Riformulare la propria capacità di sviluppo o trasformarsi definitivamente in un parco giochi turistico: un dilemma tutto europeo le cui risposte possono venire dall'analisi delle regioni urbane.
Klaus R. Kunzmann ci rilascia questa intervista nella sua casa sul Lübbensee, un lago nelle campagne del Brandenburgo vicino Berlino. Il pomeriggio è caldo, la vegetazione profonda, l'acqua del lago azzurra e cristallina.
A prima vista, siamo lontanissimi dal tema che vogliamo analizzare, che è l'urbanizzazione. Ma quando la moglie del professore, una gentilissima donna cinese, in maniera del tutto naturale ci serve tè nero e uno strudel di mele, iniziamo a mettere a fuoco il contesto: siamo di fronte a uno dei massimi esperti mondiali di pianificazione territoriale, nella sua seconda casa, in un luogo che per flussi e influenza orbita ancora intorno a Berlino. Non siamo lontani dall'internazionalità e dall'urbanizzazione: siamo in una sua diramazione, nella sua parte più dolce e dorata.
Cosí, un po' confusi, ci predisponiamo all'intervista. Con il problema aggiuntivo che le domande che abbiamo da porre a Kunzmann sono poche e fumose, e lo diventano ancora di più di fronte alle domande molto più numerose e stringenti che ci vengono rivolte da lui.
L'intervista che segue è quindi il risultato di una discussione, lunga un pomeriggio, e piena di input e di suggerimenti che ci sono venuti direttamente dall'intervistato. Pertanto, in aggiunta alla classica serie di domande e risposte, riteniamo importante includere qui alcune questioni aggiuntive su cui Kunzmann si è sofferrmato con una certa insistenza, anche perché alcune di quelle che ci sembravano più marginali rappresentavano i punti più salienti del tema cosí come il professore lo avrebbe voluto trattare.
La prima di queste questioni riguarda il titolo della issue, Megacity. A tale proposito, Kunzmann ci ha fatto presente che, parlando dell'Europa, avrebbe avuto più senso dire perché ce ne siano cosí poche, di megacity (solo Londra e Parigi), che farne un ritratto. Inoltre a suo modo di vedere, il termine Megacity rappresenta più una buzzword che un reale fenomeno. Le "vere" Megacity, ha tenuto a specificare, esistono solo in Cina, come l'agglomerato di Jing-Jin-Ji (Beijing-Tianjin-Hebei), l'agglomerato del delta del Fiume delle Perle (Hongkong, Shenzhen and Guangzhou) o la conurbazione del delta del Fiume Yangtze intorno a Shanghai. Siamo stati tentati di cambiare il titolo in corso d'opera, per poi tornare sulla nostra prima scelta.
La seconda questione è che il nocciolo dell'intervista, come l'avevamo originariamente intesa, era il superamento del modello di sviluppo della "banana blu", del 1989 (un costrutto geografico spesso malinterpretato di una concentrazione urbana da Londra a Milano, non un modello per un futuro sviluppo territoriale europeo), che Kunzmann e un suo collega avevano messo in discussione nel 1996 avanzando un modello alternativo da loro ribattezzato "a grappolo d'uva". Questo superamento ci era noto: un po' meno quanto agli occhi di Kunzmann, la banana blu, nonostante la grande popolarità di cui negli anni ha goduto, fosse (e sia ancora oggi) un modello debole, politicizzato e pieno di contraddizioni, al punto che potevamo tranquillamente tralasciarlo. Questo secondo cambio di rotta ci ha portato a "ritarare" il baricentro dell'analisi su un modello più scientifico e documentabile, che è appunto quello della "regione urbana" europea, dove avviene appunto lo sviluppo urbano più innovativo, e delle tendenze previste nel continente in termini geografici più generali.
Singola - 30 anni fa lei ha scritto che in un mondo globalizzato, l'Europa - con le sue grandi e piccole città ricche di storia - fungerà come parco culturale a tema per i turisti di tutto il mondo. Cosa aveva in mente esattamente allora? Crede che questa sia ancora una narrazione realistica dopo la pandemia di Covid-19?
