Il nostro cyberpunk quotidiano - Singola | Storie di scenari e orizzonti
Yodobashi, Tokyo, Giappone.
Yodobashi, Tokyo, Giappone. | Copyright: Bantersnaps / Unsplash

Il nostro cyberpunk quotidiano

L'uscita di Cyberpunk - Antologia assoluta, per Mondadori, è un'opportunità per ripercorrere la storia di un genere e capire cosa abbia davvero previsto. Ne abbiamo parlato con Bruce Sterling e Francesco Guglieri.

Yodobashi, Tokyo, Giappone. | Copyright: Bantersnaps / Unsplash
Intervista a Bruce Sterling e Francesco Guglieri
di Dario De Marco
Bruce Sterling

(1954) è un autore statunitense. È autore di numerose opere tra cui La matrice spezzata (1985), Isole nella rete (1988) e Atmosfera mortale (1994). Ha redatto l'antologia di racconti di fantascienza Mirrorshades (1986).

Francesco Guglieri

(1976) è editor e autore. Collabora con diversi quotidiani e riviste. Nel 2020 ha pubblicato il libro Leggere la terra e il cielo (Laterza).

Dario De Marco

(1975) è stato redattore del mensile Giudizio Universale e editor di Esquire. Scrive di letteratura e cibo per CheFare, Dissapore, Esquire, L’Indiscreto, L'Integrale, La Ricerca. Ha pubblicato il romanzo Non siamo mai abbastanza (66thand2nd) e la non fiction Mia figlia spiegata a mia figlia (LiberAria). Nel 2021 è uscito il libro di racconti Storie che si biforcano (Wojtek).

Il cyberpunk è tornato. No: il cyberpunk è arrivato. Molti movimenti, mode o generi, prima o poi sono baciati da quel fenomeno tra il nostalgico e il revisionista chiamato revival - viviamo nell’era della retromania, una seconda chance non si nega neanche alle schifezze più immonde, come gli anni ’80 insegnano - ma per il cyberpunk è diverso. Non è questione di mettere in fila le uscite “ispirate a” e le riedizioni: film come Blade Runner 2049, manga come Akira, videogame come Cyberpunk 2077, libri come Cyberpunk - Antologia assoluta. Quello che sta succedendo è che, in un certo senso, ci siamo accorti di vivere in un mondo cyberpunk, in una realtà che il genere narrativo nato 40 anni fa ha profetizzato - o contribuito a creare.

Stiamo parlando dell’ultimo grande movimento letterario che ha avuto una effettiva portata culturale, un potere di incidere sull’immaginario che oggi ci sogniamo - se non siamo sviluppatori di videogiochi. Portata che si è espressa ben al di là della narrativa stessa, per colonizzare molteplici forme d’arte, dal cinema al fumetto, dalla musica alla moda. L’Antologia assoluta, appena pubblicata da Mondadori, è un bel volumone di oltre 1300 pagine - cartonato e ingombrante ancorché stranamente maneggevole - ottimo per recuperare le lacune e/o riflettere sul passato e sul presente, sul futuro del passato e sul futuro ulteriore, se mai ci sarà. Contiene i pilastri fondativi: l’imprescindibile Neuromante di William Gibson (1984), La matrice spezzata di Bruce Sterling (1985) e Mirrorshades, la raccolta di racconti / galleria di talenti / manifesto letterario curato dallo stesso Sterling nel 1986; segue Snow Crash di Neal Stephenson (1992), romanzo di passaggio dal cyberpunk duro e puro verso lidi ancora più mainstream. Grandi inclusi ma anche grandi esclusi, Pat Cadigan su tutti, pur se recuperata nella raccolta.

