Il dominio dei cosiddetti Big Tech ha fatto tramontare da tempo la tecnoutopia di una Rete costruita dalle comunità a beneficio delle comunità. Gli inscalfibili monopoli di Alphabet, Meta, Amazon, Apple e Microsoft hanno fatto dei nostri dati “il petrolio dell’era digitale” costruendo una nuova architettura delle relazioni sociali capace di monetizzare le attività individuali delle persone e le loro interazioni con gli altri. Il capitale prima e la politica poi hanno saputo adattarsi a una società transitata molto rapidamente da un contesto di scarsità di informazioni a uno di overload informativo. L’apparente gratuità di buona parte dei servizi del capitalismo di piattaforma è stata pagata dalle persone con i loro dati e anche i servizi a pagamento hanno saputo estrarre valore dall’elaborazione dei comportamenti della propria clientela.
A tre decenni dallo sviluppo del World Wide Web, l’estrazione di dati da parte delle piattaforme digitali sta diventando - come hanno spiegato Nick Couldry e Ulises Mejias alla recente Biennale Tecnologia svoltasi a Torino – una nuova forma di colonizzazione con numerosi punti di contatto con le logiche predatorie messe in atto dagli Europei a partire dalla seconda metà del XV secolo.
“Che lo si chiami capitalismo digitale, dei dati, di piattaforma o della sorveglianza, l’attuale forma dell’economia digitale che gestisce i nostri dati è un potere di estrazione o accaparramento che le multinazionali non potevano nemmeno immaginare fino alla fine degli anni Novanta” ha esordito Couldry. “Quando parliamo di colonizzazione dei dati non ci stiamo esprimendo solamente a un livello metaforico, ma sottolineiamo come alcune dinamiche preparino una nuova forma di capitalismo. È quello che è avvenuto a partire dal Cinquecento, quando le miniere e le piantagioni del Sud America hanno alimentato la ricchezza delle industrie europee. Oggi l’estrazione dei dati delle persone, prepara un nuovo paradigma delle produzione capitalistica” ha aggiunto Mejias, coautore insieme a Couldry de Il prezzo della connessione, pubblicato in Italia da Il Mulino.
Quali sono stati i due fattori che hanno consentito la colonizzazione nell’età moderna? L’abbondanza di risorse naturali abbondanti e appropriabili e una manodopera a basso costo (nella logica dei colonizzatori alcune razze erano predisposte a svolgere determinati lavori a favore dell’umanità). Che cosa favorisce, oggi, la colonizzazione di chi utilizza il Web? L’abbondanza di dati che una manodopera non remunerata fornisce grezzi ad aziende che sanno come raffinarli per alimentare i propri interessi. Gli ambiti in cui avviene questa estrazione sono molteplici, dai social ai motori di ricerca, dalla gig economy alla logistica, dalla sorveglianza agli internal corporate data.
La colonizzazione dei dati ha altri punti in comune con quella tradizionale: innanzitutto genera un ordine sociale in cui si rafforzano le diseguaglianze di genere, razza e classe, secondariamente propone un’unica visione del mondo di stampo razionalista e, infine, produce gravi costi ambientali (a causa delle emissioni prodotte dai server ma anche della produzione di device che il mercato si premura di rendere periodicamente obsolescenti).
