Facebook e l'Aldilà - Singola | Storie di scenari e orizzonti
Da "Aladino e la lampada magica" di Ludwig Fulda, 1912
Da "Aladino e la lampada magica" di Ludwig Fulda, 1912

Facebook e l'Aldilà

Appunti per un viaggio tra Internet e Noosfera.

Da "Aladino e la lampada magica" di Ludwig Fulda, 1912
Francesca Palazzi Arduini

si occupa di co­municazione, specialmente del rapporto tra pensiero libertario, femminismo e nuove tecnologie. Autrice di svariati saggi e ar­ticoli, anche su Singola, (Facebook e l’Aldilà, e Contro l’internet delle cose, 2020), è autrice tra l’altro dell’Appello contro l’obbligo digi­tale (2022). Sempre sul tema ha pubblicato Il Castello di carte. Pensiero libertario e democrazie nell’epoca del voto digitale (2022). È autrice di Neurobiscotti. Pandemia e pubblicità (Novalogos, 2022).

Chi ha letto ‘Le mille e una notte’ ricorderà Aladino, un ragazzo fortunato perché possiede anche un anello collegato alla sua lampada incantata, rubata da un avido mago. Vi ricorda qualcosa?
Aladino possiede un anello precursore dello smart-watch, in grado di evocare servitù magiche, in caso di smarrimento della lampada. “Mi rincresce assai, ma ciò che mi hai chiesto è una cosa che io non posso fare, essendo essa di competenza dei servi della lampada…”, potrebbe rispondere così, anche oggi, l’Echo Dot quando gli si chiedono cose troppo impegnative per i suoi mezzi.
Che le fantasie del passato, sulle necessità umane ed il modo di affrancarsene, vivano dentro gli schemi della tecnologia del nostro tempo non è sempre palese. Eppure il motore di ricerca risponde ad ogni domanda come un oracolo, e la lampada “touch screen” ci consente di chiamare a noi vari servi, incaricati di portarci ogni sorta di cose esattamente come i Geni nella fiaba di Aladino.

L’algoritmo di Facebook per molti è sinonimo di formula magica, e gestisce l’accesso al profilo delle persone, creando “cerchie” di amici.  Da un lato, l’archivio di “facce” somiglia in maniera inquietante ad una diffusa tradizione: l’esposizione delle foto dei defunti nei cimiteri, dall’altro il social network nasce dall’applicazione di una visione catalogativa, a fini d’uso, degli Altri. E la creazione di queste “cerchie” ricorda in maniera netta le descrizioni teosofiche dell’al di là, tramandate e romanzate sino ad oggi.
In questi testi, che sostengono l’arcaico concetto della persistenza spirituale anche dopo la morte corporea, teorie che D.C. Dennet (1996) ed altri definirebbero “da buttare nella spazzatura”,  la socialità immateriale viene appunto descritta come organizzata in “cerchie” nelle quali le anime affini si incontrano. Il valore della condivisione emotiva, di comuni idealità ed interessi, una sorta di selezione della moltitudine, e di conseguenza anche di ordinamento nella naturale vicinanza/separazione da Altri, è antico e permea il nostro immaginario, andando al di là della “terrena” organizzazione familiare o tribale, dei concetti di casta, anche di quelli di classe sociale.

Ma tra immaginario e reale le regole cambiano: nella versione dei social network siamo noi che, in base all’algoritmo ma anche ai nostri gusti, ci scegliamo gli amici online, nell’al di là saremmo invece “trasportati/e” passivamente verso chi ci è amico. Scrive William Walker AtkinsonAbbandonando l’involucro del corpo fisico, l’anima diviene capace di relazioni molto più strette con le animi affini” (1915) …e si è anche visitati/e da chi non conosciamo ma è incaricato di darci consigli e aiuto! Una sorta di flusso regolato collettivo, non soggetto al “click” di autocostruzione individuale della rete in cui siamo immersi.
Archetipi, simboli e “schemi desideranti” permangono quindi nel nostro immaginario e nel nostro inconscio, nonostante siano stati scartati come costruzioni mentali inutili e balzane da gran parte del pensiero filosofico contemporaneo. In questo però continuiamo a chiederci cosa mai sia la coscienza umana, dopo aver lasciato sia le antiche teorie dualiste, quelle vitaliste, e pronti a fallire con l’inquietante test di Turing, nella speranza, o nel timore, che prima o poi il nostro robot mostri una coscienza, e non una semplice intenzionalità programmata da noi.