Il libro si apre con una introduzione di Bruce Sterling, e si chiude con una postfazione di Francesco Guglieri. Mi è sembrato dunque naturale cercare loro due per fare il punto: l’idea iniziale era quelle di estendere il mio metodo dell’intervista in chat - che uso per rendere più fresche le conversazioni scritte - a un dialogo a tre, una chat di gruppo. (Anche se tutti e tre viviamo a Torino, incontrarci dal vivo mi sembrava una cosa poco adatta ai tempi, in tutti i sensi: un’usanza pre-pandemica, pre-cyberpunk.) Poi le cose si sono complicate e la triangolazione è stata sbilenca, in parte asincrona, è passata dalla e-mail alla messaggistica istantanea per tornare alla posta elettronica. Alla fine ho innestato i vari pezzi, e assemblato il tutto in una sorta di testo frankenstein. Anzi, e per l’appunto, un’intervista cyberpunk.   


Dario De Marco - Le profezie del cyberpunk, si dice, si sono avverate: tecnologie touch, integrazione uomo-macchina, post-umano e trans-umano. Guglieri giustamente scrive che in realtà Sterling e compagnia non avevano previsto il futuro, ma visto il futuro che era già lì, solo dove era distribuito meglio, per parafrasare la famosa frase di William Gibson. Ma cosa succede a un immaginario quando diventa reale? È una vittoria, o una condanna perché non è più utile, non può più essere goduto come fiction?

Bruce Sterling - La verità è che quando tu immagini qualcosa, e questa diventa parte integrante della vita quotidiana, la gente non ci fa caso. Le cose comuni, insignificanti, non degne di nota, semplicemente non vengono prese in considerazione. Diventano invisibili. Io sto rispondendo a questa domanda via e-mail, ma nessuno nota “l’e-mail”. Non c’è niente di fantascientifico in una e-mail nel 2021.
Quindi, è sia una vittoria che una condanna, e allora? Resta il fatto che l’e-mail non è una cosa elettrizzante. 

Francesco Guglieri - C'è questa leggenda presso i rabbini Chassidim secondo cui il mondo a venire, il mondo dopo l'arrivo del Messia, sarà uguale a quello attuale, "solo un po' diverso”. Ecco, mi sa che con gli immaginari – di certo col cyberpunk – succeda lo stesso: restano come presenze fantasma, leggeri dissestamenti, dei glitch della visione che ti fanno capire che c'è qualcosa che non va. Il nostro presente e il futuro immaginato dal cyberpunk nascono entrambi dallo stesso passato, dagli stessi semi del 1984. Non intendo solo, ovviamente, come consequenzialità storica in senso stretto. Ma entrambi i panorami sono estrapolazioni da quella realtà: soltanto che una si è realizzata davvero, l'altra è rimasta potenziale, fantasma. Eppure si parlano. Se ti fermi un attimo e ti guardi intorno, si parlano. Cioè, pensa a noi in questo momento. Stiamo "parlando" facendo rimbalzare pacchetti di informazione che prima di arrivare da te a me passeranno per server di Milano, Hong Kong, dorsali oceaniche, mentre noi, abbiamo scoperto, siamo addirittura vicini di casa. E mentre parliamo riceviamo informazioni da tutto il mondo, abbiamo altre conversazioni reali e virtuali ecc. Cosa c'è di più cyberpunk?

DDM - Ecco: Guglieri inizia la postfazione ricordando l’eccitazione di surfare nell’internet degli inizi. Mi ha sbloccato un ricordo, come si dice, perché ho ritrovato lo stesso brivido, ho memoria di aver beccato degli spartiti di musica balcanica, che per i miei gusti dell’epoca erano un tesoro inestimabile, ma non pensavo neanche che esistessero. Internet sembrava la terra promessa, il posto dove potevi trovare cose che non sapevi neanche di desiderare. Oggi quella magia è svanita, sembra tutto più ordinato, prevedibile, un po’ opprimente. Come ha appena detto Sterling, non c’è nulla di eccitante in un'e-mail.

