Privato è politico
Italia | Pensiero
Il recente saggio dell'autrice, "Ripartire dal desiderio", offre una disamina attenta delle pulsioni più intime del contemporaneo. Uno scambio di battute.
Intervista a Elisa Cuter
La narrazione delle relazioni sessuali e sentimentali da un sincero punto di vista femminile è alla base della letteratura del #metoo: un'analisi del fenomeno intorno al concetto di consenso.
La sensazione che l’approccio tradizionale alla sessualità abbia un margine di miglioramento appartiene alla nostra società ormai da decenni: già nel 1976 – mentre in Italia esisteva ancora il delitto d’onore - Michael Foucault prometteva che il sesso che verrà sarà un sesso migliore. Ha avuto ragione? E in questo caso: migliore per chi?
Se lo chiede la psichiatra e filosofa Katherine Angel nel saggio Il sesso che verrà. Donne e desiderio nell’era del consenso, edito in Italia da Blackie Edizioni. Nei quattro capitoli dell’opera – Sul consenso, Sul desiderio, Sull’eccitazione e Sulla vulnerabilità - Angel parte dal problema del consenso per mettere a nudo le aspettative che gravano sulla sessualità maschile e femminile, tessendo un’analisi accurata che copre tutta la seconda metà del Novecento fino ai giorni nostri.
Per rendersi conto di quanto necessario sia il lavoro di Angel basta osservare la rilevanza che la questione ha assunto in concomitanza con l’attenzione mediatica guadagnata dal movimento #MeToo, esploso sui social media nel 2017. Tramite l’esposizione delle loro storie private, migliaia di donne hanno iniziato a denunciare le insidie delle dinamiche di potere nelle relazioni intime ad una società che cominciava appena a considerare le donne come elementi attivi di un rapporto sessuale.
Se l’opinione pubblica sembra ancora titubante nell’accettare e accogliere le istanze del #MeToo, la letteratura si è invece mostrata pronta a interpretarle in un ricco filone di scritti accomunati da uno sguardo obiettivo e onesto sulle insidie delle relazioni sessuali. A partire da Cat person, il racconto di Kirsten Roupenian che è diventato virale dopo essere stato pubblicato sul New Yorker nel 2017, le opere che raccontano esperienze intime sgradevoli e al limite della consensualità da un punto di vista femminile hanno iniziato a proliferare sul mercato editoriale, al punto che è stata coniata la definizione di letteratura del #MeToo.
Una rapida ricerca su Google dimostrerà come i primi risultati sul tema siano fortemente critici sul fenomeno: si parla di lolitofobia e si rivendica la necessità che l’arte rimanga slegata da qualsiasi forma di moralismo. L’accento, insomma, viene spesso posto su quello che il movimento letterario ha tolto all’editoria e alla scrittura, e più raramente sul contributo originale e inedito che queste opere hanno apportato.
Eppure, almeno sul piano del contenuto, questo contributo è innegabile: la rappresentazione delle relazioni sessuali tra uomini e donne che emerge dalle opere classificate come letteratura del #MeToo è molto più complessa di quella a cui eravamo abituati. A partire da Cat person, il già citato racconto virale di Kirsten Roupenian, passando per Esercizi di fiducia di Susan Choi fino ad arrivare ad Atti di sottomissione dell’irlandese Megan Nolan, sembra che un tabù sia stato abbattuto: le donne si sentono in grado di raccontare esperienze con gli uomini spiacevoli o semplicemente noiose senza sentirsi responsabili di quel disagio e di quella noia.
In Cat person la ventenne Margot intreccia un flirt via sms con Robert, un cliente del cinema d’essai in cui lavora. Le attenzioni di quest’uomo molto più grande di lei la lusingano e i suoi improvvisi momenti di freddezza la turbano: Margot fa di tutto per finire a letto con lui più per ribadire il suo ruolo dominante nel rapporto che per soddisfare una reale attrazione. Quando lei e Robert iniziano a fare sesso, però, l’indifferenza della ragazza si trasforma in disgusto:
Guardandolo così, goffamente piegato, la pancia grassa e molle e coperta di peli, Margot pensò: oh, no. Ma il pensiero di quello che ci sarebbe voluto per interrompere quello che aveva avviato era insostenibile; avrebbe dovuto metterci un tatto e una delicatezza di cui sentiva di non disporre.
Nel saggio di Angel l’esperienza di Margot ha un nome ben preciso: bad sex. Nel periodo in cui la protesta del #MeToo è esplosa, il bad sex è stato presentato da alcune correnti femministe come una conseguenza inevitabile dello stare al mondo: secondo queste attiviste, le donne dovrebbero rivendicare la propria agency durante un rapporto sessuale con una comunicazione chiara e assertiva, in modo che al partner non sia concesso alcun dubbio su quello che vogliono e non vogliono fare. Se, nonostante ciò, la situazione dovesse rivelarsi sgradevole, sarà stata comunque un’utile occasione di crescita.
