Chi vende fiction in USA? Soprattutto le donne
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L'anno scorso il 67% delle vendite nella top 100 libri di fiction americana proveniva da opere scritte da donne.
Fischio, donne e rivendicazione. Storia di tre lingue con cui poter dire tutto.
"Se il linguaggio ti esclude, escludi il linguaggio”: potrebbe diventare il motto di un gruppo di donne (piccolo e non organizzato, ma coerente e determinato) che trova una nuova via per comunicare, rinunciando alle parole di cui tutti e tutte si servono, per esprimersi con un codice altro che le libera e supera la lotta. Già, la lotta: sul campo del linguaggio, infatti, si sta svolgendo da tempo una vera sfida femminista con l'obiettivo di eliminare le differenze di genere (vere e proprie “esclusioni”) iniziando a sottolinearle o – ancor meglio – a renderle evidenti in modo indiscutibile.
Se molte persone continuano a scegliere le desinenze al maschile per gran parte dei lavori svolti da donne (soprattutto quelli più prestigiosi, dal sindaco al magistrato), e se ancora troppe considerano il plurale al maschile onnicomprensivo (non lo è, perché rende impossibile capire se nel gruppo sono presenti soltanto uomini), le soluzioni proposte, tra voglia di trovare un terreno comune e ironia sull'impossibilità di farcela, sono state (e sono) molte: asterischi, la famigerata “schwa”, la vocale “u” – o dittonghi vari – da usare a fine parola, termini direttamente monchi senza desinenze di genere. Niente di tutto ciò è stato risolutivo, al contrario, queste idee sono state spesso vilipese e osteggiate. Perché “impronunciabili” e, di conseguenza, impossibili da accettare. Con il supporto dell'Accademia della Crusca che a settembre 2021, interrogata sulla possibilità di utilizzo di alcune di queste soluzioni, ha rifiutato l'ipotesi come una “forzatura” che avrebbe potuto portare a non capirsi più.
Se le parole non sono disposte a cambiare, allora, l'alternativa va cercata altrove: un nuovo approccio alla comunicazione, rafforzato dall'arte, dal cinema e dalla musica, potrebbe modificare il contesto? Forse. E un esempio esiste già: alcune donne nel mondo comunicano fischiando, fischiando azzerano le differenze (e non solo quelle di genere), fischiando affermano anche un principio. Le parole sono una convenzione, se diventano un limite si possono superare.
Prima di padroneggiare una forma di linguaggio, però, capita addirittura di doversi conquistare il diritto a poterla usare. “In principio fu il Signore, solista della creazione, che musicò l’universo e col fiato residuo animò l’uomo. Zefiro ne copiò invano il sibilo, ma solo il fischio umano sarebbe stato la verosimile imitazione del soffio divino”: con questa frase di Valentino Zeichen si apre il sito ufficiale di Elena Somaré, la più grande interprete di fischio melodico nonché la prima donna ad averlo portato in concerto nel mondo arabo, a maggio 2019 all'università Sorbonne di Abu Dhabi, scelta dall'Unione Europea per lo Europe day, anche se probabilmente la sua performance più nota è stata quella registrata per la colonna sonora del film “Loro” di Paolo Sorrentino, nel 2018.
«Il fischio per una donna è un’aggravante», spiega lei stessa. «Le donne non potevano fischiare, era considerata una cosa disdicevole, maleducata. In molte culture primitive era un suono pericoloso, che attira i demoni. Il fischio è la voce del diavolo nel Mefistofele di Arrigo Boito. Ma io vedo la sua bellezza. Nel fischio c'è l'anima della persona, senza filtri». Il fischio, inoltre, non ha sesso: «Chi mi ascolta a occhi chiusi non può capire se sono un uomo o una donna, anzi quasi sempre pensano sia un uomo proprio perché non ci si aspetta che le donne si azzardino a farlo», ha commentato durante un'intervista televisiva in Rai a febbraio 2021 nel corso della trasmissione ItaliaSì in cui era stata anche lanciata, per l'8 marzo successivo, la proposta di un flashmob virtuale dedicato a “tutte le donne che nel mondo non possono fischiare”. E che il fischio sia unisex lo conferma “E' stata la mano di Dio”, l'ultimo film di Sorrentino in cui Somaré doppia entrambi i fischi con cui i genitori del protagonista si dichiarano reciproco amore.
