Guerra e ambiente: le conseguenze ambientali dei conflitti - Singola | Storie di scenari e orizzonti
Operazione militare nell'Ucraina dell'Est, 2022
Operazione militare nell'Ucraina dell'Est, 2022 | Copyright: Wikimedia Commons

Guerra e ambiente: le conseguenze ambientali dei conflitti

Dalla Prima Guerra Mondiale a oggi l’impatto ambientale dei conflitti non è più circoscritto nel tempo e nello spazio delle operazioni militari. Anche la guerra in Ucraina non farà eccezione.

Operazione militare nell'Ucraina dell'Est, 2022 | Copyright: Wikimedia Commons
Davide Mazzocco

è giornalista, autore di documentari, si occupa da anni di ambiente, cultura e comunicazione per il web e per la carta stampata. Ha all’attivo una quindicina di pubblicazioni fra cui Giornalismo online (2014), Propaganda pop (2016), Cronofagia (2019), Novecento lusitano (2019), Geomanzia (2021) e La mente è un luogo appartato (2022).

Sin dall’antichità le guerre hanno avuto conseguenze ambientali devastanti su popolazioni e territori, ma nell’ultimo secolo i fattori di impatto ambientale sono aumentati esponenzialmente, così come il perdurare delle forme di inquinamento nel corso del tempo.

È come se, placatosi il fragore delle esplosioni, quando le telecamere e l’attenzione dei media sono già altrove, cominciasse una nuova guerra sotto mentite spoglie. In tempo di pace, il conflitto continua il suo lento lavorio sulla salute dei sopravvissuti, sulla fauna e sulla flora e sull’acqua, elemento imprescindibile per la vita.

L’inquinamento causato dai conflitti può essere un effetto collaterale, ma può anche essere consapevole e strategico, tanto che due modalità di sabotaggio ambientale in uso da tempo immemore sono diventate addirittura modi di dire compiendo un salto semantico: “avvelenare i pozzi” e “fare terra bruciata”. L’esempio più noto di quest’ultima pratica è l’incendio di Mosca del settembre 1812, nell’imminenza dell’ingresso delle truppe napoleoniche nella città russa. Nella seconda guerra sino-giapponese (1937-1945), per contrastare l’invasione delle truppe giapponesi, le autorità cinesi distrussero una diga sul fiume Giallo, annegando migliaia di soldati nemici, ma anche migliaia di contadini che si trovavano nell’area dell’allagamento.

Fra gli obiettivi strategici dei bombardamenti vi sono molto spesso gli impianti che trattano le sostanze inquinanti oppure quelli deputati alla potabilizzazione e alla depurazione delle acque. Una modalità operativa che sembra essere la versione riveduta e corretta dell’antico avvelenamento dei pozzi.

La necessità di fornire alimenti alle truppe impegnate nei conflitti spinge, in taluni casi, al bracconaggio. Uno degli esempi più recenti è la guerra in Sudan che ha auto conseguenze devastanti per la locale popolazione di elefanti (ridottisi da 22.000 a 5.000) e di rinoceronti bianchi (con appena 15 esemplari sopravvissuti).

Un C-123 statunitense sparge l'Agent Orange, Vietnam, anni '60.

Un C-123 statunitense sparge l'Agent Orange, Vietnam, anni '60. | Wikimedia Commons

Ecosistemi sotto attacco

Esempio emblematico di distruzione dell’habitat naturale è l’utilizzo, da parte dell’esercito statunitense, dell’Agent Orange sulle foreste e sulle paludi del Vietnam. Secondo le stime nel sud-est asiatico sarebbero stati utilizzati 5,2 milioni di litri di erbicida, che hanno causato la distruzione della vegetazione su di un’area di 18.210 kmq. Secondo un rapporto pubblicato su Nature nel 2003 l’utilizzo dell’Agent Orange avrebbe interessato 3181 villaggi e una popolazione complessiva compresa fra 2,1 e 4,8 milioni di persone. Fra le vittime delle irrorazioni effettuate fra il 1961 e il 1971 non vi sono solamente le persone direttamente esposte all’agente chimico, ma anche i loro discendenti nati con malformazioni e varie forme di tumori. 

L’afflusso di profughi e l’aumento della popolazione in territori a bassa densità provoca squilibri ecosistemici non indifferenti: l’aumento della richiesta di risorse idriche, l’erosione del suolo e la contaminazione della terra e dell’acqua a causa dei rifiuti sottopongono gli habitat a stress spesso insostenibili.