FG - È vero, ha ragione Sterling. C'è un'inevitabile operazione di "normalizzazione", di nascondimento se vuoi, di abitudine (in senso sklovskijano contrapposto allo straniamento - toh! la butto lì). Per questo la letteratura o la critica dovrebbe "opacizzare" ciò che è diventato trasparente. C’è quest'immagine di Barthes, bellissima, in cui dice che la critica è alitare su un vetro per rendere visibile ciò che è trasparente. Indicare "il glitch", il fantasma sotto la pelle della realtà, ma anche l'eccitazione, il desiderio che ci scorre sotto, e la violenza che la rende possibile, mi sembra una bella cosa da fare per la letteratura, la critica, anche l'editoria se vuoi.

E mi ricollego alla tua domanda: sì, sono partito dall'eccitazione di quei momenti. Un po' perché mi faceva tenerezza il ricordo, un po' perché mi sembra catturi uno dei nodi del cyberpunk: l'idea che l'informazione è sexy, eccitante, crea dipendenza. Come nel caso di Case, il protagonista di Neuromante: se vuoi dietro c'è un topos antico, perché l'informazione anche quella digitale è alla fine linguaggio, quindi c'è l'eccitazione del linguaggio, c'è l'idea del poeta elettrizzato dalla poesia, baciato e bruciato dalla poesia, e per questo reso un paria, un escluso della società. È un'idea che va da Baudelaire a Burroughs, i cyberpunk sono stati bravi a capire che questo valeva anche per il digitale. E lo vediamo oggi, quando tutti più o meno siamo alcolizzati non di raffinato assenzio ma di birraccia industriale: quella dei social.


DDM -
LOL. Dall’altra parte, ho l’impressione che si esageri un po’ con questa storia del cyberpunk profetico, che sia cioè un modo di confinarlo comunque nel passato. Può esistere un cyberpunk eterno, un’attitudine cyberpunk - come esiste un’attitudine punk anche se il movimento degli anni ’70 è concluso - un genere, uno sguardo sul mondo?

FG - Sì, c'è bisogno di un cyberpunk eterno. Il nucleo della mia postfazione è proprio quello di strapparlo dalla retromania, dall'estetica vapor, dai colori fluo e grafica pixellata. Il cyberpunk deve essere adesso. Mi chiedo se questo cyberpunk eterno oggi possa esprimersi anche in forma narrativa, e non maggiormente attraverso la non-fiction o direttamente la militanza.

Gatwick, Regno Unito

Gatwick, Regno Unito | Belinda Fewings / Unsplash


DDM -
A proposito di forme letterarie più o meno adatte, ho una domanda ma ci arriviamo tra un attimo. Invece, a proposito di militanza e di “essere” cyberpunk, volevo chiedere specificamente a Sterling: lei scrive nell’introduzione che l’Italia è il paese dove il cyberpunk ha avuto più successo dopo gli USA, e dove addirittura ha ritrovato persone che vivevano il cyberpunk (il gruppo che si riunì a Milano attorno alla rivista Decoder). È questo il motivo per cui lei vive in Italia, o è un caso?

BS - Non è il motivo per il quale sono venuto in Italia, ma probabilmente è il motivo per cui ci sono rimasto.


DDM - Sempre nell’intro, Sterling dice che chi vuole essere cyberpunk oggi, non deve imitare gli stilemi del cyberpunk ma inventarne degli altri. Secondo voi, chi sono gli scrittori innovativi oggi? Esiste un movimento o uno stile che può rivendicare l’eredità cyberpunk, magari sotto altro nome?

BS - Non ne so abbastanza sugli scrittori innovativi di oggi, per dare una risposta sensata. Se avessi avuto 67 anni quando i cyberpunk hanno iniziato a pubblicare i loro lavori, non me ne sarei accorto. E poi, chi vuole fare cose innovative, non deve rivendicare l’eredità di qualcun altro. Deve inventare qualcosa di nuovo, e poi metterlo in pratica.

