativa. Insomma, parafrasando una vecchia pubblicità, potremmo dire che per avere una coscienza non c’è bisogno di un cervello grande, ma di un grande cervello?

Giorgio Vallortigara - C’è questa idea che il possesso della coscienza sia testimoniato dalla presenza di capacità mentali sofisticate (ragionare, decidere, risolvere problemi…). Penso sia un’idea sbagliata. In primo luogo, abbiamo imparato che capacità mentali sofisticate possono essere esibite in assenza di consapevolezza; anzi, in un certo senso un’acquisizione fondamentale delle moderne neuroscienze è stata proprio la rivalutazione dell’inconscio (l’inconscio cognitivo, non quello delle pulsioni di cui parlava Freud). La gran parte della nostra vita mentale è inconsapevole: possiamo fare calcoli, riconoscere volti, condurre inferenze… tutto senza consapevolezza. Inoltre, è diventato chiaro che le operazioni elementari, basiche, del pensiero possono essere condotte da reti di neuroni alquanto modeste. Categorizzare, riconoscere volti, fare l’aritmetica sono tutte cose accessibili al cervello di un’ape che ha meno di un milione di neuroni. La coscienza, d’altro canto, è una cosa del tutto diversa da ragionare, pensare, decidere, prestare attenzione o risolvere problemi. La coscienza è avere esperienze, sentire qualcosa, provare qualcosa. Non sorprendentemente siamo propensi ad attribuirla anche a chi soffra di gravi deficit cognitivi. La coscienza deve avere richiesto, secondo me, circuiti nervosi specifici e dedicati, che non implicano necessariamente un grande numero di neuroni. 


DDM - La cosa che invece mi sembra evidentemente necessaria, è la presenza di un corpo. Lei spiega benissimo la nascita di sensazioni e percezioni come necessità legate al movimento, nelle forme di vita primordiali. La necessità, legata alla sopravvivenza, di distinguere il sé dall’altro da sé. Insomma può sembrare paradossale ma non lo è, per aversi mente ci deve essere corpo. Questo è quello che - a mio non tecnico parere - è sempre mancato ai teorici dell’intelligenza artificiale generale: il punto non è se la base sia il carbonio o il silicio, il punto è che (secondo me) una AI non sarà mai cosciente se non attraverso un corpo. Che ne pensa?

GV - Sono assolutamente d’accordo. D’altra parte l’equivoco deriva dal rendere sostanza quello che in realtà è un processo. Non esiste una cosa come la mente, la mente è un processo: l’insieme delle attività fisico-chimiche del sistema nervoso. 

L’altro equivoco è quello di credere che il cervello si sia evoluto per consentirci di pensare. In realtà il sistema nervoso si è evoluto per il movimento, e semmai si potrebbe sostenere (come faceva il famoso neurologo Hughlings Jackson) che il pensiero è un tipo particolare di atto motorio, di azione. 

Scan cerebrale, Southern Illinois University, 2007

Scan cerebrale, Southern Illinois University, 2007 | Matthew Purdy / Flickr


DDM -
E le piante? Si chiede lei a un certo punto. È una ricerca molto affascinante, quella per esempio di Stefano Mancuso, anche se è una strada che è arduo percorrere. Ma se uno volesse rilanciare, potrebbe dire: e il resto della materia? Che cosa pensa lei del panpsichismo, tonato alla ribalta con il libro Galileo’s Error: Foundations for a New Science of Consciousness di Philip Goff, filosofo e ricercatore sulla coscienza (ho letto tra le altre cose questa intervista)?

GV - Credo che sia improbabile una coscienza nelle piante. Proprio per le ragioni di cui parlavo sopra: riuscite a immaginare nulla di più inutile (e crudele) di dotare per esempio di sensibilità al dolore un organismo sessile, che non ha modo di allontanarsi dalla fonte del dolore, da uno stimolo nocivo? È indubbio che le piante mostrino comportamenti sofisticati, che percepiscano e comunichino. Ci sono dubbi seri, tuttavia, sul fatto che posseggano le forme più elementari di apprendimento associativo, come ad esempio il condizionamento pavloviano. Dopo uno studio iniziale che aveva sollevato un certo entusiasmo al riguardo, una ricerca pubblicata quest’anno ha mostrato che i risultati non si replicano. Al momento non c’è prova convincente che le piante possano apprendere la più semplice forma di condizionamento associativo. 
L’ipotesi del panpsichismo, poi, la trovo assurda. Fa il paio con l’idea che ci possano essere gradi di coscienza. Qui secondo me si fa confusione tra i contenuti di coscienza e il fatto di avere coscienza. O provi qualcosa oppure no. Io credo che si provi qualcosa a essere un verme, ma penso anche che i contenuti qualitativi dell’esperienza di essere verme siano probabilmente incommensurabili alla nostra esperienza (notare: incommensurabili, non peggiori o migliori, non più o meno sofisticati, non più o meno primitivi: le esperienze le hai o non le hai, e le creature che hanno esperienze ma che hanno sistemi nervosi molto diversi avranno esperienze con contenuti qualitativi molto diversi).