Noi siamo fatti di robot.”, siamo “un insieme di migliaia di miliardi di macchine macromolecolari. Tutte, in ultima analisi, discendenti dalle molecole autoreplicanti originali. Un qualcosa fatto dall’unione di numerosissimi robot può, quindi, esibire una autentica coscienza -  perché se c’è qualcuno che ne è dotato, quello di sicuro siete voi” (Dennet, 1996). Citazione esaustiva, che può portarci a ipotizzare che nessuna “coscienza” possa sorgere se non seguendo il filo dell’evoluzione non solo umana ma biologica, scartando ogni “Golem” (E. Wiesel), o Gooolem che si voglia, in quanto tentativo tecnologico di replicare la coscienza umana, accettandone semmai la “differenza”.
Ma torniamo alle corrispondenze tra i nostri “mondi magici”, quello antico e quello moderno. Anche la realtà delle “Cloud”, delle nuvole di dati, viene evocata nel racconto teosofico in cui si descrivono le emanazioni del pensiero di più anime vicine al di sopra dei luoghi in cui vivono: “queste emanazioni assomigliano a nuvolette, alcune delicate e trasparenti, altre oscure ed opache”.
Il collegamento del nostro “guscio” di energia, simile al corpo, chiamato “corpo astrale”, un connettore con la parte immateriale ma ancora individuale dell’essere umano, ci viene descritto come “sempre unito al corpo fisico, attraverso un tenue filo: se questo si rompesse, il corpo fisico morirebbe perché la connessione dell’anima verrebbe a cessare” (W. Atkinson). Questo corpo “astrale” non solo è “connesso”  ma vibra di colori a seconda dell’umore e dell’attività “mentale”.

Nemmeno l‘uso dei colori come interfaccia immediata che trasmette stati emotivi e spirituali, così come il linguaggio non verbale, sono novità: la semplificazione della comunicazione per stati emotivi ed immagini è centrale sia nella comunicazione con Emoticons che nella narrazione spiritualista del XX secolo. Prendiamo ad esempio il testo, venduto in milioni di copie, del dott. M. Newton, medico ipnotista che nel 1996 pubblica “Il viaggio delle anime”, raccolta di trascrizioni sotto ipnosi della ‘regressione’ di alcuni suoi pazienti a vite prima di quella loro attuale. Tesi antica ed avvincente giunta dal Tibet e dall’India in Occidente e nota, ad esempio, per l’ultimo romanzo di J. London, “Il vagabondo delle stelle” (1915), precursore di tanti altri romanzi e copioni.
In questi resoconti è simile quasi per tutti quello dell’intervallo tra le vite, nell’al di là, immaginato così: “Siamo tutti convogliati in un …oceano… dove cominciamo a vorticare su noi stessi… con grande lentezza. Poi mi sento sospinto alla deriva, verso un piccolo torrente, e tutto mi appare più calmo… al riparo dai pensieri di tante anime… Vado verso chi mi conosce”.
In molte di queste narrazioni appare l’archetipo del Girone o della Guida, di dantesca memoria, con anche una sorta di “Hub” e canale di transizione. Non solo, i colori e l’affettività sono fusi in una dimensione sinestetica. Il metodo di comunicazione tra “anime” pare quasi fotografico,  o per “meme” (nel senso di meme di internet, immagine più concetto, come proposto da M. Godwin nel 1993).

La serenità consiste inizialmente nell’ “andare verso chi già si conosce”, questo è ciò che facciamo nei social, costruendoci un guscio di affinità e sicurezze, prima di provare (se proviamo) a solcare l’ignoto.
Se leggiamo il noto e controverso R. Monroe, inventore della meditazione guidata tramite una frequenza sonora per il raggiungimento di “stati fuori dal corpo”, troviamo descrizioni molto nette circa la comunicazione non verbale che persone in meditazione, raggiunto uno stato comune a più soggetti (una sorta di piano extra corporeo) usano per comunicare. Qui siamo ad un livello estremamente “tecnico” , in una narrazione che vuole convincere anche i più refrattari della possibilità di questa dislocazione: Monroe dà un nome a varie modalità di comunicazione non verbale tra “anime”. La principale è la “Rote”, una sorta di sfera di pensiero o “pacchetto di pensieri” che si dirige ed apre verso la persona con cui si entra in contatto.