FG - Il cyberpunk fu anche un movimento, un qualcosa di collettivo, in parte, che andava al di là del marketing editoriale. Ci sono senz'altro degli autori oggi che lavorano sul nostro rapporto con la tecnologia, ma vedo meno l'idea di movimento. E poi come dicevo, per quanto critico, il cyberpunk non fu di per sé assolutamente negativo, ne vedeva anche l'aspetto eccitante e rivoluzionario. Lato luminoso che è più difficile da vedere oggi: anche per questo servirebbe un nuovo cyberpunk.


DDM -
Tornando al discorso delle forme letterarie più adatte a raccontare il presente, e agganciandomi a quanto appena affermato da Sterling, che sostanzialmente dice “non ho l’età”. Io ho un altro sospetto: guardando quello che leggiamo, dove individuiamo l’innovazione, quello che ci eccita davvero, non è fiction in senso stretto ma una cosa che sta tra la narrativa non fiction e la divulgazione scientifica. Mi riferisco a una vasta area che sta tra Michael Pollan e Edward O. Wilson, i reportage di Mark O’Connell e le speculazioni tra fisica e filosofia di Carlo Rovelli, ci metto anche le apocalissi reali raccontate da Massimo Sandal. Guglieri su questo ci ha scritto addirittura un libro, che non a caso si chiama Leggere la terra e il cielo. Insomma il cuore pulsante della letteratura sta da un’altra parte, o siamo noi che stiamo invecchiando e ci piace più la saggistica che la fiction?

FG - La prendo un attimo larga. Come dicevo prima, noi due ora stiamo parlando rimbalzando tra Hong Kong e l'oceano, c'è una rete planetaria di informazione che avvolge l'intero globo ecc. Poi ci sono cose terribili: come una pandemia globale che mette letteralmente a rischio la nostra vita. Ecco, mi sembra che la nostra vita, la vita nell'estremo contemporaneo, sia esposta a dosi di "strabordante", di sublime, di terribile, molto grandi. Tutte impastate col quotidiano, difficili da percepire, da distinguere, ma che entrano nel nostro orizzonte. Ecco, il romanzo borghese, realista, è pensato proprio per tagliare via queste porzioni di “disumano”, di straordinario. 
Ma come dice Ghosh ne La grande cecità, dobbiamo invece fare i conti con quella dimensione. In attesa che lo faccia il romanzo, sistematicamente, quella funziona la svolge certa buona non fiction.


DDM -
Sterling, invece, cosa legge abitualmente? Cosa le piace?

BS - Quello che davvero mi piace leggere sono i classici. In questo, sono d’accordo con Italo Calvino. Mi piace leggere lo stesso Calvino. D’altra parte, la maggior parte delle cose che leggo sono cose che non mi danno davvero piacere, lo faccio perché sento la necessità di capire la modernità.

Dotonbori, Osaka, Giappone

Dotonbori, Osaka, Giappone | Alexander Smagin / Unsplash

DDM - In un bel pezzo sul Tascabile, Valerio Mattioli allarga la visuale sul cyberpunk oltre a quei 4 o 5 giovani scrittori in Texas. L’immaginario giapponese, che va al di là della letteratura per approdare al manga, come il già citato cyberpunk politico italiano.

FG - In questi giorni sta uscendo una nuova edizione del manga di Otomo Katsuhiro, Akira. Ricordo ancora la prima volta che vidi Akira, l'anime, o anche Ghost in the Shell: furono veri e propri shock cognitivi e estetici. Non si potrà mai sottovalutare l'impatto che l'estetica pop giapponese tra la fine degli Ottanta e l'inizio dei Novanta ha avuto su una generazione. Veramente avevi coscienza, una consapevolezza neuronale prima che intellettuale, che quei tratti, quel ritmo, quei colori fossero il nuovo, il futuro, qualcosa di mai visto. Purtroppo negli ultimi vent'anni – è un grande tema geopolitico – il Giappone ha perso molto di quel soft power: o meglio, ancora ce l'ha ma ha perso quella carica d'avanguardia e di novità, di sexytudine, che aveva negli 80/90. Questo crea anche dei curiosi paradossi: giocando a Cyberpunk 2077, che riprende pari pari quell'estetica, fa un po' retrofuturo vedere ancora l'immaginario giapponese al centro, mentre per dire oggi ha molto più peso la Cina, anche a livello tecnologico, per quanto non riesca a esportare che un millesimo dal punto di vista dell’immaginario.

