Le visioni della fantascienza si sono materializzate e danno forma al presente. Come? Per capirlo bisogna calarsi nei meandri di una megalopoli.
A distanza di vent’anni ho rivisto il (bellissimo) anime fantascientifico Ghost in the Shell, ambientato nell’ormai prossimo 2032, e ho subito pensato: «mica male, come futuro possibile». Quella che vent’anni fa percepivo come un'ambientazione distopico-cyberpunk, con megalopoli buie, tecnologia onnipervasiva, capitalismo invadente, corruzione, criminalità e quant’altro, adesso mi sembra quasi utopica, perché per come procede il cambiamento climatico temo che tra dodici anni ce la passeremo molto peggio. Lo scenario immaginato da Masamune Shirow – che ringrazio per averci evitato le macchine volanti – è perfettamente in linea con la contemporaneità tranne che in due aspetti: nel manga lo sviluppo dell’intelligenza artificiale è più avanzato di quello attuale e la struttura sociale liberista più in salute di quanto non sia oggi. Questa divergenza di opinioni a distanza di due decenni mi ha spinto a voler analizzare altre città fantascientifiche, non tanto per controllare cosa si è avverato o meno, ma per capire che cosa ci ha spinto a immaginare certe città piuttosto che altre – ho così stilato un elenco delle città del futuro, dalla più utopica alla più distopica. Data la mia incompetenza, ho sottoposto la lista a persone più appassionate, per ottenere correzioni, integrazioni e preziosi consigli. L’elenco è migliorato, ma come tutte le classifiche lascia sempre insoddisfatti e se lo allego è a titolo di esempio; d’altra parte il mio scopo non è tassonomico quanto esplorativo. La mia domanda, infatti, è questa: quali sono le visioni delle città del futuro, e perché sono proprio queste?
So che i/le fan di qualunque cosa sono piuttosto bellicosi/e coi profani ed è a loro che dedico una bella excusatio non petita, perché sì, ho senza dubbio dimenticato qualche caposaldo assoluto e ho fatto anche degli errori mastondotici negli inserimenti. Perdonatemi e correggetemi, ma fatelo in virtù di quanto andrò a dire in seguito. Considerate inoltre che mi sono limitato a opere abbastanza mainstream per rendere l’articolo accessibile anche a chi non è specialista e ho limitato gli inserimenti perché in lavori diversi ricorrono spesso strutture urbane sostanzialmente analoghe. Detto questo, la lista:
Utopia progressista, liberista o socialista: Star Trek, Starfleet San Francisco; Black Panther, Wakanda; Her, Los Angeles; Stella Rossa, Marte.
Utopia/distopia del controllo: Aeon Flux, Bregna; La città e le stelle, Diaspar; Il Mondo Nuovo; Demolition Man, San Angeles; 1984.
Futuro oligarchico-capitalista: Star Wars, Coruscant; Heliopolis; Minority Report; Ghost in the shell; Metropolis; Ciclo della Fondazione, Trantor; Incal, Tecno-città
Futuro oligarchico-capitalista distopico: Altered Carbon; District 9, Johannesburg; Arancia Meccanica, Londra; Ranxerox, Roma; Blade Runner 1, Los Angeles; Neuromante, Sprawl ; Dune, Arrakeen; 1997 fuga da New York, New York.
Futuro distopico: Neon Genesis Evangelion, Neo Tokyo 3; Blade runner 2, Los Angeles; Alita, Città Discarica; Hunger games, Capitol city e Distretti; Akira, Tokyo; Conan, Indastria.
Futuro post-apocalittico: Interstellar, Stazione Spaziale Cooper; Matrix, Zion; Kenshiro; Mad Max; Snowpiercer; Waterworld; Terminator; Blame!, Megastruttura.