Questi esempi, forse fuori luogo per molti, sono invece utili per il nostro viaggio nelle similitudini tra tecnologia, immaginario popolare, e archetipi. La Sfera, ad esempio, un archetipo principe per l’umanità, non solo forma del pianeta che ci ospita e raccoglie ma forma del pensiero compiuto che, come una bolla, viene fatto viaggiare verso gli altri (Sloterdijk, 1998), e come un cerchio torna a proteggere la mente dai “mille deserti vuoti e freddi” della tecnologia e del cosmo. “Attraverso una pelle mediatica elettronica, il corpo dell’umanità vuole crearsi una nuova costituzione immunitaria”, scrive il filosofo, queste nuove cupole globalizzate riprendono schemi e intuizioni del passato, ciò che abbiamo sempre desiderato ed immaginato e che può proteggerci dal nulla, e dalla nostra impermanenza nel tempo (poi il filosofo parlerà di “schiuma”).

Così anche gli Avatar elettronici tornano a ridisegnare intuizioni di grande importanza.
Rispetto all’identità corporea ad esempio, il medico ipnotista Newton descrive con grande semplicità il “non problema” dell’orientamento sessuale delle persone, che parrebbe una sorta di prova oltre che di scelta: “L’omosessualità è vissuta nella nostra società come un marchio che rende più impervio il cammino nell’esistenza. Nel caso dei miei pazienti, la scelta di questo cammino risale spesso al bisogno karmico, sorto dalle contingenze delle vite precedenti, di accelerare il delicato processo di comprensione delle differenze di identità”. Il karma, quindi, come una sorta di percorso ad ostacoli, ben più impegnativo dell’Avatar digitale: gli stessi contenuti nella descrizione dei percorsi di vita riemergono, rielaborati, da un secolo all’altro.
In questo XXI secolo globalizzante, il “sentire gli altri” è parte di quel “sentimento oceanico” (P. Hadot, 1988) ben conosciuto dai mistici, che ci consente di fondere micro e macrocosmo, e riappare oggi sia come metodo che come esigenza etica, perché il “sentire” gli altri ci pone imperativi etici pressanti . 
Scrive M. Huemer (2020) rispetto al “sentire” globalizzato. “In tutto il mondo, 74 miliardi di animali, quasi dieci volte la popolazione umana, vengono macellati ogni anno per il nostro piacere gastronomico. Probabilmente dieci anni di allevamento industriale provocano più dolore e sofferenza di tutto il dolore e la sofferenza provati dall’umanità nel corso della storia”, questa considerazione può essere fatta oggi, sulla base di dati che solo internet può rendere accessibili, e basandosi su di un “immaginare” che solo il processo di globalizzazione culturale, iniziato con l’avvento delle radiocomunicazioni e l’intensificazione dei viaggi continentali, ha reso possibile.