 

DDM - Scriveva Bifo 10 anni fa: “Il cyberpunk è il punto d’arrivo di questa dinamica di collasso […]. Per la prima volta nella storia della letteratura di fantascienza, il cyberpunk cancella il futuro, e immagina una distopia presente, o piuttosto senza tempo”. Commenta Mattioli: “Il rifiuto ostinato di ipotizzare altri futuri possibili per concentrarsi piuttosto su una versione accelerata di un presente da incubo, rimane forse la critica che con più frequenza è stata rivolta al cyberpunk”. Invece oggi sentiamo il bisogno di un rovesciamento, di un futuro da scrivere, come dici tu. Io per esempio trovo interessante la prospettiva ambientalista e positiva del Solarpunk.

FG - La forza del cyberpunk, la sua unicità, è sempre stata quella di essere qualcosa di più di un genere letterario: era un'attitudine estetica ma anche politica. Davvero potevi non solo raccontare o leggere il cyberpunk, potevi essere cyberpunk. Come racconto nella mia postfazione, quando all'inizio degli anni Novanta mi collegai con un modem a 2400 bps a un server ftp di un'università californiana mi sentivo davvero un cazzo di dio dell'interfaccia. È vero che il cyberpunk schiacciava il futuro su un presente accelerato, però accidenti ti dava degli strumenti politici, intellettuali e estetici per cambiare quel presente. Quale altro movimento letterario l'ha fatto dopo il romanticismo? Ho sempre pensato che tra i capolavori del cyberpunk ci sia anche quello che non è un romanzo, tanto meno di fantascienza, ma un reportage, un'opera di non-fiction: Giro di vite contro gli hacker di Sterling. 
In Italia poi tutto questo ha incrociato una generazione del movimento che ha dato vita a una versione peculiare e fertilissima del cyberpunk.


DDM -
Nella postfazione citi Luciano Floridi e il suo on-life. Floridi è quello che ha colto un punto fondamentale del contemporaneo, secondo me: in un’epoca in cui tutti seguiamo, con speranza e timore, gli sviluppi dell’intelligenza artificiale, paventando la singolarità tecnologica, il momento in cui l’A.I. diventa generale, supera l’uomo, il vero problema non è che la macchina diventi intelligente come l’uomo, ma che l’uomo inizi a pensare come una macchina. Che è anche l’idea centrale che muove il libro, appena uscito, di Andrea Daniele Signorelli: Technosapiens. È questa la vera profezia cyberpunk?

FG - Sì, è così – anche se un po' complicato, credo, perché si mescolano tante cose, in tanti modi diversi. Il punto è che sì, il cyberpunk ti diceva che umano e macchina si incontrano a metà strada, che la cosa davvero importante non è la macchina che diventa simile all'uomo, ma l'uomo che si avvicina alla macchina. Questa è la grande cifra del cyberpunk che vedo più realizzata: tutti noi oggi "parliamo la macchina", di certo più di quanto lo facessimo dieci o venti anni fa. Pensiamo attraverso le app, moduliamo la voce per farci capire dagli assistenti vocali; il soluzionismo, l'idea di affrontare il mondo come una serie di problemi da risolvere algoritmicamente è il modo di avere una lingua franca fra noi e le macchine. E così via. Ma che lingua è questa delle macchine che impariamo a parlare? Questo mi incuriosisce molto. È una lingua totalmente artificiale? O è la lingua del tecno-capitalismo? Esiste una cosa del genere? Questioni grosse: torniamo al cyberpunk. 