Un nuovo Requerimiento
La comparazione più suggestiva fra la colonizzazione tradizionale e quella dei dati è quella che Couldry e Mejias compiono confrontando fra il Requerimiento dei conquistadores e i termini di servizio di Google Chrome. Nel 1512 la necessità di regolamentare la conquista del Nuovo Mondo produsse le Leggi di Burgos e, fra queste, il Requerimiento scritto dal giurista regio Juan López de Palacios Rubios. A partire da quel momento, i conquistadores entrando nei villaggi e nelle città del Nuovo Mondo iniziarono a leggere questa dichiarazione di sovranità nei confronti delle popolazioni assoggettate dalle loro milizie. Le 893 parole del documento venivano lette in spagnolo a popolazioni che non erano in grado di comprenderle e, previa l’ingiunzione di assoggettarsi al governo e alla religione dei conquistatori, si concludevano con l’elenco delle conseguenze nel caso di comportamento inadempiente:
“Ma se voi non farete ciò, o in ciò voi interporrete maliziosamente delle dilazioni, vi faccio sapere che con l’aiuto di Dio noi interverremo potentemente contro di voi, e vi faremo guerra da tutte le parti e i modi che potremo, e vi assoggetteremo al giogo e all’obbedienza della Chiesa e delle Loro Maestà, e prenderemo le vostre persone, e le vostre mogli e i vostri figli e li faremo schiavi, e come tali li venderemo e disporremo di loro come le Loro Maestà comanderanno, e vi prenderemo i vostri beni, e vi faremo tutti i mali e i danni che potremo”.
Il campo delle concessioni fatte al browser di Google non è così ampio da includere la vendita di consorti e prole, ma Couldry e Mejias fanno notare quanto alcuni passaggi dei termini di servizio che accettiamo senza leggere contengano autorizzazioni che sono vere e proprie rinunce a nostri diritti:
“Concedi a Google una licenza perpetua, irrevocabile, mondiale, esente da royalty e non esclusiva per riprodurre, adattare, modificare, tradurre, pubblicare, eseguire pubblicamente, visualizzare pubblicamente e distribuire i Contenuti che invii, pubblichi o visualizzi su o tramite i suoi Servizi”.
Cosa bisogna fare per decolonizzare i dati? “Innanzitutto occorre rendersi conto che si tratta di un problema multiforme che amalgama 500 anni di ingiustizie, poi bisogna che i processi dei dati siano radicati in processi sociali corretti, accurati e trasparenti. La raccolta, l’elaborazione, l’applicazione e i processi decisionali legati ai dati devono essere messi in discussione, l’educazione dei programmatori deve rispondere a nuove modalità di consenso, partecipazione e inclusione. Tutto ciò deve condurre a un rifiuto dell’universalità della raccolta e dell’estrazione dei dati, questa sorta di mandato divino con cui le aziende sono le uniche e legittime proprietarie dei dati che raccolgono su di noi” ha aggiunto Mejias.
Secondo i due autori è fondamentale imparare dalle lotte di decolonizzazione passate e presenti, dalle esperienze di resistenza al colonialismo: “Dobbiamo imparare da loro a riappropriarci delle tecnologie, a creare nuove forme di conoscenza e a costruire nuove forme di solidarietà utilizzando un’arma molto potente, quella dell’immaginazione. Dobbiamo fare un esercizio di creatività immaginando collettivamente che aspetto possa avere la disconnessione e come possano apparire nuove forme di connessione”.
Una svolta epocale
Come il Welfare State può resistere all’attacco degli interessi privati fortificati dall’analisi dei dati? Philipp Rehm, professore di Scienze Politiche alla Ohio State University, è intervenuto alla Biennale Tecnologia per spiegare quale minaccia i Big Data rappresentino per la solidarietà sociale. Il punto di partenza della sua riflessione è stata la svolta epocale da una società con un’informazione scarsa e asimmetrica, preferenze comuni e assenza di mercati a un contesto sociale con un’abbondanza di informazione maggiormente simmetrica, preferenze polarizzate e mercati diffusi. Per capire come questa trasformazione sociale resa possibile dall’estrazione e dall’elaborazione dei dati metta in crisi i pilastri dello Stato Sociale, Rehm è partito dalle assicurazioni automobilistiche.