Per Teilhard De Chardin ne “Il fenomeno umano” (1955): “Grazie al prodigioso avvenimento biologico rappresentato dalla scoperta delle onde elettromagnetiche, ogni individuo si trova ormai (attivamente e passivamente) presente nello stesso momento alla totalità dei mari e dei continenti, coestensivo alla terra”, e questa “coestensione” ha una forma sferica, o al massimo ellittica, mentre “per un continuo accrescimento dell’area individuale, l’umanità costretta a svilupparsi in una superficie chiusa, si trova irrimediabilmente sottoposta a una pressione formidabile”.
La complessità globalizzata ci spinge quindi a lasciare poco a poco i nostri involucri, sino a identificarci in una totalità, uno “strato pensante” (De Chardin) in grado di riconoscersi come Massa (Canetti, 1960), creando nuove, esponenziali, capacità intellettive e creative?
Qui potremmo citare Han Byung-Chul che nel suo “Nello sciame” (2014) descrive con toni pessimistici ed estremamente lucidi il rapporto tra masse globalizzate e potere. Byung-Chul scrive criticamente del nostro essere “la cosiddetta moltitudine, una combinazione di singolarità che comunicano tra loro attraverso la rete e agiscono insieme”, concludendo però, citando Negri e Hardt,  che “i soggetti economici neoliberisti non costituiscono un Noi capace di un’azione comune. Il crescente egotismo e l’atomizzazione della società restringono radicalmente gli spazi dell’agire comune…il socius cede il passo al solus; non la moltitudine, quanto piuttosto la solitudine contraddistingue la forma sociale odierna, sopraffatta dalla generale disgregazione del comune e del collettivo”.
Eppure , anche se stremati dalla dis-informazione e persi in contenitori digitali immensi e manipolabili, spesso incapaci ormai di concentraci su qualcosa per più di un minuto, e dedicando troppo tempo a facce prive di “sguardo”, continuiamo a usare la rete ed a digitalizzarci per desiderio di conoscere. Ciò sia pur con menti impreparate a capire, umanità spiritualmente cavernicola, sessista e violenta, con però in mano un tablet, oltre che il famoso bottone nucleare (“oh, shit”!).
Ma De Chardin, a proposito della sua Noosfera (dal greco Nous, mente), descrive ottimisticamente un processo inarrestabile, la Noosfera è la tensione evolutiva generale per cui essa: “tende a costituirsi in un solo sistema chiuso, in cui ciascun elemento vede, sente, desidera, soffre per conto proprio le stesse cose di tutti gli altri insieme”. Una descrizione di  “supercoscienza”, che non può non cucirsi su chi “entra” nella Rete ogni giorno.
In questa intuizione si pone, ieri ed oggi, gigantesca e contraddittoria, l ‘emotività come valore esperienziale di basilare della “comprensione” umana.
Emotività che è oggi più che mai un Prodotto, oltre che l’ultimo distinguo da macchine in grado di apprendere autonomamente, da calcolatori la cui evoluzione e le cui strategie svelano schemi e trame del Tappeto delle informazioni ignote ai loro stessi programmatori.
Un’emotività regina, dicevamo, divisa tra il volersi sentire altri,  il volere una “internet dei sensi”, e la paura dei “Panoptikon” (che comprendono, si badi bene, noi stessi che vediamo tutto degli altri) che ci sentono e ci prevedono, perché la profezia oggi è capacità di calcolo predittivo.
L’emotività, e l’empatia, sono alla base non solo del nuovo orizzonte della conoscenza umana, come discrimine rispetto al sapere delle macchine, ma dell’utopia spiritualista dei primi del Novecento. In questa utopia il legame spirituale tra le anime viene descritto come espressione compiuta di amore ed amicizia, comprensione, “intima comunione”, come quelle “rappresentazioni nell’arte drammatica, nella poesia e nelle canzoni” che “muovono corde di emozione e di simpatia e ci innalzano verso piani di pensiero più elevati”.
Una suggestiva descrizione, e previsione, della disseminazione intellettuale umana è presente in autori visionari come G. T. Fechner (1836): “Un Goethe, uno Schiller, un Napoleone, un Lutero vivono ancora fra noi e in noi come individui autocoscienti, sviluppati maggiormente che non alla loro morte, capaci di pensare ed agire nel nostro interno, in grado di produrre e far attecchire idee; ciascuno non più chiuso in un corpo angusto, ma diffuso nel mondo…”.
Ne  “Il fenomeno umano”, De Chardin parteggia per un’antropologia che vede l’umano come vertice della complessità autocosciente in natura. Teorizza quindi la personalizzazione come “centro” attraverso il quale, su un diverso piano, l’esistente si conosce, “La Terra che, non solo si ricopre di grani di coscienza a miriadi, ma si avvolge in un solo involucro pensante, sino a costituire, funzionalmente, un unico e vasto grano di pensiero, su scala siderale. La pluralità delle riflessioni individuali che si raggruppa e rafforza nell’atto di una sola riflessione unanime.”  La Noosfera è  Collettività di tutte le coscienze, armonizzata ed equivalente ad una specie di supercoscienza”. La singolarità quindi esiste in sé ma è capace di sciogliersi nel noi, inutile citare la tradizione mistica antichissima circa questa esperienza.

