Cosa hanno da dirci, ancora, i labirinti? - Singola | Storie di scenari e orizzonti
Memoriale per gli ebrei assassinati d'Europa, Berlino.
Memoriale per gli ebrei assassinati d'Europa, Berlino. | Copyright: Nikos Roussos / Flickr

Cosa hanno da dirci, ancora, i labirinti?

Dal minotauro di Creta al dedalo di Franco Maria Ricci, dalle linee di Nazca a Piranesi, analisi recente di un topos durissimo a morire.

Memoriale per gli ebrei assassinati d'Europa, Berlino. | Copyright: Nikos Roussos / Flickr
Dario De Marco

(1975) è stato redattore del mensile Giudizio Universale e editor di Esquire. Scrive di letteratura e cibo per CheFare, Dissapore, Esquire, L’Indiscreto, L'Integrale, La Ricerca. Ha pubblicato il romanzo Non siamo mai abbastanza (66thand2nd) e la non fiction Mia figlia spiegata a mia figlia (LiberAria). Nel 2021 è uscito il libro di racconti Storie che si biforcano (Wojtek).

11. Sogni1

Due sono le forme ricorrenti del sogno. La prima è diretta, rapida, condivisa: sogno di cadere; anzi, di essere già caduto. È una sensazione che sperimentano quasi tutti gli esseri umani, e forse anche i grandi primati, e non può definirsi neanche sogno in senso stretto, perché avviene nella delicata fase di passaggio dalla veglia al sonno. La seconda è intima, oscura, aggrovigliata: forse non può definirsi neanche sogno ricorrente, tanto sono varie e differenti le sue manifestazioni. In comune, hanno appena la sensazione di smarrimento freddo e irrimediabile che mi lasciano: un’angoscia solida e asciutta, senza i palpiti della disperazione. 

In comune, hanno l’idea di presentarsi, nella fase iniziale, come semplici task, quasi sempre di movimento: per qualche motivo, devo andare dal lato opposto dell’isolato, o nel giardino adiacente a quello in cui mi trovo, o in una stanza non lontana del palazzo. Quasi subito però, le cose si complicano: come agito da una volontà esterna, scelgo un percorso tortuoso, disagevole. Attraverso cantine e sotterranei sempre più profondi e bui, mi inerpico per orti claustrofobici e terrazzamenti scoscesi, mi tengo in equilibrio su muretti bassi ma senza parapetto o mi attardo in camere arredate in modo barocco. Le cose si complicano, fino a diventare affatto impossibili; capisco che non raggiungerò la meta, che non completerò la task, e a quel punto mi sveglio, ma non sempre.

In comune, queste forme dell’incubo hanno la natura - mi rincresce ammetterlo - di labirinto.   

10. Formazione 

Mi duole ammettere che il labirinto sia ancora qui, mi indispone pensare di essere ancora nel labirinto, costretto a pensare al labirinto. Forse perché per me il labirinto è un furore astratto, una passione dell’adolescenza, se non un ricordo d’infanzia. Gli altri bambini sono cresciuti con Pinocchio e Cappuccetto rosso, a me mio padre raccontava la storia di Polifemo vs Ulisse/Nessuno, e quella di Dedalo&Icaro. Certo, il messaggio che lui voleva inculcarmi era altro: il dovere di ascoltare i genitori sennò si finisce male, la morale piccolo borghese di non aspirare a salire troppo in alto. Ma si sa, i bambini capiscono quello che vogliono, e io mi ero fissato sul labirinto. 

I bambini, si sa, hanno l’ansia di sembrare adulti: sicché io, appena ragazzino, mi misi a leggere Lo specchio nello specchio di Michael Ende, che mi sembrava più da grandi rispetto a La storia infinita e Momo. Era un libro di racconti, ma con dei topos ricorrenti: quello che tendeva a ricomparire più spesso, era proprio il labirinto. (Il titolo originale lo esplicita: Der Spiegel im Spiegel: Ein Labyrinth. D’altro canto, la relazione tra specchio è labirinto è stretta, e proteiforme: lo specchio può essere uno strumento del labirinto, per costituire il livello advanced, il labirinto di specchi, che moltiplicano la confusione e l’errore. Ma lo specchio può farsi labirinto esso stesso, metafora e compendio del più diretto tra i labirinti, illusione di semplicità, abominevole inganno, realtà capovolta, enigma cifrato - Videmus nunc per speculum in aenigmate, diceva l’Apostolo.)

