Le balene parlano di noi e del nostro pianeta. Uno scambio con Rebecca Giggs, autrice del libro "Le regine dell'abisso", recentemente pubblicato da Aboca Edizioni.
di Filippo Rosso
è un'autrice australiana. Scrive di etologia, del rapporto tra esseri umani e animali e di cambiamenti tecnologici. Il suo primo libro di saggistica, "Le regine dell'abisso" è stato recentemente tradotto in Italia da Aboca Edizioni.
(1980), è autore del primo e forse ultimo ipertesto narrativo italiano, s000t000d (2002). Ha scritto testi e articoli su diverse riviste. Nel 2020 ha fondato Singola, di cui è caporedattore. Vive e lavora a Berlino.
Meraviglia e orrore: queste, in sintesi, le parole che circoscrivono lo spazio che Rebecca Giggs nel suo saggio Le regine dell'abisso (Aboca Edizioni, 2021) ha esplorato inseguendo le balene, dai poli ai tropici, in quasi ogni regione del mondo.
Da una parte, infatti, le balene rappresentano una specie fondativa: non solo per il nostro immaginario, ma per una parte consistente dell'industria moderna. Dall'altra, lo spettacolo a cui assistiamo è un numero sempre crescente di prevaricazioni di cui come specie siamo responsabili, e dove la balena rappresenta - forse meglio di ogni altro animale - la cartina tornasole di un ambiente al collasso.
Ci siamo quindi lasciati guidare dall'autrice in una serie di riflessioni scaturite della lettura del libro.
Filippo Rosso - C'è una ragione particolare per cui hai scelto il binomio mare / balene come chiave per scrivere dell'attuale scenario ambientale?
Rebecca Giggs - Quando ho iniziato il libro, ho capito che le vicende ambientali sulla balena era una storia di trionfo. Le campagne "Save the Whales" degli anni '70 e '80 sono sicuramente tra i successi più memorabili di una cittadinanza verde e globalizzata che - per una breve finestra di tempo - si è coalizzata intorno a minacce che un tempo sembravano insormontabili. Ma, tornando a guardare le balene, ho scoperto che il quadro è più complesso. Anche se alcune grandi specie di balene si stanno riprendendo dopo la cessazione della caccia commerciale, la vita di molte delle balene di oggi fornisce un quadro delle moderne preoccupazioni ambientali che sono trans-emisferiche: plastica oceanica, crisi climatica, acidificazione marina, rumore industriale, disordini ecologici. Questi problemi possono sembrare astratti e troppo immensi per avvolgere la nostra testa, ma guardare le balene ci aiuta a immedesimarci in ciò che significa vivere attraverso questi cambiamenti.
Il libro esplora i nostri obblighi verso un altro animale, al di là dei tentativi di preservare semplicemente la loro specie: da che tipo di realtà sensoriali vogliamo proteggere gli animali e che tipo di vita in natura vogliamo assicurare loro, nel futuro? Il mare non è inesauribile e immutabile come si poteva immaginare un tempo. E nemmeno noi siamo costretti a non poter cambiare. Il principale messaggio che spero che la gente recepisca con questo libro è che, anche se l'impatto umano sull'ambiente può essere su scala globale, lo è anche il nostro potere di effettuare un cambiamento positivo.
Il mare non è inesauribile e immutabile come si poteva immaginare un tempo. E nemmeno noi siamo costretti a non poter cambiare.
FR - In alcuni capitoli del libro ti concentri sulla profonda relazione che lega gli esseri umani alle balene. Ciò riesce a spiegare l'enorme fascinazione che abbiamo per questi animali? C'è qualche connessione speciale tra questi due mondi?
RG - Le balene sono un clade globale di animali che si trovano negli oceani dai tropici ai poli. Ma chiunque, anche qualcuno abituato a vivere nel grattacielo di una città può meravigliarsi di loro, perché sono gli animali più grandi sulla faccia della Terra. La balena è la 'B' nel primo libro dell'alfabeto che leggiamo da bambini; è il più grande scheletro del museo e un'attrazione carismatica per l'ecoturismo.