Klaus R. Kunzmann - Lo scenario da lei citato è stato pubblicato nel 1996, quindi anni prima della crisi finanziaria globale del 2007/2008 e della pandemia di Covid-19 del 2020. È stato uno dei cinque scenari - da me immaginati - che dovrebbero illustrare diversi modi di pensare il futuro territoriale dell'Europa. In questo scenario, ma si può anche definire "narrazione", ho scritto che un futuro ruolo dell'Europa potrà essere quello di un grande parco a tema: abbiamo validi argomenti per percepire l'Europa nel XXI secolo come il primo target turistico per i turisti asiatici, alla ricerca di paesaggi medievali incontaminati, tour romantici delle città e dei paesaggi feudali, per esplorare gli spazi della vita di filosofi, poeti, scrittori e pittori, nonché i progetti di architetti, urbanisti e ingegneri innovativi; ma anche per visitare luoghi in cui una politica più fantasiosa e socialmente responsabile ha contribuito a trasformare in ambienti più tranquilli. Ho scritto che il turismo cittadino, con tutti i suoi collegamenti economici multidirezionali, diventerà la principale fonte di reddito di un numero sempre maggiore di città e regioni europee, sia in Europa occidentale che orientale.
A meno che l'orgoglio europeo non lo blocchi, corporation come la Disney o le società di viaggi dominate dai cinesi gestiranno i progetti di punta di questo parco a tema europeo.
La crescita economica senza precedenti nell'Asia orientale e sudorientale, seguita da un'immensa speculazione fondiaria e da sviluppi urbani sproporzionati, ha fatto emergere culture locali e regionali nei rispettivi paesi d'origine, prima in Giappone, poi in Corea e in particolare in Cina. In Asia la classe media istruita, in continua evoluzione, può permettersi di viaggiare qui in Europa, nella culla della modernizzazione, dove può vedere ciò che è stato irreversibilmente distrutto nei suoi paesi d'origine da una massiccia urbanizzazione sostenuta politicamente. In Europa questi possono studiare le lingue in un ambiente in cui si parlano altre lingue, qui possono mangiare cibo italiano, francese o tedesco e imparare a cucinare i piatti che hanno apprezzato durante le loro vacanze. Qui possono imparare a ballare, a suonare uno strumento musicale o semplicemente a godersi le esibizioni di uno dei tanti festival musicali del continente. A seconda del reddito disponibile e della loro ricchezza, possono acquistare una seconda casa, in una delle città che gli piacevano o in pittoreschi villaggi in Grecia, Portogallo, Slovenia, Italia o Svezia, abbandonati dalla popolazione locale a causa della mancanza di lavoro e di servizi pubblici.
Di conseguenza, già nel 2018 un segmento considerevole di posti di lavoro in Europa dipendeva dal turismo. Nel 2018 la quota PIL del turismo in Austria era del 15,4%, in Spagna del 14,6% in Italia del 13,2% e in Francia del 9,5%. Se si aggiungono i posti di lavoro nelle industrie creative e culturali, l'importanza di questo settore è ancora più evidente. I futuri turisti non verranno solo dall'Asia. L'Europa sarà anche un target popolare di turisti provenienti dagli Stati Uniti o dalle Americhe, dall'Australia e dall'Africa.
La pandemia non renderà obsoleto questo scenario, anche se ridurrà i flussi turistici internazionali per qualche anno. A causa delle restrizioni ai viaggi internazionali, l'Europa riceverà meno turisti personali e d'affari fino a quando la pandemia non sarà sotto controllo e un vaccino contro il virus sarà disponibile per tutti. La pandemia aumenterà il turismo all'interno dei paesi, ma non più tardi del 2025, questo tornerà ad avere la propria rilevanza. La gente ama viaggiare e rilassarsi, quando può permettersi di lasciare casa propria per un po' di tempo.
SNG - Nel modello della regione urbana come fulcro dello sviluppo strategico, come leggere l'espandersi negli ultimi decenni di ciò che chiamiamo città diffusa? Concentriamoci in particolare sull'Italia.