È subito evidente che chi fa fantascienza tende a immaginare scenari peggiori di quelli del proprio presente. Non so se si tratta di pessimismo, realismo o gusto per le narrative estreme, ma a volte, come nel caso citato in apertura, diventa ottimismo, perché alcuni scenari distopici della fantascienza più datata sono stati superati in peggio dalla contemporaneità. Una tendenza trasversale, inoltre, è quella di accelerare le caratteristiche del presente – come ci insegna il futurismo e il suo spin-off contemporaneo dell’accelerazionismo – per immaginare delle metropoli iperboliche, il cui risultato trova spesso consonanze con quanto effettivamente va ad accadere. Le velocità di accelerazione o decadenza di ogni elemento sociale e tecnologico preso in considerazione cambiano (si veda il sopracitato esempio di Ghost in the Shell riguardo ad androidi e società) e più la velocità corrisponde a quella effettiva più lo scenario tende ad avverarsi. Ci sono poi casi in cui a entrare in scena è un cigno nero – un evento imprevedibile che cambia drasticamente le regole del gioco – come nel caso della fantascienza apocalittica. Qui la verosimiglianza dipende dal cigno nero che si va a verificare, dunque direi che al momento è in testa il collasso climatico rispetto alla guerra nucleare. Alcuni cigni neri, invece, sono più fantasiosi e dunque ancora tutti da verificare, come le invasioni aliene o le singolarità tecnologiche.
Nell’anno in cui scrivo, lo spartiacque tra le città della fantascienza e quelle reali è senza dubbio il primo Blade Runner, la cui Los Angeles è spesso indistinguibile dalla contemporanea Shanghai, come ci insegna il progetto Blade runner or reality, che mescola immagini tratte dal film di Ridley Scott e foto del mondo contemporaneo. Qui le più vistose differenze sono lo sviluppo delle intelligenze artificiali e la presenza delle discutibili macchine volanti.
Se mescoliamo alcuni elementi della fantascienza più datata della lista (li ho messi in corsivo), eliminiamo qualcosa e alziamo o abbassiamo la velocità di alcuni elementi, ecco che abbiamo il mondo contemporaneo. Le metropoli di Blade Runner, mescolate a quelle di Metropolis di Fritz Lang ed Helipolis di Ernst Jünger, ripropongono bene la struttura urbana delle città contemporanee, da Oriente a Occidente. La distopia del controllo di 1984, sebbene in modi e stili diversi, si è ampiamente avverata negli algoritmi che monitorano i nostri consumi o, come in Cina, nelle app per misurare il social score. Internet è stato più o meno previsto da Gibson, mentre la criminalità e il nichilismo adolescenziale di Arancia Meccanica lo ritroviamo nella cronaca e nell’estetica contemporanea. Anche l’importanza e la diffusione delle sostanze psicotrope è stata predetta già nei primi del novecento, sia nel Mondo Nuovo di Huxley che nell’Heliopolis di Jünger – insomma, tra il 1920 e il 1980 pare che la fantascienza abbia visto il 2020 con una buona approssimazione. L’unica a non essersi avverata sembrerebbe l’utopia socialista della Stella Rossa di Bogdanov, ed è un peccato, perché una società priva di generi (Bogdanov era pioniere dei gender studies), in cui si lavora tante ore quante si desidera (e della piena automazione) mantenendo la possibilità di cambiare mestiere e in cui i big data vengono usati per stabilire la produzione industriale o per rimediare alla disoccupazione è tutto sommato più gradevole di un pianeta verso il collasso climatico. Senza contare che tutto questo avviene in un clima di libertà intellettuale che purtroppo Lenin (avverso a Bogdanov) non ha incentivato nella Russia comunista. Peccato.
A proposito di comunismo e sogni, passiamo alle città utopiche, che poi sono quasi sempre distopiche. Ogni utopia, infatti, è tale solo per chi ne accetta l’idea di felicità; abbassiamo le pretese dunque, e cerchiamo dei posti che pur nei loro difetti sembrano più decenti delle metropoli contemporanee. Anche con l’asticella bassa ne ho trovate poche: la succitata utopia socialista della Stella Rossa, quella socialdemocratica della Starfleet San Francisco di Star Trek, che soprattutto nelle prime stagioni rappresenta la fantascienza utopico-dem per definizione, la tecnoutopia di Wakanda di Black Panther e la Los Angeles hipster-liberista di Her. Intendiamoci, queste città hanno i loro problemi, dal difficile (ma gestibile) coesistere di razze e società aliene alla non auspicabile vittoria dell’estetica hipster, ma tendenzialmente dipingono tutte metropoli abbastanza prospere – una sorta di lieto fine di alcune delle attuali strutture sociali. Altre città, invece, come Diaspar de La città e le stelle di Clarke o Bregna di Aeon Flux, barattano una relativa pace con l’ignoranza e l’assenza di libertà. Sono metropoli chiuse all’esterno, piene di misteri che, una volta rivelati, possono mettere a repentaglio il “lieto vivere”. Si direbbe che queste città rappresentano la tendenza a fortificare i residui del benessere in modo da rallentare il più possibile l’inevitabile declino – un altro tratto tipico dell’Occidente contemporaneo. In questa categoria potrebbe rientrare anche Salem, la città volante di Alita, che scarica i suoi rifiuti nella sottostante Città Discarica, o la Capitol city di Hunger games, due modelli urbani che testimoniano un altro elemento ricorrente, ovvero il divario sempre più estremo tra classi più o meno abbienti, che si rispecchia in una rigida segregazione abitativa. Anche qui, nulla che non faccia parte del nostro presente.
