Di acqua che si mescola
Italia | Arti
Il territorio letterario di Laura Pugno mostra una continuità tra reale e fantastico e una grande varietà di approcci e tematiche. Un dialogo a partire da Sirene e La metà di bosco.
Due testi sulla fuga dell'istante, "La madrivora", esordio narrativo di Roque Larraquy (2010) e di recente pubblicato in Italia da Alter Ego, e "Prisión perpetua" di Ricardo Piglia, inedito in Italia.
Nella chiusa della nouvelle “Prisión perpetua”, Ricardo Piglia descrive l’orizzonte, cioè il motore, lo scopo e l’effetto, del testo letterario: un narratore, desiderando fissare un oggetto nel ricordo, “trattiene, per un istante, il flusso della vita, per catturare, in quell’istante fugace, tutta la verità” (Prisión perpetua, Barcelona, Anagrama, 2000, p. 78, la traduzione è di chi scrive).
Partiremo da questa istanza, arbitraria come qualunque inizio, per leggere, in parallelo, due testi che sembrano comunicare sul piano della forma e dei temi: La madrivora, esordio narrativo di Roque Larraquy, uscito in Argentina nel 2010 e di recente pubblicato in Italia da Alter Ego nella traduzione di Carlo Alberto Montalto, e Prisión perpetua di Piglia, inedito in Italia, la cui prima pubblicazione argentina risale al 1988.
Si tratta di un circolo: l’orizzonte, come vedremo, è anche la trappola. Potremmo in effetti definire il testo letterario come l’insieme di procedimenti e di stratagemmi volti a modellare le condizioni dell’istante fugace; costituito quest’ultimo, chi narra si dispone alla cattura. A partire da quest’ulteriore premessa, solo apparentemente più arbitraria della prima, ci chiederemo: la cattura di cosa? E quante tecniche di cattura esistono? Molte di più di quante potremmo enumerarne, probabilmente. Ne isoleremo due: precipitazione e astrazione.
Il primo e più lampante legame tra i due libri è di carattere formale. Entrambi sono composti da una coppia di nouvelle tenute insieme dalla circolazione di oggetti e di personaggi da una narrazione all’altra. Si tratta di vincoli forti, per quanto laterali: l’ordito di “Encuentro en Saint-Nazaire” di Piglia, privato della nouvelle che dà il titolo al libro, è monco, cioè inefficace; lo stesso vale, in La madrivora, per “2009” rispetto a “1907”. In entrambi i casi è all’opera un processo di accumulazione per cui il senso e l’effetto della seconda nouvelle si determinano in base alle istanze articolate dalla narrazione che la precede.
In La madrivora e in Prisión perpetua, inoltre, risalta la figura, centrale e centripeta, della cattura, tanto dal punto di vista tematico quanto da quello, più elusivo, della costruzione narrativa. Costituire l’istante fugace, isolare l’oggetto e disporsi all’appropriazione: questi elementi descrivono, per prima cosa, un movimento specifico nella narrazione. La costruzione narrativa, tuttavia, è ciò che determina le principali differenze tra le due opere.
Cominciamo dall’ovvio. Prisión perpetua è narrato al passato, la distanza temporale è il primo indizio della tecnica di cattura. Ricordiamo l’adagio erotico: il tempo guarisce le ferite. Non le guarisce del tutto, nelle nouvelle di Piglia, ma ne raffredda le cause, rendendo al movimento narrativo un carattere estremamente cerebrale e speculativo.
Lontano nel tempo, quasi inerte, l’oggetto della cattura si fa astratto. In “Encuentro en Saint-Nazaire” si tratta del tempo stesso: la possibilità di prevedere il futuro attraverso la scrittura del passato. È il diario come oracolo e non è irrilevante, nel testo, che l’autore del diario sia lo stesso personaggio, Stephen Stevensen, che ordisce una trappola al narratore. Perché l’esperimento (la cattura) funzioni, bisogna che il narratore vi cada dentro, che si ritrovi davanti alle pagine del diario. Quando comincia a leggerle, cessa di tenere le redini del gioco: la voce del diario, la voce del passato che intende afferrare il futuro, si appropria della storia.
