Per secoli l’uomo l'ha osservato, lo ha temuto, è presente nell'immaginario e nell'arte. Ma i fenomeni che vediamo oggi hanno una storia tutta recente.
La mattina del 9 settembre 2020 i cieli di San Francisco erano ocra e bui, come se il Sole non fosse mai sorto e la notte fosse diventata terrigna, bronzea. Era il risultato dell’abituale stagione degli incendi sulla costa ovest degli Stati Uniti d’America, in California, Oregon e Washington: 2,7 milioni di ettari bruciati dall’inizio dell’anno, migliaia di edifici distrutti, decine di migliaia di persone evacuate, decine di morti. E cieli rossi.
Il colore del cielo è dovuto all’interazione tra la luce del Sole (che possiamo considerare composta da tutti i colori, quindi bianca) e le molecole della nostra atmosfera, e viene influenzato dalla presenza di aerosol, particelle liquide o solide sospese nell’aria. Il fenomeno normalmente responsabile del colore blu del cielo, e in generale del colore del cielo, è la diffusione di Rayleigh: le lunghezze d’onda minori nello spettro del visibile, quindi il colore blu, vengono diffuse (riflesse o comunque ri-direzionate) dalle piccole molecole che compongono la nostra atmosfera (come ossigeno e azoto) più delle altre lunghezze d’onda, e così il colore blu arriva ai nostri occhi.
Per un motivo simile i tramonti sono rossi: quando il Sole è basso sull’orizzonte la luce deve fare un percorso più lungo attraverso l’atmosfera prima di raggiungerci, e quando arriva ha già perso la sua componente blu. Nel caso degli incendi, la situazione è più complicata perché abbiamo particelle di varie dimensioni che non sempre seguono le regole della diffusione di Rayleigh. Il fatto che in tali condizioni vengano diffuse e perse molte lunghezze d’onda, e in modo non selettivo, è parzialmente responsabile anche del buio che accompagna questi fenomeni: sulla Terra arriva complessivamente meno luce. Ma, semplificando un po’, la presenza di questi densi aerosol nell’aria sottrae i blu dalla radiazione che quindi (come al tramonto) quando ci raggiunge è ricca di lunghezze d’onda rosse e aranciate.
I cieli rossi della California sono uno spettacolare effetto dell’odierno cambiamento climatico (e della cattiva gestione delle foreste), ma l’arrossarsi dei cieli è stata una delle prime manifestazioni globali del clima osservate e registrate dall’umanità, e anzi la storia del confronto con il cambiamento climatico è la storia dell’osservazione di cieli rossi. In passato, il colore rosso del cielo era causato da eruzioni vulcaniche: l’aerosol emesso dai vulcani fino alla stratosfera (tra i 10 e i 15 chilometri di altezza) a volte arrossa ulteriormente i tramonti sottraendo più blu, altre volte diffonde la luce blu dove prima non sarebbe arrivata rendendo il tramonto rosa o lavanda e, riflettendo la luce solare quando il Sole è basso sotto l’orizzonte, colora il cielo anche dopo il tramonto stesso.
Le conseguenze delle eruzioni vulcaniche possono essere globali e influenzare cieli e clima per anni. Per esempio, l’eruzione del vulcano indonesiano Tambora nel 1815 contribuì alla parte finale della “piccola era glaciale,” un periodo di raffreddamento globale dovuto (tra le altre cose) a variazioni dell’attività solare, portando l’emisfero nord della Terra ad attraversare, nel 1816, quello che in Europa e Nord America è stato chiamato “l’anno senza estate”. Un anno caratterizzato da carestie, da temperature estive particolarmente basse, da piogge e nevicate eccezionali e da tramonti rossi che hanno lasciato il segno della pittura di Joseph Mallord William Turner. Spesso, anche il cielo rosso de L’urlo di Edvard Munch è collegato al ricordo di un “tramonto vulcanico” (causato in questo caso dall’eruzione del Krakatoa nel 1883), ma esistono a proposito altre teorie ed è probabile che il dipinto non si richiami ad alcun preciso effetto atmosferico. L’approccio espressionista di Munch tende a imprimere sulla rappresentazione del mondo esteriore i moti del mondo interiore, non il contrario. Ma la storia dell’arte è comunque ricca di rappresentazioni di tramonti arrossati da eruzioni vulcaniche, come hanno dimostrato due studi condotti da Christos S. Zerefos (Atmospheric effects of volcanic eruptions as seen by famous artists and depicted in their paintings del 2007 e Further evidence of important environmental information content in red-to-green ratios as depicted in paintings by great masters del 2014).
