Davide Nota: la carne, la solitudine, la libertà - Singola | Storie di scenari e orizzonti
Davide Nota
Davide Nota | Copyright: Corrado Foffi

Davide Nota: la carne, la solitudine, la libertà

Un dialogo sulla poesia nato da un groviglio movimentato e insondabile.

Davide Nota | Copyright: Corrado Foffi
Intervista a Davide Nota
di Redazione Singola
Davide Nota

(1981) ha pubblicato i libri di poesia Battesimo (LietoColle, 2005), Il non potere (Zona, 2007) e La rimozione (Sigismundus, 2011). Ha svolto esperimenti di video-arte installativa con il duo Ermes Daliv e partecipato a P.P.S.S., progetto di teatro multimediale con il "Collettivo ØNAR". Nel 2019 è uscito per Luca Sossella Editore il suo romanzo Lilith. Un mosaico. Vive a macerata.

Una lacrima di sangue solca il suo viso di pietra come rugiada stellare dalla narice al labbro caravaggesco di finta carne. Lui si inginocchia tra le zolle e esclama: "Grazie, oh dea! Tu mi hai risposto! Grazie!".

Questo è uno di quei tanti momenti, nell'opera Lilith. Un mosaico. di Davide Nota, in cui la poesia sembra dover uscire della pagina per colpa delle sue stesse convoluzioni. É una poesia materica, abbondante, dialogica, ha le tinte di un colore a olio e le rifrazioni della luce in un corpo; e appunto si contorce in molte direzioni e si rimescola nella sua stessa sostanza, può passare con scioltezza dal porno alla trinità, da un filmino amatoriale agli albori della pittura rinascimentale, fino alle orge, alla strada, alla notte.

Nel dialogo che è nato con il poeta si è cercato di fare luce in quelli che ci sembrano dei veri e propri meandri di questa opera. Come negli altri "pezzi" di questa serie, l'intento è quello di presentare delle opere di poesia che ci sembrano cruciali, e di ricostruire un quadro dei rapporti tra la società e i suoi poeti.        

Singola - La tua poesia passa dal reale al digitale con disinvoltura: cellulari tenuti in mano, chat che si aprono e si chiudono, computer messi sulle gambe e “monitor spenti che si trasformano in specchi”. E poi i “click” sul mouse che funzionano quasi come segni di interpunzione. Questo tra i due mondi è un passaggio che segue la raccolta come un binario. Si tratta semplicemente di un aspetto della nostra condizione di semi-digitali o c’è una volontà di un accento, di una rottura rispetto all’umanesimo tecnofobico della poesia italiana? A questo proposito sembrerebbe venire una conferma da “Giorgio uccide il drago con la forza del pensiero”, la parte della raccolta dove in una serie di lezioni universitarie si dibatte della predominanza dei video amatoriali di Youtube su quelli che tradizionalmente sono considerati prodotti ed esponenti della cultura “alta”.

Davide Nota - Non c’è una volontà di rottura con un ambiente specifico quanto piuttosto una pratica della solitudine e della libertà stilistica incondizionata. Dopo la lezione universitaria cui fai cenno, sullo stile amatoriale e sulla fine dell’opera d’arte tradizionale, la protagonista sente infatti il bisogno di inginocchiarsi, quasi per espiare un peccato dottrinale, di fronte alla Trinità del Masaccio a Firenze. Nella scena seguente inscena una sorta di trinità pornografica, un filmino amatoriale di categoria “threesome” dall’estetica rinascimentale, a ventaglio, ripreso con una telecamera digitale, forse per un videolavoro di laurea. La lotta tra i supporti non ha quindi una predominanza ma è un groviglio in atto e in questo groviglio si svolge la vicenda. Mi rendo conto che si tratta di un libro non particolarmente comprensibile attraverso i filtri critici del canone novecentesco. Viene infatti letto come un libro di impianto neo-sublime dalla critica legata alle scritture di ricerca e come un libro di impianto sperimentale dalla critica legata al canone lirico, un libro di prosa per i festival di poesia e un libro di poesia per i festival di prosa, nicciano per i materialisti e materialista per i nicciani, cristologico per gli atei e dissacrante per gli spirituali, impoetico per i puristi e via dicendo. Hanno ragione tutti ma non fanno il passo necessario a completare il quadro. Lilith avrebbe bisogno di un lettore critico in grado di intendere il rapporto posto tra arcaico e amatoriale, tecnologico e anacronistico, uno studioso di filosofia estetica che conosca il discorso sul “sublime” dallo Pseudo-Longino a Nietzsche e al modernismo e sappia comprendere il tilt che aziono intersecandolo con la tecnologia digitale e il ground zero dello stile amatoriale dei nostri anni. I lettori semplici lo hanno compreso. In effetti il poema si svincola anche dalla dicotomia attualmente discussa tra scrittura “facile” e “difficile”: è una scrittura complessa nel montaggio ma semanticamente semplice. Questa è la strada che propongo.