Poi scoprii Borges.  

2. Esaurito

Dal labirinto di Cnosso al dedalo di Franco Maria Ricci, dalle linee di Nazca alle architetture impossibili di Piranesi e Escher, dalle rivisitazioni del mito come quella di Dürrenmatt alle false etimologie di Sanguineti, sembra che il labirinto abbia esaurito tutte le sue possibilità e le sue forme: che non abbia più niente da insegnarci. Se c’è uno che si è offerto in sacrificio per noi, e le ha percorse tutte, è Borges. Borges che ha cantato anche rose, tigri e spade; Borges che viene ricordato soprattutto per specchi, biblioteche, labirinti. Ecco un catalogo eterogeneo e parziale delle forme dei labirinti nei racconti di Borges (in ordine di crescente complessità):

  • Classico, mitico (La casa di Asterione, Le rovine circolari, Abenjacàn il Bojarì)
  • Uniforme, coincidente con l’universo (La biblioteca di Babele)
  • Letterario, fatto di storie che si dividono e si uniscono (Il giardino dei sentieri che si biforcano, ovviamente, ma anche il libro immaginario April March di Herbert Quain, che è una storia a bivi rovesciata, in cui non è una premessa comune ad evolvere in vicende molto differenti, ma storie assai diverse che convergono verso un solo finale) 
  • Geometrico: triangolo, rombo, linea retta (La morte e la bussola)
  • Vuoto, illimitato (I due re e i due labirinti).

Dopo tutto questo, cosa possiamo dire ancora?

Labirinto di Tuborg, Danimarca.

Labirinto di Tuborg, Danimarca. | Thomas Angermann / Flickr

4. Titoli 

Arzigogolo postmodernista, passione cerebrale, pippa mentale per eterni adolescenti? Può darsi. Eppure i labirinti continuano a esercitare su di noi un fascino misterioso. Basta solo guardare quanto la parola labirinto entra nei titoli di libri e film, di recente: dal Labirinto del fauno all’animazione Buñuel - Nel labirinto delle tartarughe, dalle saghe fantasy ai fumetti, da Carlos Luis Zafòn a Donato Carrisi, dalla divulgazione storica Il labirinto del passato. 10 modi di riscrivere la storia alla politica di Labirinto italiano di, addirittura, Walter Veltroni. Per non parlare di giochi e videogiochi: ambito quest’ultimo dove la presenza del labirinto è norma, la sua mancanza eccezione. 

Il labirinto può nascondersi nelle pieghe di una storia, come in Kafka sulla spiaggia di Murakami, o può nascondere la verità di una storia, come in Piranesi, ultimo romanzo appena uscito in inglese di Susanna Clarke, l’autrice di Jonathan Strange & il Signor Norrell.

Il labirinto può essere mero pretesto, sinonimo di prigione (Il generale nel suo labirinto, Gabriel García Márquez) o misteriosa evocazione, come nell’omonimo racconto di Roberto Bolaño: un bellissimo pezzo in cui partendo da una foto tesse una rete di relazioni immaginarie tra persone reali; un labirinto capace di fuoriuscire dal racconto stesso, di espandersi come un micelio fungino per installarsi nella mente del lettore e generare altre ricerche, altre fantasie.

5. Liber-intus

Laborintus si chiamava il primo libro di Edoardo Sanguineti, 1956: un labirinto per stile, struttura, contenuto. Il titolo gioca con l’assonanza, ma richiama anche un’omonima opera medievale, quasi laborem habens intus. Parafrasando la falsa etimologia, possiamo passare da labor-intus a liber-intus: come se avesse dentro un libro, come se fosse dentro un libro. Tipo Casa di foglie di Mark Danielewski (66thand2nd), monstrum che parla di una casa-monstre, labirinto di storie che si intrecciano in un labirinto di impaginazione.

Una delle sezioni/voci narranti del libro di Danielewski è Lettere di Whalestoe, missive scritte da una signora reclusa in un ospedale psichiatrico. Oltre ad manifestare il progressivo delirio della donna, le lettere contengono dei messaggi cifrati con il metodo dell’acrostico (le iniziali delle parole formano altre parole). Un ragazzo autorecluso nella sua stanza, che spedisce al mondo lettere crittografate, è il protagonista di Timidi messaggi per ragazze cifrate, esordio di Ferruccio Mazzanti (Wojtek). Qui il labirinto è interiore, mentale: l’enigma è viceversa il modo in cui il personaggio prova a sabotare i propri tentativi di comunicazione con l’esterno. Neanche a dirlo, le cifrature prendono ampio spazio nel libro, che non solo spiega la crittografia in teoria ma si riempie di crittografie in pratica, richiedendo la partecipazione attiva del lettore. (Una crittografia è un labirinto di lettere? Mi pare evidente.)