Gli aggregati urbani diventano più interessanti quando affrontano le probabili sfide del futuro: cambiamento climatico, guerre, immigrazione. Abbiamo così la segregazione della Johannesburg di District 9, le coltivazioni di vermi di Blade Runner 2, unica fonte proteica in un mondo dall’ecologia ormai distrutta, ma anche le varie tecnologie per affrontare le temperature estreme e l’assenza d’acqua nella pur florida Arrakeen di Dune. Con la realtà che ha superato le distopie del passato, la fantascienza ha dovuto prendere una piega decisamente più apocalittica dando vita dagli anni novanta a un rinascimento delle distopie. Quale che sia l’apocalisse in atto, i nuovi centri urbani sono spesso i resti delle vecchie metropoli, i cui governi variano dalle società tribali di Mad Max alle città-stato rette da monarchie assolute di Kenshiro. Spesso l’architettura urbana è più complessa e si modella sulle necessità del nuovo ambiente: è il caso della città sotterranea di Zion di Matrix o di Neo Tokyo 3, la città sotterranea e retrattile di Neon Genesis Evangelion. Le città si plasmano in base ai pericoli e alle risorse, nel bene (come la stazione Spaziale Cooper di Interstellar) o più spesso nel male. Ricorre l’elemento del sotterraneo, che se un po’ riporta alla necessità di un ambiente chiuso, controllabile e protetto, simbolizza anche un ritorno al passato remoto della nostra specie. Come distopia urbana più estrema ho selezionato la megastruttura di Blame! di Tsutomu Nihei: una città impazzita che si costruisce da sola su livelli affastellati l’uno sull’altro; scomposta, pericolosa, claustrofobica, priva di qualunque elemento umano, estesa a partire dalla Terra per inghiottire l’intero sistema solare e oltre. Il raffinato inferno urbano di Nihei è ai limiti dell’immaginabile, una manifestazione estrema dell’incubo antropocenico dell’uomo contemporaneo, l’aver costruito un mondo a sua immagine e somiglianza – ovvero orrendo.
La prima superficiale risposta alla mia domanda, dunque, va a favore della capacità predittiva dell’uomo e a discapito della sua forza reattiva. Siamo in grado di capire dove stiamo andando ma non riusciamo a cambiare strada. La fantascienza, come un sogno collettivo, ci aiuta a esplorare le nostre possibilità senza limitarsi alla pittura di uno scenario, ma inglobando in esso le nostre responsabilità e chance. Come spesso accade è dalle opere fuori categoria che si traggono gli spunti più interessanti, come ad esempio l’onirica Perla de L’Altra parte di Kubin, o La città e la città di China Miéville; modelli di città interiori che ci aiutano a esplorare le griglie spaziali – i loci – in cui sistemiamo conoscenza e memoria. La morale provvisoria di questo articolo però la voglio trarre da La jetée, un cortometraggio di Chris Marker del 1962 che ha ispirato il più celebre Esercito delle 12 scimmie di Terry Gilliam. In questo filmato composto interamente da fotografie accompagnate da una narrazione fuori campo abbiamo un’ambientazione post-apocalittica (in questo caso una guerra nucleare), con pochi superstiti esiliati sottoterra. Quel che più colpisce però fa parte della narrazione, in cui (allerta spoiler) il protagonista, che viene costretto a viaggiare nel tempo per evitare l’apocalisse, preferisce alla salvezza offertagli dagli umani del futuro la possibilità di tornare nel passato prima della catastrofe, alla ricerca del proprio amore scomparso. Piuttosto che mutare drasticamente la sua condizione e costruire un nuovo futuro, sceglie di rivivere il passato – ma sarà proprio questa decisione a innescare la catastrofe, in un gioco fondato sul determinismo temporale. Ecco, credo che sia questa la tendenza da evitare, perché è meglio trovare il coraggio di scegliere dei cambiamenti difficili piuttosto che attendere che il futuro ne imponga di peggiori, con apocalittica durezza.