SNG - Un'ulteriore presenza, anche forte, è quella della materia (o per meglio dire della texture, del tattile) che fa da contraltare all’immateriale del virtuale, dell’idea, della beatitudine, ma anche allo studio analitico delle lettere dell’alfabeto. Prendiamo ad esempio la poesia numero 9. dove inserisci in misura ravvicinata: argilla, nylon, metallo, oro, nella 11., “scrocchiando la ghianda petrosa”, nella 15., “amo la birra densa mi ricorda un sogno fatto in Irlanda alcuni anni fa.”, nella 38., “Come si riconosce la verità? Leccandola, mi avresti detto. Ma come si lecca l’inesistenza?”. Ci puoi dire di più riguardo questa contrapposizione?

DN - La carne è la protagonista del libro e lʼologramma è la condizione storica in cui si svolgono le sue azioni. Nel frammento 23 si dice: “Compievano gesti arbitrari per avere una prova concreta di esistenza.”. La “Queste” di Lilith nasce proprio da questa esigenza di una prova tangibile di essere al mondo.



SNG - Soprattutto nella prima parte del tuo “mosaico”, ti concentri sul rapporto tra i corpi (che trasmutano, si offrono, si prostituiscono) e il sacro. C’è molta letteratura e molta produzione artistica di cui sembri percorrere le tracce, da Masaccio a Caravaggio, a Pasolini, attraverso la stessa prostituzione sacra e la ierodulia. È un “percorso” forte, alla base della tua poesia.

DN - Da Masaccio per lʼappunto alla body-art, o dai riti eleusini alle sessioni pornografiche degli anni zero, Lilith riattiva un discorso connesso ai misteri e ai riti arcaici di morte e rinascita. E lo riattiva perché, evidentemente, percepisce la fine di un ciclo storico in cui, come in Hölderlin per Heidegger, lʼoscurità della notte va affrettata. Ma non vi è vero “ritorno” nel presagire una nuova era. Tutto il sacro in Lilith ha dunque questa misura: la “nostalgia” dellʼalba è una nostalgia votata al “futuro”. Lo studio di Bataille è stato embrionale e la sfera erotica è divenuta il campo in cui questa sibilla, che è la protagonista della mia storia, ha esposto un manifesto esistenziale e politico contro la conservazione della morte in atto. Ma a questa conservazione partecipa anche il cosiddetto progressismo (oggi parleremmo di accelerazionismo). Lʾintera dialettica tra tradizionalismo e futurismo appartiene alla terra desolata del passato.


SNG -
Prima di proseguire, posso chiederti perché proprio Masaccio ha questa ricorrenza e centralità nel libro?

DN - La lezione di Masaccio è lʼincarnazione della “visione” nella gravità terrestre. La rivelazione non è più un “credo” di immaginazione tardo-gotica ma va ricercata tra le pieghe della materia fisica e di quella storica, dove si incastonano la carne e la sua ombra, vale a dire la vicenda biologica e quella psichica. Questo accade di fronte ai suoi affreschi, che sono vere e proprie lezioni di meditazione, ma il suo effetto si protrae poi nella realtà di tutti i giorni, nelle strade del Quattrocento o degli anni Duemila. La sua arte è un esercizio esperienziale che muta e amplia la cognizione dellʼosservante mentre lʼepifania teologica germina dalla crudeltà concreta del reale, senza dorati orpelli di persuasione. Questa elementarità terrosa, che ritroveremo poi nellʼuniverso dellʼespressionismo tedesco del primo Novecento (Trakl, Heym, Carl Einstein) e dei suoi predecessori (Büchner) o, in Italia, nella linea irregolare che da Campana e Rebora arriva a Pasolini e a Roberto Roversi passando per Umberto Saba, occulta lʼesibizione estetizzante interessandosi esclusivamente alla funzione espressiva della poiesis. Questo accade anche quando, come nel caso di Masaccio, il nascondimento dello stile è direttamente proporzionale alla radicalità delle invenzioni. Nutro da sempre una certa venerazione nei confronti di Masaccio che considero, sin dalle poesie giovanili de Il non potere, un modello di pensiero estetico. In Lilith ho avuto la possibilità di omaggiarlo.