Richiedono la partecipazione del lettore, per loro stessa natura, quei particolari tipi di labirinti narrativi che sono le storie a bivi: un genere nato dalla letteratura sperimentale combinatoria e/o dai giochi di ruolo. Un genere dato per fané e desueto, ma oggetto di una recente reviviscenza: Cosa pensavi di fare?, di Carlo Mazza Galanti, è uscito da poco (ci ho scritto qualche riga qui, su quello e sulle storie a bivi in generale).  

Perché non riusciamo a liberarci dei labirinti? E soprattutto, cosa possiamo ricavarne, per interpretare il tempo strano in cui viviamo? Proprio come in un labirinto in cui si torna spesso sui propri passi, dobbiamo percorrere cunicoli già attraversati, strade già battute. Possono guidarci due, ancora una volta, libri: Red Thread di Charlotte Higgins (non tradotto per ora) e Segui questo filo di Henry Eliot (il Saggiatore). Ma non è di loro che si parla qui: non è mia intenzione, per il momento, sintetizzare, ma estendere.

Labirinti naturali: formazioni di roccia nell'Hoodoo  Park, USA.

Labirinti naturali: formazioni di roccia nell'Hoodoo Park, USA. | Nicolas Raymond / Flickr

7. Ragnatele

La forma del labirinto trova corrispondenze anche nei topos della tecnologia contemporanea, della realtà aumentata in cui viviamo. La tela del ragno è un labirinto? Sì, nella misura in cui è una trappola che ti impedisce di fuggire. E il web? La rete ce la raffiguriamo come una serie di punti luminosi, o meglio illuminabili, tutti connessi tra loro da fili incandescenti di energia; un po’ come i neuroni. Ma è un’immagine che restituisce solo parzialmente la verità: quello che manca è la simmetria, l’uniformità: la tela dell’internet non connette tutti i punti allo stesso modo, certi sono hub internazionali, altri sono isolati paesini di provincia. Cosa vi ricorda una simile architettura sbilenca? Esatto.

Un altro totem della nostra timeline, se non il dominus per eccellenza, è l’algoritmo. E che cos’è l’algoritmo se non un percorso, una sequenza, un movimento? La sua particolarità, ciò che lo rende speciale, è proprio la sua opacità: è un labirinto, ma non per noi; è una strada che noi non possiamo percorrere, che non dobbiamo percorrere. 

C’è posto anche per meme, espressione più ineffabile del contemporaneo. Non è un caso che un interessante breve saggio online si chiami The Garden of forking memes. La tesi è che i nuovi media distorcano il senso del tempo e in ultima analisi del reale, creando delle realtà multistrato, contestuali ma spesso non comunicanti, per ognuno di noi. Anche rimanendo nel singolo meme, lo sforzo interpretativo che compiamo in scioltezza per passare da un layer di significato all’altro, assomiglia a un labirinto a più piani in cui solo alcune botole danno accesso al livello successivo. 

6. Dedalo

Allora, che cosa hanno ancora da dirci i labirinti? Per guardare al futuro, bisogna che ripartiamo da una distinzione poco nota, e però fondamentale: quella tra labirinto e dedalo. Il labirinto in senso stretto (labyrinth) ha un solo percorso, tortuoso ma obbligato: si arriva al centro senza fallo. Il dedalo (maze) ha decine di bivi e migliaia di possibilità, ci si può perdere, ci si deve perdere. Sono due forme simili, ma concettualmente agli antipodi: se ci riflettiamo un attimo, è persino assurdo che due cose così diverse vengano confuse, se non identificate.

A livello storico, il dedalo è un’invenzione recente: i primi percorsi con bivi e vicoli ciechi risalgono al Rinasicmento, e trovano poi successo in età barocca, dove venivano costruiti per divertimento, come sfida, gioco. Per quanto nel nostro immaginario questo tipo di edifici sia legato a storie antiche e sacrifici umani, si tratta invece di una cosa moderna, e con finalità ludiche.  È come se nell’età antica e in quella di mezzo, fosse mancata proprio la possibilità del dedalo: non il mezzo tecnico per costruirlo, ma lo spazio mentale per immaginarlo. Un po’ come per i numeri negativi, che per lungo tempo non sono stati concepiti (e che sono entrati nell’uso proprio a partire dal XVI secolo, anche se non con lo stesso entusiasmo che ha accolto i dedali).