Super Tree Grove, Singapore

Super Tree Grove, Singapore | Coleen Rivas / Unsplash

DDM - Dick è il riconosciuto padre putativo del cyberpunk, la sua influenza non ha neanche bisogno di essere spiegata - addirittura William Gibson fu costretto a riscrivere più volte l’inizio di Neuromante per non rischiare di essere accusato di plagio, dopo che era uscito Blade Runner. D’altra parte c’è una differenza secondo me fondamentale: ricordo che anni fa, dopo aver visto il film, e ancora di più dopo aver letto il titolo Ma gli androidi sognano di pecore elettriche?, io pensavo che il tema del libro fosse appunto cosa pensa un androide, come cambia la psiche di un androide rispetto a quella umana. Rimasi sorpreso nel constatare che Dick esplorava piuttosto come cambia la psiche umana in un mondo dove esistono gli androidi. Invece, è Sterling che scrive La matrice spezzata per calarsi in maniera convincente nel punto di vista di personaggi post umani.

FG - Mi riaggancio a quello che dicevo sopra sulla lingua. Anche Dick diceva delle cose molto simili, ma la differenza tra Dick e il cyberpunk è la risposta: questa lingua, per Dick, è quella dell'artificiale, della morte, del demiurgo malvagio, è l'anti-vita, l'entropia, il kipple, tutti nomi per indicare, fondamentalmente, l'alienazione novecentesca. I cyberpunk invece sono, be', punk e ti dicono che questo incontrarsi a metà tra uomo e macchina è un incubo ma è anche eccitante, è un veleno ma anche qualcosa di rivoluzionario, emancipatorio, uno strumento di sovversione. In questo aver presente i due lati della medaglia, che non è ambiguità ma consapevolezza (epidermica) della complessità, stava la forza estetica e politica del cyberpunk, e sta la sua attualità da riscoprire.


DDM -
C’è speranza da qualche parte? E se sì, questo posto potrebbe essere la rete? Internet è nato come strumento di libertà: ne conserva un pizzico, o è definitivamente territorio posseduto dalle grandi corporation? 

BS - Oggi viviamo in una società post-Internet. È l’era in cui Big Tech si consolida, le oligarchie digitali si rafforzano. Non sono “grandi corporation” come i conglomerati del passato, sono piuttosto delle “piattaforme”: ma è il naturale movimento della Storia. Alla fine di questa pandemia, ci attende un decennio diverso, con una sensibilità culturale diversa. Questa prospettiva non mi sconvolge: oggi posso dirmi “libero” da tante cose che mi opprimevano in passato, e contemporaneamente sorgono nuovi problemi. Avere dei problemi è una cosa positiva: è grazie a loro che hai la consapevolezza di essere vivo.

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Globale - 2021
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Bruce Sterling

(1954) è un autore statunitense. È autore di numerose opere tra cui La matrice spezzata (1985), Isole nella rete (1988) e Atmosfera mortale (1994). Ha redatto l'antologia di racconti di fantascienza Mirrorshades (1986).

Francesco Guglieri

(1976) è editor e autore. Collabora con diversi quotidiani e riviste. Nel 2020 ha pubblicato il libro Leggere la terra e il cielo (Laterza).

Dario De Marco

(1975) è stato redattore del mensile Giudizio Universale e editor di Esquire. Scrive di letteratura e cibo per CheFare, Dissapore, Esquire, L’Indiscreto, L'Integrale, La Ricerca. Ha pubblicato il romanzo Non siamo mai abbastanza (66thand2nd) e la non fiction Mia figlia spiegata a mia figlia (LiberAria). Nel 2021 è uscito il libro di racconti Storie che si biforcano (Wojtek).

Pubblicato:
12-04-2021
Ultima modifica:
12-04-2021
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