Dai primi del Novecento si è sempre più discusso della capacità umana di pensare collettivamente un “Noi”, di condividere in massa delle decisioni (gli “stati” e le “istituzioni”). A causa della contiguità tra totalità e totalitarismi, ora, con l’avvento delle tecnologie digitali, diviene ancora più urgente cercare soluzioni.
Il passato può aiutarci a capire come il nostro immaginario, ed i simboli, agiscano ancora sulla realtà, sfatando gli incantesimi moderni insiti nei capricci dei nostri Geni della lampada, degli Elfi che producono per noi giocattoli nel bosco di Amazon, e dei Maghi cattivi che creano abilmente Fake news grazie al lavoro di una schiera di Troll. Essi hanno il potere di prevedere la nostra fuga, e di sbarrarci magicamente la strada con mille specchi, alcuni ci offrono Complotti incantati per lenire la nostra impotenza di fronte alla complessità.
È soprattutto lo “specchio trasparente” dei nostri schermi il più pericoloso dei sortilegi per il nostro povero Ego, che celebrando il potere su ciò che incessantemente vede, seppellisce il suo desiderio, perché “La luce uniforme, piatta, trasparente non è un medium del desiderio: la trasparenza significa la fine del desiderio”. (Byung-Chul).
Pensando alla Noosfera, c’è da chiedersi se sarà utile il “culturismo mentale” di apparecchi EEG portatili, connessi, che ci consentono un bio-feedback continuo del nostro stato emotivo e mentale, venduti con un sottotesto pubblicitario diviso tra invito a rilassarsi e offerta della potenzialità di gestione delle proprie performance. Altri pericoloso “umanesimo fasullo” è la riproposizione di schemi comportamentali che fingono emozioni e personalità nei nostri avatar digitali e in robot progettati per compiacere.
La coralità, in tutte le forme umane che essa può avere, necessita di metodi culturali più profondi, di linguaggi meglio condivisi. La cultura umana è indissolubilmente legata alla percezione del nostro inconscio collettivo, che permane coi suoi archetipi e la sua imprevedibilità e pregnanza; così  in tempo di guerra la gente sogna alberi secchi, paesaggi desolati e fonti aride e nell’Era dell’Aquario, è l’acqua l’archetipo moderno che ci sommerge e che rappresenta l’inconscio collettivo: “…il mondo dell’acqua, in cui è sospesa ogni vita, dove comincia il regno del –simpatico-, l’anima di tutto ciò che è vivo, dove io sono inseparabilmente questo e quello, dove io esperimento l’altro in me stesso e l’altro esperimenta me come un Io”. (C. G. Jung, 1936).
La cultura umana è strettamente legata al nostro ambiente naturale, alla sua evoluzione ed alla sua crisi. Non basta gettarci nei colori e in mille fantasie di animali immaginari della Fantasy online come rimpiazzo per la sparizione di altre visioni, viventi e autonome dal nostro schermo, spesso sfuggenti (selvatiche, non “sative”, non addomesticabili), quali “un banco di merluzzi blocca un veliero in mezzo all’oceano. Al largo delle coste di Sydney, in Australia, una nave veleggia da mezzogiorno al tramonto attraverso branchi di capodogli a perdita d’occhio.” (J. B. McKinnon, 2013), ed anche “Salmoni in risalita rischiano di capovolgere le canoe… Leoni nel sud della Francia, trichechi alla foce del Tamigi, stormi di uccelli che impiegavano tre giorni a sorvolare una zona, cento balenottere azzurre nell’oceano Antartico per ognuna che ce n’è oggi”. Oggi più che mai il futuro ci chiede di saper discernere, di trasformare i mezzi perché appartengano a tutt*, di non permettere che divengano fini a se stessi.

Dedicato a Greta Thunberg e Marielle Franco.


 

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Francesca Palazzi Arduini

si occupa di co­municazione, specialmente del rapporto tra pensiero libertario, femminismo e nuove tecnologie. Autrice di svariati saggi e ar­ticoli, anche su Singola, (Facebook e l’Aldilà, e Contro l’internet delle cose, 2020), è autrice tra l’altro dell’Appello contro l’obbligo digi­tale (2022). Sempre sul tema ha pubblicato Il Castello di carte. Pensiero libertario e democrazie nell’epoca del voto digitale (2022). È autrice di Neurobiscotti. Pandemia e pubblicità (Novalogos, 2022).

Pubblicato:
17-06-2020
Ultima modifica:
25-08-2020
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