Della prima nouvelle, “Prisión perpetua”, si è detto: l’oggetto della cattura riguarda la definizione delle condizioni a partire dalle quali ogni cattura è possibile. Notiamo la tendenza del testo a specchiarsi: eredità borgesiana, appropriazione astratta, vertigine fredda. Il movimento delle voci narranti è più sofisticato: anche qui una voce entra nel dominio dell’altra e se ne impossessa; a differenza di “Encuentro en Saint-Nazaire”, il procedimento si ripete fino a cancellare, nella chiusa, le tracce delle voci che hanno preso la parola fino a quel momento. La mise en abyme radicale della posizione del narratore produce lo scarto che il testo persegue fin dall’inizio: intrappolando le voci in un continuo moto di intersezioni e transizioni, è possibile isolare l’istante fugace durante il quale un narratore (qualunque narratore), trattenendo il flusso della vita, prova a catturare tutta la verità.
Entrambe le nouvelle che compongono La madrivora sono invece narrate al presente. Il semplice disporre, sul piano temporale, il desiderio del narratore nel vivo del processo mentre accade produce conseguenze drastiche. Il piano sincronico determina per prima cosa un movimento (più efferato) e una densità (più volatile) specifici. Se in Prisión perpetua l’ingresso nella narrazione di un nuovo elemento, di un nuovo oggetto (ad esempio: la storia d’amore tragica di Steve Ratliff) richiede una preparazione e una giustificazione ex ante, lo sguardo aggressivo, famelico e sincrono, dei narratori di “1907” e “2009” giustifica la presenza di ogni nuovo oggetto per il fatto stesso di osservarlo, mentre lo osserva. Questo dettaglio accende e disordina la narrazione, le conferisce la forma di un sopruso. In Prisión perpetua l’oggetto era già lì: la narrazione è la storia (già avvenuta) della sua scoperta. In La madrivora l’oggetto appare e scompare; non c’è alcun senso da rivelare, al di là del capriccio del narratore che ora vuole ardentemente una cosa, ora la allontana, la cancella, la dimentica. Il rischio (elevato) che la tensione narrativa si disperda è attenuato dalla presenza, in entrambe le nouvelle, di uno strato di sotto-trame.
In “1907”, accanto alla vicenda delle ricerche condotte nel Sanatorio Temperley (un’elaborata macchinazione pseudo-scientifica per permettere ai medici di provare a registrare le parole dei pazienti pochi secondi dopo la loro morte per decapitazione), c’è la storia dell’attrazione del dottor Quintana per la caposala. Quintana, voce narrante, desidera possedere quella donna dall’aria riservata e autosufficiente (la dignità e la precisione della donna, insieme al suo tabagismo, sono, per il narratore, fortemente trasgressivi), per privarla dei tratti che, ai suoi occhi, la rendono desiderabile – per annientarla. Le due storie sono legate nella misura in cui sono contenitori commutabili: la forza che le spinge è la stessa e i suoi effetti, come fluidi, riempiono ora l’uno ora l’altro.
“2009” si apre con la notizia di una tesi di laurea intorno alla vicenda di un artista osceno: enfant prodige, record di obesità in adolescenza, sadico amplificatore di deformità (proprie e altrui). Lo scopo del suo lavoro artistico consiste nel mostrare il processo di trasformazione della carne viva in materia inerte: l’istante fugace è reso eterno e universalmente fruibile, la cattura accade davanti agli occhi dello spettatore. Il motore di “2009”, tuttavia, è un altro: è la storia della relazione erotica di quest’uomo con la propria immagine, cioè della sua ricerca della propria immagine negli altri, storia che si incarna in episodi di umiliazione, abbandono, impennate immaginarie, tenerezza bulimica, mutilazioni e chirurgia plastica; l’ultimo uomo di cui si innamora è il suo sosia.
L’erotismo, d’altra parte, è forse la dimensione in cui la precipitazione, come movimento narrativo, trova la forma più adeguata: lo sguardo desiderante del narratore si muove senza pausa, nessun oggetto è in grado di soddisfarlo se non il prossimo, quello che verrà dopo, che non c’è ancora. Così, in La madrivora, interi pezzi della storia rischiano di scomparire se il narratore così vuole. In Prisión perpetua, al contrario, il narratore non vuole, deve. Questo scarto, tuttavia, non esclude la presenza della spinta erotica nel testo di Piglia. L’oggetto non rischia di scomparire, come nel testo di Larraquy; è già andato perduto, è irrecuperabile. La narrazione è una rincorsa all’indietro, il desiderio del narratore non si dà per vinto: se non può ritrovare l’oggetto, si ostinerà a riprodurre all’infinito le condizioni della sua ricerca.