La fischiatrice milanese, con un trascorso da fotografa e videomaker (ha curato la fotografia del documentario “Nazirock” e la regia della serie in 12 puntate “La grande storia del jazz”) prima del passaggio definitivo nel 2007 alla musica come professionista, viene da una tradizione relativamente lunga di donne che l'hanno preceduta, tra le quali in particolare la fiorentina Daisy Lumini, che alternava canto e fischio (anche lei immortalata dal cinema, tra le altre nella colonna sonora de “I Basilischi”, esordio di Lina Wertmüller musicato da Ennio Morricone) e soprattutto Alice J. Shaw, nota nel mondo come “The Whistling Prima Donna”, la prima donna fischiante, attiva negli Stati Uniti a fine Ottocento.
Se la musica di Somaré risulta decisiva nel rivendicare il diritto femminile al fischio, manca però del valore comunicativo, limitandosi a quello melodico. L'aspetto più sorprendente di un'indagine sull'uso del fischio è infatti la scoperta di come possa rivelarsi un vero e proprio linguaggio: con il suo uso uomini e donne possono formulare frasi e tenere conversazioni, e ciò avviene in diverse tradizioni popolari in varie parti del mondo.
Il primo esempio porta al largo delle coste del Marocco, più precisamente sull'isola della Gomera, nell'arcipelago delle spagnole Canarie: nel 2009 è entrato nel patrimonio orale e immateriale dell'umanità dell'Unesco l'antico “silbo gomero”, un sistema di comunicazione che sostituisce le lettere scritte con fischi che variano per intonazione e durata.
I dati confermano che si tratta dell'unica lingua al mondo a essere pienamente sviluppata e praticata da una vasta comunità, per l'appunto i 22mila abitanti dell'isola. Una realtà talmente suggestiva da ispirare un film, intitolato proprio “La Gomera”, diretto nel 2019 dal rumeno Corneliu Porumboiu (vincitore della Camera d'Or al Festival di Cannes nel 2006 con "A est di Bucarest") e presentato in concorso anch'esso sulla Croisette.
Quel linguaggio inventato dai pastori per comunicare da una cima all'altra delle montagne che caratterizzano la morfologia dell'isola diventa nel film il mezzo per ritrovare un tesoro: il protagonista è Cristi, un poliziotto corrotto di Bucarest che aiuta il criminale Paco a far uscire di prigione Zsolt, l'unica persona a conoscere esattamente dove si nascondono i 30 milioni di euro di un precedente furto.
Quando Cristi si reca alle Canarie per imparare il linguaggio fischiato in modo da comunicare con i mafiosi viene affidato a una femme fatale, Gilda (magnificamente interpretata da Catrinel Marlon), che possiede le nozioni per imparare come i fischi possano essere rivelatori e comunicativi. Gilda è un'altra donna che grazie a un differente sistema di linguaggio riesce a essere determinante e decisiva per la propria affermazione. «È l’archetipo della donna fatale: inganna e tradisce gli uomini, mettendoli l’uno contro l’altro. Catrinel Marlon è riuscita perfettamente a infondere al personaggio la forza di manipolare gli altri, senza che questi se ne accorgano», ha spiegato Porumboiu. «La lingua El Silbo codifica il nostro linguaggio parlato, come il film codifica la realtà. Dieci anni fa vidi un servizio sulla lingua dei fischi, “parlata” sull’isola de La Gomera. Avevo appena terminato il mio film “Police, Adjective”, anch’esso sul linguaggio utilizzato a fini politici e rimasi colpito dall’idea di usare i fischi come elemento per una ricerca simile». Un codice antico, di cui una donna ha la chiave.