Un’altra conseguenza della movimentazione delle truppe e dei mezzi militari è l’ingresso delle specie invasive, un potentissimo fattore di disequilibrio degli ecosistemi. Durante la Seconda Guerra Mondiale i movimenti delle truppe nell’isola di Laysan introdussero i topi e i conigli domestici che provocarono la scomparsa del fringuello di Laysan e della schiribilla di Laysan. Non bisogna viaggiare fino all’Oceano Pacifico per trovare esempi di come le specie invasive alterino gli ecosistemi: il patogeno che causa il cancro del castagno è giunto in Europa al termine della Prima Guerra Mondiale, attraverso casse e imballaggi realizzati con legno di castagno infetto, provenienti dagli Stati Uniti. Anche il cancro colorato dei platani è stato veicolato dal legname di platano infetto delle casse delle munizioni statunitensi della Seconda Guerra Mondiale.

Armi invisibili

Nonostante la Convenzione per le armi biologiche del 1972 e la Convenzione sulle Armi Chimiche del 1993, l’utilizzo di questo particolare tipo di armamenti viene ciclicamente denunciato dalle parti offese dei vari conflitti in atto a livello globale. Uno degli esempi più noti è l’attacco chimico avvenuto il 21 agosto 2013 a Ghuta, un sobborgo a sud-est di Damasco. Dopo il rinvenimento, da parte degli inquirenti delle Nazioni Unite, di tracce di gas sarin sui corpi delle vittime, il governo siriano e i ribelli, impegnati in una cruenta guerra civile, si lanciarono reciproche accuse.

Un discorso a parte meritano le armi nucleari. Se le bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki nell’agosto del 1945 restano casi isolati di esplosione atomica su centri abitati, i test nucleari compiuti a partire da quella data restano in una zona d’ombra mediatica. Assai meno noto è l’incidente avvenuto nella Baia di Baffin il 21 gennaio 1968. Un B52 statunitense con quattro bombe a testata nucleare si schianta sulla banchisa a 12 chilometri dalla base aerea di Thule. Gli esplosivi convenzionali saltano e fanno andare in frantumi le bombe nucleari. Il plutonio si disperde nell’area. Le operazioni di bonifica, con l’asportazione di 2 milioni di metri cubi di ghiaccio dal luogo dello schianto, durano per circa otto mesi. Negli anni successivi 450 operai danesi sui 1500 intervenuti dopo il disastro muoiono a causa delle radiazioni.  

Anche se nell’immaginario comune si tende ad associare le armi nucleari ai funghi atomici, un materiale radioattivo come l’uranio impoverito è stato utilizzato in maniera indiscriminata a cavallo fra il XX e il XXI secolo, in particolar modo nella prima Guerra del Golfo, nei conflitti dei Balcani e, in misura minore, nella seconda Guerra del Golfo. Molto apprezzato per la sua capacità di penetrare l’armatura dei carri armati, questo materiale ha provocato migliaia di casi di tumore fra i soldati coinvolti nei conflitti precedentemente citati.

Le stime più recenti dell’Osservatorio Militare ci dicono che 7500 soldati italiani hanno riscontrato patologie legate all’esposizione all’uranio impoverito e che 366 di loro sono morti in seguito alla malattia. È la cosiddetta “sindrome dei Balcani” che si manifesta perlopiù con il linfoma di Hodgkin, un raro tumore del sistema linfatico.

Anche se non si tratta di un atto di guerra in senso stretto, l’attentato terroristico dell’11 settembre 2001 ha avuto gravi conseguenze sulla salute dei sopravvissuti e dei soccorritori. Dei 115.630 partecipanti al World Trade Center Health Program 34.526 hanno accusato rinosinusiti croniche, 31.229 reflusso gastroesofageo e 26.197 hanno sviluppato tumori correlati alle sostanze tossiche e alle polveri liberatesi con il crollo delle Torri Gemelle. A oltre vent’anni di distanza, quindi, l’attentato dell’11 settembre continua a mietere vittime.