In passato le informazioni sul comportamento dell’automobilista erano scarse e il modo in cui conduceva il proprio mezzo non era osservabile, quindi i premi assicurativi si basavano sul tipo di automobile, sull’età, il genere, la residenza e la storia pregressa del conducente. Oggi, grazie a strumenti di monitoraggio come la scatola nera, si può sapere qual era la velocità al momento di un incidente, quanti chilometri il conducente copre nel corso dell’anno e se ci sono periodi in cui non utilizza il proprio autoveicolo. Ciò che ne consegue è un ritratto piuttosto fedele del cliente, quindi un premio assicurativo personalizzato, non condizionato dall’insieme dei comportamenti delle persone con cui condivide età, genere o residenza. Se proviamo a trasferire questo meccanismo di estrazione ed elaborazione dei dati nel settore pubblico è facile comprendere quali possano essere i rischi per il Welfare State.
“Dal 2014 i medici e il personale sanitario degli Stati Uniti sono obbligati a scrivere le cartelle sanitarie su supporti digitali. Queste informazioni vengono raccolte e archiviate e sono diventate preziosissime per le imprese che operano nel settore delle assicurazioni sanitarie. Ma le fonti di informazione per chi opera in questi settori sono diventate innumerevoli, dai social network alle carte di credito, dal registro delle violazioni del codice della strada alle app per monitorare l’attività sportiva” ha spiegato Rehm citando come esempio il claim di una campagna della Health IQ: “Hai più di 40 anni e corri 1 miglio in 9 minuti?” La risposta alla domanda è “puoi risparmiare denaro sull’assicurazione sulla vita”. Agli operatori del settore assicurativo interessano soggetti sani, con basse probabilità di morte prematura: vegetariani, runner e ciclisti sono le categorie più attraenti.
La possibilità di sapere con una maggiore precisione chi costerà poco e chi costerà tanto in termini di cure mediche è estremamente deleteria per i principi di solidarietà su cui si è sempre retto lo Stato Sociale. La scarsità di informazioni produceva un sistema incerto in cui tutti pagavano le tasse per sostenere servizi di cui tutti si giovavano. Il controllo dei dati consente oggi alle imprese private di spostare sul mercato ciò che in passato ricadeva sotto il Welfare. L’effetto sulla politica è evidente, i partiti di sinistra rappresentanti delle persone con i maggiori rischi dovranno agire su tre livelli se vorranno difendere il Welfare State: “La prima cosa è impegnarsi per rendere l’assicurazione sociale buona come quella privata, lasciando alle persone la scelta di pagare degli extra se vogliono avere dei servizi particolari. La seconda cosa che si può fare è imporre a chi sceglie il sistema privato di contribuire anche a quello pubblico. La terza cosa è regolamentare direttamente i mercati assicurativi e dire alle aziende che non possono utilizzare indiscriminatamente i dati e che non sono autorizzate a utilizzare la tecnologia del DNA e le informazioni per aumentare le sottoscrizioni” ha aggiunto Rehm.
Sorge quindi un problema politico: “Queste leggi hanno bisogno delle maggioranze giuste per essere approvate nei Parlamenti, ma non è affatto chiaro se queste maggioranze continueranno a esistere. Quali saranno le condizioni in cui saranno possibili maggioranze favorevoli al mantenimento di questo tipo di leggi? E quali saranno invece favorevoli a consentire l’utilizzo delle informazioni per creare mercati privati?”. I dati citati da Rehm dicono che le maggioranze a supporto della condivisione dei rischi attraverso la tassazione e la riscossione dell’assicurazione pubblica sono in rapido declino. La logica secondo la quale i giovani pagano per gli anziani perché quando saranno anziani verranno supportati dai giovani entra in crisi. Una delle strade per far sopravvivere la solidarietà intergenerazionale su cui si regge il Welfare State è arginare l’accaparramento dei dati da parte delle aziende che si occupano di sanità e previdenza e limitare la loro invasività. Spetta alla politica salvare il Welfare e frenare la dilagante mercificazione dei dati cannibalizzati dal settore privato.
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Decolonizzare i dati, salvare il Welfare