Ma la pratica di questa comunicazione alternativa, capace di annullare le differenze, non si limita a un'isola in mezzo al mare. Meno nota sicuramente del silbo, ma ancor più determinante per l'affermazione di una giovane e coraggiosa donna, appare infatti il fischio che viene utilizzato in alcune zone rurali della Turchia. Sibel è la protagonista dell'omonimo film del 2018 firmato dalla coppia, nella vita e nell'arte, Guillaume Giovanetti e Çagla Zencirci, di cui è straordinaria protagonista Damla Sömnez, interprete in carriera di alcuni film indipendenti d'autore turchi e che a inizio lavorazione non era minimamente in grado di fischiare.
Autore e autrice del film raccontano di aver letto nel 2003 un libro di oltre duemila pagine, “The Languages of Humanity”. La loro attenzione venne colpita da un piccolo paragrafo contenuto in quel testo, dedicato a un piccolo villaggio nel nord-est della Turchia dove la gente del posto parla fischiando. Leggenda o realtà? Il dubbio rimase nelle loro teste fino al 2014, quando durante un viaggio in quell'area del Paese poterono verificarne la veridicità. «Abbiamo scoperto Kusköy, che significa “il villaggio degli uccelli”. Avevamo paura che potesse essere una cosa folkloristica, parlata solo da pochi anziani. Ma non era così: a differenza di quello che si potrebbe pensare non è una lingua estinta», hanno rivelato in un'intervista firmata da Mehdi Omaïs.
Con la lingua fischiata a Kusköy «puoi dire qualsiasi cosa. Assolutamente qualsiasi cosa. Durante quel primo viaggio, ci siamo trovati faccia a faccia con una giovane donna del villaggio; all'inizio ci è parso che fosse muta e comunicasse solo attraverso il fischio. Poi all'improvviso è scomparsa nella natura. Ci ha ispirato per scrivere il personaggio di Sibel».
In nessun'altra storia come in quella della 25enne Sibel impadronirsi di una differente forma di linguaggio diventa vitale e decisivo per l'affermazione di una donna in un contesto che la escluderebbe senza porsi troppi scrupoli. Lei vive con suo padre e sua sorella in un remoto villaggio tra le montagne della regione turca del Mar Nero, è muta e comunica soltanto grazie all'antica lingua fischiata della loro regione, che il padre le ha insegnato per darle una nuova, unica, opportunità. Disprezzata dagli altri abitanti del villaggio, che non percepiscono la sua esclusione come un reale problema, Sibel caccia incessantemente nella vicina foresta un fantomatico lupo, che però vive soltanto nelle paure e nelle fantasie degli abitanti del villaggio. Chi esclude non si preoccupa delle conseguenze del proprio gesto, chi subisce quell'esclusione deve sacrificarsi e rischiare per non soccombere.
«Ci sono Sibel in tutto il mondo, donne confinate in una definizione, con la società che fissa per loro dei limiti. Ma il suo viaggio è anche una forma di emancipazione. Lei incarna una sorta di rivoluzione, si distingue in un luogo in cui tutti i destini personali hanno scontate conclusioni. La parola "femminismo" è complicata per tutte le connotazioni che comporta: potremmo dire che Sibel diventa spontaneamente e intuitivamente femminile. Lei è un personaggio escluso, emarginato, disabile, che si riprende la vita e si rialza per cambiare l'ordine naturale delle cose».
Elena, Gilda, Sibel: padrone di un linguaggio diverso, con cui costruire le proprie regole e conquistare il proprio spazio nella società. Una cosa ormai certa è che gli argini ristretti e limitanti entro i quali la comunicazione tradizionale ha cercato e cerca di costringere le donne si sono palesemente dimostrati insufficienti, a causa di un errore di partenza nella loro concezione e di una crescente “piena” di consapevolezza che è ormai troppo forte da contenere. E che si avvicina sempre più velocemente al mare, accompagnata magari da un inatteso fischio femminile.