È noto che sia possibile estrarre dai dipinti informazioni utili per comprendere il clima del passato. Il climatologo Hubert Horace Lamb ha tentato questo metodo nel 1967 in Britain’s Changing Climate, basandosi sui paesaggisti inglesi e olandesi, e il metereologo Hans Neuberger lo ha sfruttato nel 1970 in Climate in Art, esplorando l’intera storia dell’evoluzione dei cieli nell’arte occidentale dal 1400 al 1967. Zerefos i suoi colleghi hanno invece studiato la rappresentazione, solitamente involontaria, degli effetti delle eruzioni vulcaniche nei tramonti dipinti negli ultimi 500 anni, osservando come nei cieli realizzati dopo un’eruzione sia misurabile un aumento del rapporto tra colore rosso e verde. Insomma, quando i pittori dipingono i cieli (e soprattutto i tramonti) dopo le eruzioni vulcaniche quei cieli sono più rossi.
C’è però un’importante differenza tra i cieli rossi della California e quelli dipinti da Turner: in passato, il cambiamento climatico che stavamo osservando non dipendeva dalla nostra azione, e guardando le catastrofi suggerite da cieli rosso sangue cercavamo di scorgere i segni del divino. Oggi, invece, quei cieli ci parlano del nostro impatto sul pianeta, e la catastrofe non ha più alcuna origine soprannaturale. Gli studi di Neuberger e Zerefos mostrano come, già a partire dal tardo Ottocento, l'industrializzazione abbia lasciato segni nei dipinti, diminuendo la luminosità dei cieli e rendendoli più rossi (l’inquinamento antropico si comporta in modo simile a quello naturale).
I cieli rossi della California ci parlano anche della nostra difficoltà nel prevedere e controllare questa catastrofe. Ian Bogost, su The Atlantic, ha raccontato come i nostri smartphone non siano riusciti a catturare il colore dei cieli californiani: quando tutto è avvolto da un unico colore uniforme le fotocamere non riescono a trovare e calibrare il bianco, un processo necessario per la loro interpretazione dei colori, e i cieli rossi diventano grigiastri. Non si tratta solo della banale difficoltà di cogliere una situazione complessa e mutevole in un’unica immagine o con magari una tecnologia a basso costo, e non si tratta solo dell’inevitabile manipolazione che ogni rappresentazione porta con sé. Quella che Bogost ha osservato è l’incapacità delle macchine, anche delle più raffinate Intelligenze Artificiali basate su machine learning, di prevedere l’imprevedibile e persino di accorgersi di averlo davanti. Siccome quello che conoscono è quello che noi abbiamo deciso di insegnare loro, le macchine si portano dietro tutti i nostri pregiudizi e tutte le nostre aspettative. Per esempio, le pellicole fotografiche commerciali erano originariamente inadatte a fotografare persone dalla pelle scura, perché erano pensate da persone bianche per catturare l’immagine di persone bianche.
“Il fumo sospeso nell’aria scenderà verso la superficie e potrebbe portare a cieli più bui e a una peggiore qualità dell’aria oggi” ha scritto su Twitter il 9 settembre il servizio meteorologico della Bay Area. “Questa situazione supera i limiti dei nostri modelli, quindi dobbiamo affidarci alle vostre osservazioni” Quella che ci aspetta con il cambiamento climatico è un’era dell’imprevedibile, o almeno un’era di eventi che l’umanità non ha mai osservato sinora. James Bridle li ha definiti “i nuovi secoli bui” (“New Dark Age”). Forse alla fine non è cambiato molto: i cieli rossi, come in passato, profetizzano un’epoca di miracoli.