30 anni fa moriva il giocoso ideatore di bollicine lessicali. Il significato di leggerlo oggi.
Il 28 maggio del 1990 moriva Giorgio Manganelli, un torrente di parole e di idee cosí fresche che avrebbero potuto esondare fino ai nostri giorni, perché in Manganelli non si trattava di una sperimentazione nella forma, ma nella lingua, e quindi nelle idee e nella carne del pensiero.
Dei testi, ciò che stupisce a 30 anni dalla scomparsa del loro autore, è che possono essere letti oggi come fossero nuove scritture.
Ecco un passaggio da "Improvvisi per macchina da scrivere" (1989): "Vivremo, noi uomini potenti e distratti, circondati da stupendi enigmi, questi esseri che uccidiamo, questi esseri che, enigma estremo, ci offrono gesti che non possiamo che chiamare d'amore, sebbene non ne comprendiamo l'origine e il senso. Può darsi che l'uomo sia destinato a regnare sul pianeta, sempre più terribile, sempre più estraneo alle infinite forme di vita, sempre più uomo, cioè solo, irreparabilmente solo. (1)"
Sembra facciano da contraltare alle parole del sodale Angelo Guglielmi, quando a Palermo inaugurava quella magnifica fioritura che sarebbe stata il Gruppo 63, di cui Manganelli - nel suo nichilismo, nella sua re-invenzione, nella sua libertà - riusciva a essere elemento trasversale e allo stesso tempo trainante: "Mai l’uomo si è sentito maggiormente senza futuro come oggi quando le possibilità di futuro, grazie al meraviglioso progresso della scienza, paiono tanto prossime e suggestive. Al posto della Storia è subentrato uno spazio in cui tutto ciò che accade diventa insensato e viene falsificato. E in ciò che accade è compresa la vita degli uomini. Così oggi l’uomo si vede costretto o a gesti insensati o all’inattività."
Ci interessa questo, oggi: tenere a mente che se l'avanguardia è una parola legata al secolo trascorso, non è così per la sperimentazione. Ovvero, che mentre parliamo dei resoconti di un'esperienza storica conclusa, non possiamo fare altrettanto di fronte ai testi che ci obbligano a riaggiornali, a rilucidarli. Non solo Manganelli e Guglielmi, ma Pontiggia, Eco, e quanto continua a scrivere il vivo Celati. Rileggiamo le parole di Renato Barilli: "Il reale oggi non è complesso è caotico, non è ricco è incrostato, non è vario è imbrogliato" (2).
Non sono attuali solo i testi, ma le motivazioni corrosive e necessarie che portarono all'unione, attuale la spinta a guardare oltre e a riallacciarsi con quanto avviene fuori dai cortili di casa (non si tratta più, ormai da molti anni, di fare una gita a Chiasso), i recinti mentali, delle nostre prospettive.
"Perché io scrivo? Confesso di non saperlo, di non averne la minima idea e anche che la domanda è insieme buffa e sconvolgente. Come domanda buffa, avrà certamente delle risposte buffe: ad esempio, che scrivo perché non so fare altro; o perché sono troppo disonesto per mettermi a lavorare. (3)"
Ridimensionarsi di fronte a quel nulla, a quel gioco che è anche la realtà più dura e feroce, questa la lezione ancora valida da parte dell'intellettuale che rispondeva con "magari!" a chi gli diceva scherzosamente di scrivere del nulla. Come un insettino che arriva a pungere e a sgonfiare l'ego smisurato di molti dei nostri pensanti.
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Fonti
1. G. Manganelli, Improvvisi per macchina da scrivere, Adelphi, Milano, 2003
2. R. Barilli e A. Guglielmi, Gruppo 63. Critica e teoria, Testo & Immagine, Torino, 2003
3. G. Manganelli, Il rumore sottile della prosa, Adelphi, Milano, 1994