Nel libro scrivo di come i movimenti contro la caccia alle balene degli anni '80 abbiano offerto alla gente l'opportunità di partecipare a una cittadinanza ambientale trans-emisferica che era possibile solo appunto perché le balene sono familiari a molte culture. Volevo lottare con i cambiamenti sistemici in ecosistemi grandi come gli oceani - ed ero interessata ai simboli che ci uniscono e che ci mettono in contatto con gli spettacoli più potenti della nostra natura. Per queste ragioni, le balene erano il "cavallo di Troia" perfetto. Erano un modo per parlare del potere del nostro affetto per la natura, e della portata dei nostri legami anche molto remoti con la natura selvaggia.
Penso che le balene ci affascinano perché le immaginiamo simili a noi in molti modi, ma possono anche essere aliene e sconosciute. Le balene sono animali a sangue caldo, hanno cervelli divisi in emisferi, allattano i loro piccoli e sembrano giocare con loro. Alcuni sostengono che il canto delle balene rappresenta una specie di linguaggio. Eppure restano misteriose. Ci sono alcune specie di balene che conosciamo solo da teschi e parti del loro scheletro dorsale, trovate su spiagge remote - balene che la gente non ha mai visto vive. Nel 2016 gli scienziati hanno scoperto un tipo completamente nuovo di balena quando hanno fatto dei test su uno scheletro che era stato appeso, per molti anni, come mascotte nella palestra di un liceo dell'Alaska.
Le balene ci affascinano perché le immaginiamo simili a noi in molti modi, ma possono anche essere aliene e sconosciute.
Ciò detto, per quanto ammalianti e remote possano sembrare, oggi le balene ci restituiscono anche spazzatura che abbiamo trascurato: alcune balene si spiaggiano con lo stomaco pieno di rifiuti di plastica. Non si tratta solo di rifiuti dell'industria della pesca; sono state scoperte balene che hanno ingoiato paia di jeans, vasi di fiori, DVD, vaschette di gelato. È stata questa dissonanza che mi ha colpito davvero come scrittrice: l'incongruenza delle balene che sono, allo stesso tempo, strana selvaggia meraviglia e anche archivi della cultura del consumo umano.
FR - Un altro tema centrale del libro è l'economia circolare, e cioè l'importanza di riuscire a riconciliare i nostri consumi, e in generale la totalità della nostra attività di umani, con l'ambiente. Quale futuro e quali limiti vedi a riguardo?
RG - Nel libro scrivo di come le industrie baleniere del diciannovesimo secolo non hanno sfruttato le balene solo come risorsa, la caccia alle balene è stata il contesto in cui il capitalismo estrattivo globale e la cultura del consumo di massa sono emersi nella loro forma moderna. L'olio di balena ha accelerato l'automazione nelle fabbriche, e il grasso di balena utilizzato per l'illuminazione ha esteso le ore di commercio nella notte. I fanoni delle bocche delle balene sono stati trasformati in vari prodotti come l'imbottitura dei divani, la corsetteria femminile, le molle degli orologi da polso e i manganelli della polizia. Ora, l'appetito per i beni di consumo messo in moto secoli fa avuto come esito lo sterminio delle balene presenti in natura - alcune di loro portano nel loro grasso la chimica degli inquinanti trasportati dall'acqua e dall'aria, e alcune muoiono con sacchetti di plastica nello stomaco o impigliati nei detriti. Questo tipo di circolarità è allarmante, sconvolgente.
La caccia alle balene è stata il contesto in cui il capitalismo estrattivo globale e la cultura del consumo di massa sono emersi nella loro forma moderna.
Ma hai ragione a sottolineare che le idee dell'economia circolare - e i prodotti cradle-to-cradle, la condivisione delle risorse, eccetera - offrono un po' di conforto a questa cultura avara. Vedo dei limiti in questo modello? Certamente. Ci vorranno soluzioni sia dal lato dell'offerta che da quello della domanda. Ci sono molte strutture ereditate che si stanno svuotando davanti ai nostri occhi mentre i governi si abituano all'idea che per ottenere un futuro vivibile l'industria dei combustibili fossili dovrà essere ampiamente riconfigurata, e in gran parte dismessa. Ma il ritardo è tangibile.