A livello mitologico, l’apparizione del dedalo fa sorgere una possibilità non da poco: non è più necessario un mostro per uccidere. Nel labirinto classico il Minotauro o chi per esso attende al centro - o dietro una svolta in uno qualsiasi dei corridoi - la vittima, che altrimenti potrebbe ben tornare indietro. Nel dedalo, una volta che ci si entra - per scelta o per costrizione - è molto facile perdersi, e non riuscire a venire più fuori, con conseguenze letali, ma prive di particolari splatter. (Pare che la regola per venire fuori dai dedali sia girare sempre a sinistra, o sempre a destra, non ricordo bene, e soprattutto non ho mai capito come applicarla in pratica.)

A livello culturale, il dedalo è avamposto del relativismo, specchio dei tempi. Come scrive il sito Gnosi, il labirinto rappresenta il percorso iniziatico, il cammino verso il centro (di sé, o della verità ultima, ammesso che ci sia differenza), in cui l’unica possibilità di errore è la perdita di fiducia, la decisione di tornare sui propri passi: la realtà è una, certa, divina. Nel dedalo la possibilità di errare - nei due sensi - è continua, è la norma: la realtà è ingannevole, molteplice, umana.

A livello simbolico, il labirinto è un cunicolo: la via è unica, ma tortuosa. Un siffatto budello può simboleggiare tanto l’inizio della vita quanto la fine. L’inizio è un uscire: dal ventre materno, dopo aver percorso il cunicolo che dall’utero porta alla luce. La fine è un entrare: nelle viscere della terra, dopo aver percorso il cunicolo che dal mondo porta alla grotta, alla cripta, alla necropoli, al centro della piramide.

Il tetto del Metropolitan Museum, New York, Usa.

Il tetto del Metropolitan Museum, New York, Usa. | Jacopo (bracco) / Flickr

9. Filo

Lasciamo da parte un attimo l’architettura del labirinto, e concentriamoci su quello che abbiamo in mano: il filo. Il filo rosso, il filo di Arianna, povera stella. Non è ancora svolto, perché ancora non siamo entrati: è una matassa, un gomitolo. Un gliuommero, avrebbe detto il Gadda del Pasticciaccio, uno gnòmmero, con termine latino e dialettale.   

(Il pasticciaccio brutto de via Merulana, come si sa, è incompiuto, il mistero non si risolve: è un dedalo senza uscita, un gomitolo mai sbrogliato. Ma la soluzione potrebbe arrivare presto: è di prossima uscita per Adelphi La casa dei ricchi, il soggetto per un film che Gadda fu quasi costretto a trarne per esigenze economiche - “miserrime configurazioni argentarie" dice lui - e che comunque non si fece mai).

Nei dialetti meridionali, compreso il mio, un inestricabile groviglio di fili si dice appunto gliommero, gnommaro, con varianti. Ma questo nella lezione arcaica: modernamente, il vocabolo si trasla in ‘mbruoglio, imbroglio. L’italiano anche, in teoria, conserva questo significato, ma ormai sempre più sorpassato a destra dal senso intenzionale, fraudolento del termine. (Cosa che osservo con fastidio quasi pari a quello con cui vidi, grazie a D’Alema, passare il termine ‘nciucio da “pettegolezzo” a “accordo politico”.)  

Il filo è fatto per uscire, il dedalo per entrare. Il filo non è l’inganno, l’inganno è la costruzione. La matassa è la soluzione, non il problema: se si è ingarbugliata è colpa tua, non di Asterione. Se si è arravogliata, imbrogliata, il rimedio non è trovare il bandolo e tirare, perché così la stringi ancora di più: bisogna metterla a terra o comunque su un piano ampio, e allargare piano piano, semplicemente allargare senza altro scopo, senza cercare di vedere un disegno, di capire il senso - ben presto il groppo si sbroglierà da sé. Attenzione, questa non è una metafora o un simbolo: è un metodo pratico, e universale, che i pescatori usano per sistemare le reti, ma che funziona benissimo anche con i fili delle cuffie e i jack delle chitarre. L’ho ricevuto in dono molti anni fa da un vecchio barcaiolo su una spiaggia pietrosa in riva al Mediterraneo; ora lo sto regalando a te, prego.  