Lithops dissezionato

Lithops dissezionato | Yellocloud / Flickr


DDM -
Quello della coscienza, della sua definizione e del suo sorgere, è stato definito “il problema difficile”. Uno dei corollari possibili è questo: come è possibile che una cosa discreta (la coscienza) nasca da un continuum (quello delle forme di vita sempre più complesse)? Ma io mi chiedo: non è questa forse una petizione di principio? Cioè, stiamo dando per scontato che la coscienza sia una, sempre uguale e ben definita. Se fosse anch’essa, anzi se fossero anche esse, rilevabili solo ed esclusivamente in un continuum?

GV - I contenuti dell’esperienza dipendono da come un organismo è costruito e da quale sia stata la sua storia. Le esperienze di un neonato saranno diverse quanto a contenuti da quelle di un adulto. Ma il discrimine, secondo me, è tra avere esperienze (di qualche tipo) e non averle. Non c’è nulla di magico in questo: riconosciamo facilmente anche nella nostra vita quotidiana circostanze in cui i nostri comportamenti sono accompagnati da un’esperienza cosciente da quelli in cui invece non lo sono. Si pensi ad esempio a quando si guida l’auto in maniera del tutto automatica pensando a altro, o a come dopo aver toccato qualcosa che scotta il movimento di ritrazione della mano possa precedere l’esperienza di sentire dolore, che viene soltanto dopo. Nella clinica neurologica la dissociazione tra comportamenti coscienti e non, è particolarmente chiara. I pazienti affetti da “visione cieca”, ad esempio, a seguito di lesioni localizzate a certe aree della corteccia visiva sono ciechi dal punto di vista dell’esperienza fenomenica, ma possono rispondere in maniera appropriata agli stimoli, ad esempio camminando lungo un percorso senza urtare gli ostacoli e allo stesso tempo negando di aver coscientemente veduto alcunché. Nel libro formulo un’ipotesi specifica su quando e perché ad un certo momento si è reso necessario per gli organismi che la risposta a uno stimolo fosse qualcosa che “si sente” e non solamente una reazione comportamentale appropriata allo stimolo. 

DDM - Sì, è l’ipotesi legata al movimento: mi sembra talmente sensata che trovo assurdo non sia universalmente riconosciuta. C’è invece una domanda enorme, non formulata nel suo libro (e giustamente, perché altrimenti sarebbe stato un altro libro), ma che il suo libro induce a farsi, relativa al nostro rapporto con gli animali. Dopo tutto quello che stiamo scoprendo, o riscoprendo, sugli esseri coscienti, o esseri senzienti, che condividono con noi umani questo pianeta, possiamo ancora mangiarli? Qual è il suo punto di vista sul vegetarianismo etico, e qual è (se vuole parlarne) il suo personale atteggiamento rispetto al consumo di prodotti animali?

GV - Non ho alcuna difficoltà con il consumo di prodotti animali. Penso che il nostro rapporto con gli altri animali sia complicato, fatto di livelli di grigio e non una questione di bianco o nero. Noi li amiamo e li mangiamo, li proteggiamo e li sfruttiamo, li curiamo e li utilizziamo. Dobbiamo fare tutto ciò che è necessario per ridurre, nella misura in cui sia possibile, ogni forma di sofferenza fisica e psicologica negli altri animali. Ma, nello stesso tempo, trovo sensato che li usiamo per nutrirci o che li impieghiamo per la ricerca scientifica (la quale, per inciso, consente di combattere e di curare le malattie di tutti gli animali, umani e non umani).

Hai letto:  Saremo mai a posto con la coscienza?
2021
Pensiero
Giorgio Vallortigara

è professore di Neuroscienze presso il Centre for Mind-Brain Science dell'Università di Trento, di cui è stato anche direttore per vari anni Adjunct Professor presso la School of Biological, Biomedical and Molecular Sciences dell'Università del New England, in Australia. È autore di più di 300 articoli scientifici su riviste internazionali.

Dario De Marco

(1975) è stato redattore del mensile Giudizio Universale e editor di Esquire. Scrive di letteratura e cibo per CheFare, Dissapore, Esquire, L’Indiscreto, L'Integrale, La Ricerca. Ha pubblicato il romanzo Non siamo mai abbastanza (66thand2nd) e la non fiction Mia figlia spiegata a mia figlia (LiberAria). Nel 2021 è uscito il libro di racconti Storie che si biforcano (Wojtek).

Pubblicato:
24-05-2021
Ultima modifica:
03-06-2021
;