KRK - Tutte le regioni urbane europee vedono un'incremento del cosiddetto sprawl. In Italia si preferisce usare il termine città diffusa per descrivere il fenomeno, riferito in particolare alle regioni urbane di Milano, Torino, Roma e Napoli. L'espansione urbana è una conseguenza di uno sviluppo urbano strategico non pianificato. La popolazione nelle regioni urbane sta crescendo, poiché sempre più persone lasciano la campagna per trovare lavoro nelle città. Tuttavia, poiché le zone residenziali nei centri urbani sono sempre più estese, questi trovano una vita a prezzi accessibili solo marginalizzandosi, andando a far parte di comunità più marginali.
I governi che regolano queste comunità, i cui politici non sono di rado incompetenti o fiancheggiati da qualche élite populiste, si trovano spesso combattuti dal conflitto tra la domanda di nuove abitazioni e la protezione dell'ambiente e del paesaggio.
Inoltre ricevono pressioni dalle città stesse, nel momento in cui le loro località vengono selezionate come siti per lo smaltimento dei rifiuti, per impianti di depurazione delle acque o la costruizione di centri logistici e infrastrutture ancora più grandi. Di norma, le tensioni tra le autorità locali, le piccole città e i governi provinciali, così come tra i partiti politici che abusano dei progetti locali per guerre ideologiche, ostacolano l'efficienza dei processi di pianificazione e di decisione nelle regioni urbane. Queste, tuttavia, possono affrontare le sfide del XXI secolo solo se riescono a concordare insieme strategie di sviluppo territoriale sostenibile che mirano a modernizzare le infrastrutture e a trovare compromessi tra lo sviluppo economico e ambientale, tra il processo decisionale dall'alto verso il basso e quello dal basso verso l'alto. Infine, c'è ancora un altro problema: mentre i centri delle città centrali o le piccole città europee beneficiano ancora dell'identità dei paesaggi storici, il nuovo sviluppo edilizio suburbano manca di una identità locale.
SNG - Se tutto lo sviluppo economico si concentra nelle regioni urbane, cosa accadrà nella periferia di queste regioni? Le tecnologie digitali incoraggeranno le persone a vivere e lavorare in campagna al di là dell'immediato entroterra delle regioni urbane?
KRK - Come conseguenza della globalizzazione ininterrotta, e del potere delle regioni capitalisticamente più avanzate, ai margini delle regioni urbane si continueranno a perdere posti di lavoro. L'eco-agricoltura industriale e la silvicoltura domineranno e forniranno pochi posti di lavoro, a meno che queste regioni non siano attraenti e si qualifichino per il turismo e come meta della "seconda casa". Le persone che vogliono rimanere in queste regioni, per un motivo o per l'altro, potrebbero aspettarsi di essere sostenute dallo Stato attraverso un generoso reddito di base e di avere accesso a servizi pubblici completamente sovvenzionati. In una certa misura, le tecnologie digitali dell'informazione e della comunicazione possono incoraggiare alcune persone a rimanere in campagna e a svolgere il loro lavoro da casa, fornendo nuovi servizi di mobilità e aiutando a organizzare i servizi sanitari per gli anziani. Pochi giovani potrebbero anche decidere di sperimentare nuovi stili di vita, durante le diverse fasi della loro crescita, nella remota periferia. Si potrebbe immaginare che le regioni delle città vicine possano assumere una certa responsabilità per questi territori periferici nell'interesse dei loro cittadini. Le terre non più adatte all'agricoltura potrebbero venire rimboschite e lasciata alla natura, o ad esempio, per scopi militari.
[Intervista rilasciata il 21 settembre 2020]
(1942) è urbanista e ricercatore. Per oltre 30 anni ha coperto i ruoli di professore ordinario e direttore dell'Instituto di Pianificazione Territoriale presso l'Università tecnica di Dortmund. Attualmente il suo lavoro di ricerca si concentra sui modelli innovativi di policy urbana e sulla pianificazione territoriale europea. È stato visiting professor nei più prestigiosi atenei mondiali e ha partecipato a diversi progetti di ricerca supportati dalla Commissione Europea. È membro del comitato scientifico di alcune riviste di urbanistica e ha pubblicato numerosi libri e articoli, principalmente sullo sviluppo regionale e l'industria del turismo. Vive e lavora a Potdsam, Germania.