Angel recupera questa posizione e si chiede per chi il bad sex è cattivo: secondo uno studio del 2018 citato dall’autrice, quando le donne parlano di “buon sesso” si riferiscono all’assenza di dolore, mentre gli uomini al raggiungimento dell’orgasmo. Se dunque si può veramente imparare qualcosa dal bad sex, la lezione è la stessa per gli uomini e le donne? A leggere Cat person parrebbe proprio di no: al termine del rapporto sessuale Margot non vuole più vedere Robert, lui invece è estremamente soddisfatto e convinto che lei lo sia altrettanto, nonostante l’assenza di qualsiasi suo feedback a riguardo. Tra i due, è Margot a sentirsi colpevole del desiderio di scaricare l’uomo al più presto, mentre Robert non si mette in discussione e non accetta di venir messo da parte al termine di quella che lui definisce una bellissima serata.
Il successo enorme di Cat person – in seguito alla pubblicazione sul New Yorker a Roupenian furono offerti 1,2 milioni di dollari per pubblicare la sua prima raccolta di racconti, edita in Italia da Einaudi Stile Libero – indica quanto forte fosse in quel periodo l’esigenza di leggere un tipo di storia che fa parte della quotidianità di ciascuno di noi, ma che prima di allora non era mai stata elevata a letteratura. Da allora, il tema del bad sex ha assunto un ruolo centrale in diverse opere di successo.
In Esercizi di fiducia, il romanzo di Susan Choi che ha vinto il National Book Award nel 2019, l’adolescente di Sarah si lascia coinvolgere quasi passivamente in un rapporto sessuale con Liam, di una decina d’anni più grande di lei. Nonostante la repulsione fisica che Liam le ispira, Sarah prova nel corso di quell’amplesso un piacere indesiderato e orribile, che le esce da dentro come un fiore di carne con grandi petali muscolosi come lingue. Liam ha interpretato l’eccitazione fisica di Sarah come un segno del suo evidente e inappellabile consenso, ma né questo né il raggiungimento dell’orgasmo hanno impedito che l’esperienza di Sarah fosse inequivocabilmente bad sex.
La confusione tra eccitazione fisica e consenso è un altro punto centrato da Angel ne Il sesso che verrà. La maggior parte degli studi clinici sulla sessualità femminile condotti nella seconda metà del Novecento tentano di dimostrare che l’eccitazione delle donne funziona esattamente come quella degli uomini, tracciando un parallelismo improprio tra la lubrificazione femminile e l’erezione maschile. Questo approccio vorrebbe appianare le differenze tra i sessi, ma finisce per semplificare un problema molto più complesso, introducendo la possibilità che il corpo delle donne possa essere più eloquente delle loro parole: se così fosse, non ci sarebbe motivo di fermarsi davanti al no di una donna fisicamente eccitata. Nella scena di Esercizi di fiducia citata prima, Liam non chiede mai il consenso di Sarah, in nessun punto del rapporto; ritiene che i suoi genitali comunichino la sua scelta in maniera già abbastanza efficace. Dobbiamo dare la priorità a ciò che le donne dicono, per quanto sia complesso, piuttosto che feticizzare quello che fanno i loro corpi sulla base di uno scientismo fallace, scrive Angel.
A volte, tuttavia, neanche l’espressione verbale di un rifiuto è sufficiente a stabilire i confini di un rapporto. È quel che succede alla protagonista di Atti di sottomissione, il romanzo d’esordio dell’irlandese Megan Nolan ora in Italia per NN Editore. La giovane individua nelle insistenze degli uomini davanti a un no uno degli elementi che rendono così labile e incerto il confine tra consenso e violenza.
Devi fare uno sforzo così grande per dire di no quando ti hanno insegnato a dire di sì, a essere accomodante, a rendere gli uomini felici. Dopo che hai detto di no, un uomo che fa le moine per convincerti a cambiare idea diventa intollerabile. Anche se lo fa con educazione, o gentilezza, ignora le intenzioni espresse in modo chiaro. Significa: “la tua scelta di fatto non conta. A contare è il mio desiderio, e non voglio sentirmi in colpa per averti costretto. Non puoi ripensarci?”
Sono i limiti del consenso negativo, riassunto dallo slogan no means no, “no significa no”. Le frange del femminismo che ritengono inefficace questo meccanismo evidenziano invece l’importanza di un consenso affermativo, ossia dell’esplicito accordo tra le parti su cosa è lecito e cosa non è lecito fare nel corso di un rapporto sessuale. Il consenso affermativo viene proposto come metodo per evitare il bad sex: le donne sono invitate a conoscersi a fondo e ad essere ben chiare riguardo quello che vogliono e non vogliono fare a letto. Angel sottolinea quanto poco realistica sia questa posizione: il desiderio è fatto di incertezza ed esitazione, ed è spesso difficile comunicare le proprie preferenze perché quel che si vuole è mutevole e complicato. È possibile cambiare idea quando le cose sono già cominciate – come accade a Margot in Cat person -, è possibile che il corpo dia segnali in contrasto con il desiderio mentale – come succede a Sarah in Esercizi di fiducia.