Per isolare e costituire l’istante fugace, tuttavia, non basta volerlo o desiderarlo. Entrambi i testi, in questo senso, raggiungono il loro effetto nella misura in cui definiscono gli strumenti della cattura. Bisogna ridurre le variabili aperte a un insieme finito e manipolabile, forzare i limiti del processo per fare in modo che, alla fine, abbia un solo e unico volto, per quanto ambiguo o illusorio.
In La madrivora lo stratagemma è messo a tema. I medici del Sanatorio Temperley, in “1907”, perseguono un obiettivo utopico (registrare la voce della vita in corpi appena morti) dettato dalle possibilità offerte dalla tecnologia che hanno a disposizione; l’effetto delle installazioni del narratore di “2009” (fissare il decadimento del vivente nel momento in cui accade) è determinato in modo diretto e stringente dalle tecniche di conservazione della materia organica e da quelle della rappresentazione e della trasmissione audiovisuale.
In Prisión perpetua la tecnologia della rappresentazione (la rappresentazione come tecnologia dello sguardo) è articolata in modo diverso. Gli strumenti di riduzione del reale sono configurati come procedimenti letterari: la mise en abyme delle voci narranti; le tecniche combinatorie che permettono la circolazione di temi e oggetti da una voce all’altra. II sopruso, tuttavia, per quanto riarticolato, resta vigente, e si rivela in un passaggio della seconda nouvelle, quando Stephen Stevensen formula il principio di equivalenza tra gli strumenti combinatori dell’intertestualità e quelli della logica computazionale: “Per decifrare un enigma ci sono due alternative: l'accumulazione infinita di dati diversi, o l'utilizzazione infinita dello stesso dato” (p. 99).
La trappola determinata dalle condizioni dello sguardo, in “Encuentro en Saint-Nazaire" di Piglia, si lega, sul piano dell’intreccio, a quella ordita da Stevensen ai danni del narratore: ragioni letterarie la giustificano. In “2009” di Larraquy queste stesse ragioni (dell’arte come della letteratura) hanno già perso legittimità: “Come un sipario calato sulla ricerca, un’ingegnera chimica ci dice che se qualcuno scoprisse il modo d’infrangere le leggi gravitazionali con derivati del petrolio, il mondo dell’arte sarebbe l’ultimo a saperlo” (p. 143). Questo scarto rimanda a questioni che competono alla sociologia della letteratura e che riguardano il ruolo, la funzione, l’autonomia (la strumentazione) e le condizioni di diffusione e ricezione della letteratura e dell’arte nella società contemporanea (ricordiamo che Prisión perpetua è stato pubblicato per la prima volta in Argentina vent’anni prima di La madrivora).
Gli strumenti di cui entrambi i testi si servono per effettuare la cattura (per ridurre il reale a un insieme finito e manipolabile) non sono neutri. Il testo di Piglia produce un circolo, un meccanismo ricorsivo che li integra, li riarticola e se ne appropria, tentando di piegarli ai propri fini. Pur dissimulandolo, agisce la cattura e finisce per ritrovare, nella trappola, uno specchio: l’oggetto della ricerca è il soggetto che ricerca.
La madrivora, al contrario, è dominata dal movimento che gli strumenti di cui si serve le dettano e impongono. I limiti e le possibilità delle tecnologie a disposizione determinano, in entrambe le nouvelle, l’intera costruzione dell’intreccio: la stratificazione della trama; la necessità di introdurre e rimuovere oggetti dalla narrazione, tra cui la stessa madrivora, pianta esotica la cui linfa produce larve esiziali, e la cui circolazione da una nouvelle all’altra sancisce l’unità nominale del libro. Lo sguardo famelico, aggressivo, volatile e distruttore dei due narratori di La madrivora è allora un’esca, un allestimento erotico, e dice il contrario di ciò che, alla lettera, enuncia: mi dichiaro predatore, in verità sono preda, catturami.