Sorge forse una speranza - e una sana dose di agitazione - da come le persone si stanno riunendo sotto la spinta della pandemia per riconsiderare nozioni come aiuto reciproco e solidarietà intergenerazionale e intersezionale. Nuovi e più equi percorsi verso il futuro sono possibili e vengono immaginati anche ora.
FR - Negli ultimi anni sono state proposte molte nuove interpretazioni di "natura tecnica", come la tecnosfera, un'idea inclusiva che potrebbe tendere a normalizzare l'impatto delle attività umane (inclusa l'estrazione di combustibili fossili, la creazione di megalopoli o l'introduzione di plastica nell'ambiente) riportando tutto sotto l'ombrello delle caratteristiche innate della nostra specie. I pensatori che promuovono questa visione spesso considerano l'ambientalismo classico come conservatore e la loro idea di una natura statica come puramente intellettuale. Qual è la tua idea a riguardo?
RG - Penso che il tecno-utopismo sia problematico: non da ultimo perché ha la tendenza a vedere i problemi di disuguaglianza sociale come fatti ripianabili da soluzioni tecniche piuttosto che richiedere la rettifica di ingiustizie e torti storici appellandosi alle strutture legali e normative esistenti. In altro parole, operando una legittima "pressione" democratica. Detto questo, vedo chiaramente un ventaglio molto ampio di interessi in gioco.
Credo, ad esempio, che ci sarà bisogno di progressi significativi nella geo-ingegneria e nella tecnologia di elettrificazione - e non solo una riduzione delle emissioni - per mantenere in ordine il nostro pianeta. E sono stimolata dalle possibilità della biologia sintetica di cambiare in meglio la produzione di carne e dall'agricoltura sostenibile. La vecchia divisione tra "natura" e sfera umana è crollata, se mai è esistita veramente, ma questo non significa che si possa contare sull'ingegnosità di ingegneri e tecnocrati per salvaguardare il futuro. Abbiamo bisogno sia di soluzioni tecniche funzionanti, robuste e innovative, sia di un cambiamento comportamentale. Alcuni di questi cambiamenti coinvolgeranno anche riallineamenti di potere.
Abbiamo bisogno sia di soluzioni tecniche funzionanti, robuste e innovative, sia di un cambiamento comportamentale. Alcuni di questi cambiamenti coinvolgeranno anche riallineamenti di potere.
FR - In un capitolo del libro ti ricolleghi al concetto di "biofilia" del sociobiologo americano Edward O. Wilson, che riguarda il riconoscimento della natura come primo passo per potercisi sentire connessi. Pensi che questo concetto sarà rafforzato nelle nostre società da una crescente sensibilità alle questioni ambientali, o sarà indebolito nel prossimo futuro come risultato di una maggiore virtualizzazione / urbanizzazione?
RG - Anche Bjork aveva un album intitolato Biophilia, ed era molto incentrato sulla fusione della natura con il virtuale! Ho il sospetto che stiamo dimenticando la visione sublime della natura, quella in cui ci viene richiesto di avventurarci nella natura "incontaminata" per avere un incontro estatico nelle sue dimensioni più travolgenti. Naturalmente qui in Australia sappiamo che la natura selvaggia è una finzione coloniale: tutta la terra in questo paese porta l'impronta della conoscenza e della custodia indigena, che si tratti di deserto, foresta o paesaggio urbano. Tutta la terra è culturale. La prossima generazione sarà senza dubbio più immersa nella vita digitale, ma non mi sembra sufficiente per annullare i nostri antichi sentimenti per l'ambiente. Avremo ancora bisogno di oceani, montagne, animali e piante per dare eco alle nostre filosofie. Attività come il giardinaggio, l'allevamento di animali domestici e il fashion-design diventeranno sempre più legate alla coscienza ambientale - è già sotto gli occhi di tutti. Il concetto di biofilia di Wilson implica che gli esseri umani abbiano un amore innato per la natura e siano predisposti a volerla proteggere, non a distruggerla. Fa parte della nostra comune eredità evolutiva, e quindi ci lega l'uno all'altro così come al mondo naturale.