Inoltre, il consenso, persino il consenso affermativo, indica comunque il consenso alla proposta di qualcun altro. Nel tentativo di creare per sé uno spazio sicuro, quindi, la donna si ritrova confinata di nuovo in un ruolo passivo. Questo paradosso, curiosamente, è la giustificazione addotta sia da alcune correnti femministe, sia dai detrattori più misogini del movimento #MeToo per mettere in discussione l’importanza del consenso quando si stabilisce la differenza tra un rapporto intimo e una molestia.
Ne Il sesso che verrà Angel riporta il caso di un dibattito nato nel 2018 intorno ad un’accusa di stupro ai danni del comico Aziz Ansari. In difesa di Ansari, la giornalista Bari Weiss sostiene che sia un preciso compito delle donne difendersi dal bad sex: se lui ti spinge a fare qualcosa che non vuoi fare, usa la tua vocina, alzati in piedi ed esci dalla stanza. Gli uomini, insomma, non possono avere la responsabilità di leggere nel pensiero delle donne.
I limiti di questa posizione vengono ben approfonditi in Questo è il piacere, un racconto lungo di Mary Gaitskill originariamente apparso sul New Yorker nel 2019. La storia del declino di Quin, un potente editore travolto da una ingestibile quantità di accuse di molestie da parte di quasi ogni donna con cui ha interagito nella vita, viene raccontata dal punto di vista della sua migliore amica Margot, in bilico tra la fedeltà verso un uomo che stima e la consapevolezza che le versioni delle sue accusatrici hanno un fondamento nella realtà. D’altra parte, Quin ha avuto degli atteggiamenti inappropriati anche con lei, ma Margot lo ha fermato subito e il loro rapporto ha potuto svilupparsi in maniera equa. Validare le accuse nei confronti di Quin equivale per la donna a ridimensionare l’immagine di sé che si è creata: nella nuova narrazione che si sta imponendo, essere stata in grado di gestire le avances dell’uomo non le conferisce un valore aggiunto, è piuttosto il valore di Quin ad essere diminuito da quei gesti inopportuni.
La Margot di Questo è il piacere, ansiosa di dimostrarsi diversa – più indipendente, più capace – rispetto alle donne che hanno firmato la petizione contro Quin, finisce per restare a sua volta intrappolata nello sguardo maschile: d’altra parte, il suo apparire diversa, più sicura di sé e dei suoi desideri, è mirato solo a creare un legame tra lei e gli uomini. Ma quanto c’era di realmente equo nell’amicizia tra Margot e Quin? Quanto può essere paritario un legame basato sul desiderio di una parte di mostrarsi all’altezza dell’altra?
Scrive Angel:
Ed ecco allora il paradosso: sia il linguaggio insistentemente positivo della retorica del consenso, sia le posizioni insistentemente sprezzanti di queste critiche emergono da un preciso momento del post-femminismo e del confidence feminism dove debolezza e insicurezza devono essere scongiurate a tutti i costi; dove l’espressione e la padronanza di sé sono indispensabili, e dove il lavoro individuale su noi stesse ci proteggerà dalla violenza sessuale. La cultura dello stupro e le reazioni ad essa diventano questioni private.
Secondo l’autrice, al contrario, la vulnerabilità e la volubilità del desiderio dovrebbero essere accettate come componenti essenziali dell’etica del sesso. La soluzione al problema del bad sex non sarebbe dunque dimostrare che la sessualità delle donne è semplice quanto quella degli uomini, ma, al contrario, ammettere che anche la sessualità maschile può essere complessa, sfaccettata e variabile come quella femminile.
Le storie scritte da Roupenian, Nolan, Gaitskill e Choi dimostrano che la letteratura è uno strumento potente ed efficace per esplorare le ambiguità delle relazioni sessuali e per interpretare le istanze sociali che ne derivano. Se tuttavia la voce delle donne sta riuscendo con successo ad emergere per raccontare una nuova versione del desiderio, perché l’operazione sia del tutto efficace dovremo attendere che anche gli uomini sentano l’esigenza di farsi portavoce di una sessualità priva di doveri e assiomi, spogliando la dicitura di letteratura del #MeToo da ogni prerogativa di genere.
Il sesso, denuncia Angel, viene presentato ai ragazzi come qualcosa che hanno il dovere di fare alle ragazze, mentre a queste spetta il compito di subire e giudicare. Questo genera una fragilità su cui indagare: sarebbe interessante aprire una finestra sulle possibilità che si aprono in letteratura quando lo sguardo maschile si rivolge onestamente alla propria vulnerabilità.
La vulnerabilità è lo stato che ci permette di andare alla scoperta, scrive Angel nell’ultimo capitolo de Il sesso che verrà. Una delle azioni che ci rende più vulnerabili è proprio raccontare e raccontarci: raccontare il sesso con le sue ambiguità è il mezzo più potente che abbiamo per ridimensionare le aspettative che vi riponiamo, per renderlo meno importante, in modo che possa essere migliore.