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Italia | Tecnologia
Alcuni dilemmi sul nostro rapporto coi dati, dal punto di vista di un lettino in un Gantry.
Un piccolo gruppo indipendente controllerà i contenuti su Facebook. È finalmente l'ora del curated Web?
Facebook negli ultimi anni è stata al centro di molti scandali riguardanti i suoi contenuti. L'azienda di Menlo Park ha impiegato due anni, tempo preziosissimo, per fondare un suo organismo di controllo ("oversight board"). Di questo gruppo indipendente, che ha di recente pubblicato un comunicato sul New York Times per ora sappiamo quanto segue: la sua idea risale almeno al 2018; è stato finanziato con 130 milioni di dollari, un fondo autonomo che non può essere revocato dai vertici di Facebook; verrà composto inizialmente da 20 membri (a regime diventeranno 40) scelti tra esperti del settore, giuristi, giornalisti e accademici.
Ma chi sono questi "arbitri"? Tra i nomi di spicco troviamo Tawakkol Karman, giornalista e attivista yemenita per i diritti umani e vincitrice del Premio Nobel per la pace, Julie Owono, direttrice di Internet Sans Frontières, Helle Thorning-Schmidt, ex primo ministro danese. Sul proprio sito ufficiale, il comitato presenta così i propri intenti:
"La community ha raggiunto oltre 2 miliardi di persone ed è diventato sempre più chiaro che l'azienda Facebook non può prendere autonomamente così tante decisioni relative alla libertà di parola e alla sicurezza online. Il Comitato per il controllo è stato creato per aiutare Facebook ad affrontare alcune tra le questioni più difficili in merito al tema della libertà di espressione online: cosa rimuovere, cosa lasciare e perché.
Il Comitato si avvale del proprio giudizio indipendente per supportare il diritto alla libertà di espressione delle persone e assicurarsi che tali diritti siano adeguatamente rispettati. Le decisioni del Comitato di confermare o annullare le decisioni sui contenuti di Facebook saranno vincolanti, nel senso che Facebook dovrà implementarle, purché tale applicazione non violi la legge."
Possono davvero 40 persone, le cui agende non devono essere proprio vuote, monitorare i contenuti di una piattaforma (in realtà due, Facebook e Instagram) che ospita due miliardi e mezzo di utenti?
La ragione della fondazione di questo comitato, di cui non mettiamo in dubbio la necessità, né le buone motivazioni, né tantomeno l'indipendenza, non è ovviamente controllare i dati. Si tratterebbe piuttosto, in particolari frangenti in cui esistano sospetti di contaminazioni da parte di singoli e gruppi politici, di dotarsi di criteri validi per dirimere le problematiche. E anche, a regime, di un'opera retrospettiva e di analisi sull'informazione.
Compito di questo board è soprattutto direzionale, proprio come si trattasse di una corte di giustizia, le cui "sentenze", da accordi presi, dovranno essere pubblicate da Facebook (rese quindi visibili al pubblico). Se Facebook rispetterà o meno queste decisioni, le quali potranno rivelarsi anche controproducenti per il business dell'azienda, è tutto da dimostrare, come molti scettici autorevoli hanno già dichiarato.
In altre parole, questo sparuto gruppo di controllo non cambierà di una virgola l'offerta di contenuti di Facebook e quindi non metterà al riparo gli utenti dal rischio di imbattersi in post discriminatori, offensivi e illeciti, come è stato finora. I detrattori di Facebook potranno affermare di trovarsi di fronte, semmai, a un "paravento" contro l'accusa di fare troppo poco sui propri contenuti, un modo che ha Zuckerberg per tutelarsi - almeno a livello di immagine - contro gli scandali che riguardano il suo business.
Ciò che invece noi vogliamo sperare, nonostante le perplessità più che legittime che gli possano opporre, è che esso possa rappresentare l'inizio di una presa di coscienza sul fatto che i dati, su cui molti di noi formano le proprie opinioni quotidianamente, vanno messi al riparo dai gravi rischi della manipolazione. Che al gesto necessario - nella logica aziendale - di evitare figuracce e scandali ancora più dannosi dei precedenti, si aggiunga una riflessione su quanto siano necessari nuovi paradigmi di controllo.
Nuove forme di autorità, fa poca differenza come esse vengano strutturate, siano board come questo o nuovi istituzioni, o anche usufruendo di utenti registrati e "affidabili" che spendano il proprio tempo nel compito di controllare i contenuti (come gli admin di Wikipedia), la vera necessità è fare in modo che nuove figure indipendenti assumano un ruolo di guida nella deregolamentazione selvaggia dell'informazione in Rete, compito che in realtà non spetterebbe agli stessi publisher né alle polizie postali. Una necessità resa ancora più forte nel processo nell'acquisizione, nella concentrazione, da parte dei social di fette sempre più grandi di informazione che fino a ieri sono passate per canali decentralizzati ed eterogenei: notizie, filmati, dirette video, discussioni.
Potrebbe essere l'inizio di una Rete - idea apparentemente paradossale - in cui anche le informazioni social possano venire curate. Se questa è davvero la direzione che i grandi attori del Web prenderanno, non si tratterà solamente di sviluppare la logistica, ma di mettere in atto un discorso molto più vasto. L'autorità andrà inizialmente definita. E bisognerà farlo in modo molto attento e scrupoloso. Andrà modellata secondo criteri condivisi dagli utenti oltre che dalle logiche di business, e allo stesso tempo, dovrà essere libera e tutelata - il che significa un enorme lavoro di creazione di nuove accademie riconosciute: gli arbitri dell'informazione dovranno essere riconoscibili e indipendenti, anche sul piano politico, economico e via dicendo.
Per rendere tutto ciò possibile, si dovrà pensare a una Rete un po' più lenta, meno immediata, forse addirittura con meno contenuti, ma in compenso più rispettosa, più civile e più giusta.