Occupazione irachena del Kuwait, 1991

Occupazione irachena del Kuwait, 1991 | United Nations / Flickr

Pesanti eredità

Non sono soltanto le armi biologiche, chimiche e nucleari ad avere un impatto di lungo termine sull’ambiente, anche le armi convenzionali contribuiscono all’inquinamento degli habitat e all’incremento delle patologie a esso collegate. Le esplosioni creano grandi quantità di polveri tossiche che inquinano l’aria, il suolo e le fonti d’acqua. Le conseguenze sono un aumento dei casi di cancro, delle malattie respiratorie (specialmente quando il crollo degli edifici libera nell’ario le pericolose fibre di amianto) e di difetti alla nascita. Anche il mare viene utilizzato come discarica per le eccedenze di munizioni.

I residuati bellici inesplosi sono un’eredità pesante che ogni tanto affiora nelle campagne dove si sono consumate le battaglie del Novecento. Pensiamo al nord-est della Francia dove si stima vi siano circa 300 milioni di proiettili inesplosi, il 30% del miliardo di munizioni sparati su quel fronte nel corso della Prima Guerra Mondiale. La minaccia è doppia: accanto a quella di un’esplosione ancora possibile vi è quella delle grandi quantità di sostanze e metalli tossici presenti nel terreno.

Se è vero che molte guerre sono la conseguenza di tensioni generate dalla crisi climatica, è anche vero che esiste un feedback che si muove nella direzione opposta. Secondo uno studio di un team di ricercatori della Durham University e della Lancaster University l’esercito americano è uno dei maggiori inquinatori climatici della storia sia perché è il più grande consumatore istituzionale mondiale di petrolio, sia perché è il principale emettitore globale di gas serra.

Solo nel 2017 l’Air Force ha acquistato 4,9 miliardi di dollari di carburante, la Marina 2,8 miliardi di dollari, l’esercito 947 milioni di dollari e i marines 36 milioni di dollari. Se le forze armate statunitensi fossero un Paese, il loro consumo di carburante liquido le collocherebbe fra il Perù (33 milioni di abitanti) e il Portogallo (10 milioni) nella graduatoria globale degli acquisti. Le emissioni totali delle forze militari statunitensi sono pari a quelle della Romania (19 milioni di abitanti).

Pozzo di petrolio in fiamme, Kuwait, 1991.

Pozzo di petrolio in fiamme, Kuwait, 1991.

Le criticità della guerra in Ucraina

La guerra in atto fra Russia e Ucraina non fa e non farà eccezione. A partire dal 2014, anno dell’annessione della Crimea da parte della Russia, i disastri ambientali in territorio ucraino sono stati molteplici: l’abbandono di fabbriche, fattorie e miniere nel Donbass ha provocato gravi problemi agli ecosistemi. L’allagamento di alcune miniere di carbone in disuso ha trasportato sostanze tossiche contaminando le falde acquifere che garantiscono l’approvvigionamento idrico della regione. Anche gli impianti industriali in disuso contribuiscono a incrementare l’inquinamento della regione, così come le distruzioni degli edifici nei centri urbani che diffondono nell’aria i metalli pesanti contenuti nelle fabbriche e l’amianto contenuto negli edifici. Negli attacchi delle ultime settimane a Kiev, Kharkiv e Mariupol oltre agli stabilimenti industriali sono stati colpiti depositi di rifiuti radioattivi e installazioni militari. Si tratta di atti di guerra che non avranno conseguenze immediate, ma manifesteranno il loro impatto nel corso del tempo. Tutto ciò avviene in un Paese fortemente industrializzato che, già prima dell’attuale conflitto, aveva una pessima qualità dell’aria.  

Le conseguenze ecologiche degli scontri perdureranno nel tempo e non saranno circoscrivibili ai teatri di guerra, basti pensare, per esempio, alla grande produzione cerealicola che dall’Ucraina arriva fino alle tavole degli europei. In un mondo interconnesso le linee di confine valgono solo nelle partite che si giocano sulla scacchiera della geopolitica, quelle relative agli ecosistemi si disputano su un campo di gioco senza caselle, dove ogni giocatore è perdente.

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è giornalista, autore di documentari, si occupa da anni di ambiente, cultura e comunicazione per il web e per la carta stampata. Ha all’attivo una quindicina di pubblicazioni fra cui Giornalismo online (2014), Propaganda pop (2016), Cronofagia (2019), Novecento lusitano (2019), Geomanzia (2021) e La mente è un luogo appartato (2022).

Pubblicato:
15-04-2022
Ultima modifica:
15-04-2022
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