SNG - La forma “in prosa” che utilizzi quasi in tutta l’opera è l’aspetto che si nota più in fretta. Perché utilizzi questa forma? Viene in mente una dichiarazione di Roberto Bolaño, secondo cui alcuni scrittori di prosa sono tra i maggiori poeti del Novecento.

DN - La mia forma in prosa nasconde in realtà un flusso polimetrico continuo. Si tratta dunque di una prosa apparente. L'a capo è dʾaltronde un espediente che non ha origine con la scrittura poetica e la scrittura poetica stessa non ha origine con la poesia. Molti manoscritti medioevali usano infatti una scrittura continua. Potremmo quindi dire che l'a capo è una forma storica usata anticamente per motivi pratici, connessi al canto o alla recitazione, mentre tipograficamente è legata in maniera esclusiva all’epoca moderna e alla stampa a caratteri mobili da Gutenberg al Novecento. Mi pare evidente che esista oggi un problema oggettivo di ricezione di tale forma. Se in Lilith avessi ad esempio spezzato il flusso frastico ogni qual volta si fosse concluso un metro o un ritmo prosodico il libro sarebbe stato considerato illeggibile dai tre quarti dei miei lettori. Lettori che invece lo hanno trovato leggibile, nonostante la sua complessità, proprio in virtù di questa forma di scrittura ritmica continua che un canone attardato definisce prosa. Il libro ipotizza piuttosto uno scioglimento dei generi letterari ma è la poesia la sfera che li assorbe.

Masaccio, Trinità (1425-27). Basilica di Santa Maria Novella, Firenze.

Masaccio, Trinità (1425-27). Basilica di Santa Maria Novella, Firenze.


SNG - Ci sono dei poeti della tua generazione che leggi e le cui opere hanno un’influenza sul tuo lavoro?

DN  - Dialogo con molti miei contemporanei e le influenze sono molteplici, reciproche e indefinibili come acqua nellʾacqua. Se la domanda è specifica sui poeti della mia generazione mi limito a fare il nome di Raimondo Iemma che a mio avviso è il più importante dei poeti italiani nati negli anni ottanta.


SNG - Vedi delle tendenze (o delle macro-tendenze) nella produzione poetica italiana di oggi?

DN - Vedo una tendenza naturale alla solitudine. Avere dei padrini e dei clan crea sicuramente dei vantaggi dal punto di vista della visibilità ma non è questo il punto. La visibilità è un ologramma e i totem e tabù delle scuole di impianto novecentesco sono ormai percepiti come insostenibili. Tra il 2013 e il 2018 abbiamo vissuto unʼondata di scritture di ricerca volte a integrare lʼimmaginario elettronico nella tradizione poetica mentre recentemente si vive un ritorno alla lirica naive e di contenuto che è quanto in effetti chiede la comunicazione elettronica stessa. Ma questo è il paesaggio mentre dal punto di vista delle opere ritengo che la dialettica tra canone e anticanone abbia esaurito le sue ragioni.


SNG - Ti sei già messo al lavoro dopo questa raccolta? Sai già su quali temi ti concentrerai?

DN - Mi sono già messo al lavoro ma è troppo presto per dire su quali temi mi concentrerò.

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Questo articolo è parte della serie:  Nuova poesia italiana
Italia - 2020
Arti
Davide Nota

(1981) ha pubblicato i libri di poesia Battesimo (LietoColle, 2005), Il non potere (Zona, 2007) e La rimozione (Sigismundus, 2011). Ha svolto esperimenti di video-arte installativa con il duo Ermes Daliv e partecipato a P.P.S.S., progetto di teatro multimediale con il "Collettivo ØNAR". Nel 2019 è uscito per Luca Sossella Editore il suo romanzo Lilith. Un mosaico. Vive a macerata.

Redazione Singola

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Pubblicato:
28-09-2020
Ultima modifica:
28-09-2020
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