8. Casa

Scrive Murakami, gnostico: "Le cose fuori di te sono proiezioni di ciò che è dentro di te, e ciò che è dentro di te è una proiezione di ciò che è fuori. Quindi, quando entri nel labirinto esterno, allo stesso tempo entri nel labirinto interno”.

Secondo Charlotte Higgins, in labirinti e dedali si trovano compenetrati i fondamenti “della regolarità e del caos, dell'ordine e del terrore. Visti dall'esterno, dall'alto, soddisfano con le loro forme precise e gradevoli; dall'interno, però, sono spazi confusi e confondenti che imprigionano e costringono il corpo. Tuttavia, per quanto un labirinto o un dedalo dall’interno possa essere disorientante, rimane il conforto che si tratta di opere umane, in grado di essere decodificate e percorse, che perdersi in un dedalo è solo un terrore temporaneo”.

Qual è l’edificio che esprime per definizione il conforto? La casa. Perciò il labirinto è il rovescio della casa, il suo negativo, l’incubo: la casa è ordine, razionalità, efficienza. Quando è disordinata diciamo che sembra un mercato, e il mercato per sua natura è caos, è labirinto: perdersi nella folla del suq, perdersi nel dedalo di viuzze che caratterizzano la medina, la città vecchia con i suoi vicoli che s’interrompono bruscamente dopo una svolta, privi di senso e utilità. Ma il labirinto è anche protezione, può essere la casa perfetta in questi tempi insicuri: come è difficile trovare una strada per me, così sarà difficile anche per gli altri orientarsi, trovarmi.

Labirinto e dedalo, alla fine, corrispondono a due modi di leggere la realtà. Quando entriamo in un labirinto, ovvero quando definiamo l’universo come un labirinto, cerchiamo protezione o smarrimento? La via di fuga o il centro segreto? La scelta sta a noi: su quale delle due forme vogliamo scommettere?

3. Cripto-glossario 

Diceva  Borges, ancora Borges, sempre Borges, e sempre ne Il giardino dei sentieri che si biforcano, che se la soluzione di un indovinello è “scacchiera”, c’è una sola parola vietata nell’esposizione dell’indovinello stesso: la parola “scacchiera”. Questo scritto, che sta per finire, o è appena iniziato, non è un indovinello, eppure contiene delle omissioni: parole o frasi che avrebbero potuto, forse dovuto esserci, e per qualche motivo non ci sono. Eccole, in ordine di sparizione:

Hominoidea
Spasmo ipnico
Paolo di Tarso
Minotauro - Una ballata
Neoavanguardie
Ergodico
Muḥammad al-Khwārizmī
Unicursale 
Maghreb
gnommareddi/‘mbrugliatielli
Rayuela

 
1. Legenda

Questo articolo si può leggere in molti modi, ma fondamentalmente in due modi. Il primo è quello lineare, classico: iniziare in cima, con il paragrafo “Sogni”, e finire con quello in fondo, intitolato “Legenda”, che è questo. Il secondo è altrettanto lineare, ma segue una linea spezzata, un filo che si contorce, anche se non s’imbroglia mai. Prevede di seguire la numerazione dei paragrafi: partire da qui, passare al paragrafo contrassegnato dal numero 2, e così via fino alla fine. Impossibile perdersi: è un labirinto, non un dedalo.

Se preferisci il dedalo, c’è un terzo modo: saltare da un paragrafo all’altro seguendo l’isprazione del momento, il capriccio dello scroll. Rischiando di non visitare mai alcune stanze, di perdere dei passaggi, ma forse di cogliere un senso ulteriore, ignoto persino a chi scrive.

C’è un ultimo modo: quello di rifiutare il gioco, il tranello, il percorso. Uscire subito, adesso; anzi non entrare affatto. Ma dubito tu sia ancora in tempo.

Hai letto:  Cosa hanno da dirci, ancora, i labirinti?
Globale - 2020
Pensiero
Dario De Marco

(1975) è stato redattore del mensile Giudizio Universale e editor di Esquire. Scrive di letteratura e cibo per CheFare, Dissapore, Esquire, L’Indiscreto, L'Integrale, La Ricerca. Ha pubblicato il romanzo Non siamo mai abbastanza (66thand2nd) e la non fiction Mia figlia spiegata a mia figlia (LiberAria). Nel 2021 è uscito il libro di racconti Storie che si biforcano (Wojtek).

Pubblicato:
11-01-2021
Ultima modifica:
12-01-2021
;