Una lettura di "Olanda, 1945 - Anne Frank e i Neutral Milk Hotel" di Massimo Palma, recentemente pubblicato da Nottetempo.
«Jeff Mangum fa giri enormi attorno alla sua ombra e quando canta non fa headbanging e si scontra con Koster per poi avvicinarsi al microfono. Canta dell’unica ragazza che ha mai amato».
Nell’incessante, ripetuto ritornello di un celebre brano dei Tre allegri ragazzi morti – la band di Davide Toffolo – ascoltiamo: «[…] Di che cosa parla veramente? Di che cosa parla veramente una canzone? Di che cosa parla veramente una canzone non lo so». È un quesito frivolo, un pretesto, ma contiene anche una certa profondità, una curiosità e dice quello che veramente accade quando ascoltiamo una canzone. Il brano ci piace, mandiamo intere frasi a memoria, ci cantiamo i ritornelli mentre guidiamo, mentre siamo in bagno, andando appresso ai cantanti, imitandoli, storpiandoli. Quando una canzone ci piace sul serio ne cerchiamo il significato, esploriamo le frasi più oscure, affidandoci all’estro, a quello che conosciamo della storia di chi canta. Cosa dice qua, cosa avrà voluto dire nella prima strofa, i due versi finali sono molto chiari e così via. Alla fine, con una certa dose di ingenuità e sconcerto, attribuiamo al testo un senso, che però è soltanto nostro. Perciò, è certo, di cosa parla veramente una canzone non lo sappiamo. Accade anche con le poesie, ma lì siamo culturalmente abituati ad accettare un margine di incomprensibilità. Per le canzoni no. «Guarda che non sono io quello che mi somiglia», canta De Gregori, costringendoci a mettere da parte ogni nostra convinzione su chi sia la donna cannone, quale il fiorellino a cui dare la buonanotte e così via. Se seguiamo questo ragionamento possiamo anche affermare di cosa non parla veramente una canzone, o meglio cosa ci stanno cantando senza dircelo, cosa rimane fuori dalle note e dal testo, cosa comincia a volarci intorno quando partono i primi accordi.
«Ci sono ritratti che si amano per la deriva glaciale che lasciano».
Che cosa rimane fuori da una canzone, cosa sia capace di evocare un album e perché questo aspetto, insieme ad altri insondabili motivi e altri prettamente musicali, rende quel disco indimenticabile, misterioso, imperscrutabile e irrinunciabile?
«I Neutral Milk Hotel non si immaginano visti. Non pensano che qualcuno davvero vorrà mai vedere com’erano, quando c’erano. Non lavorano per essere ricordati in qualcosa che qualcuno scambierebbe per lavoro».
Molti di questi pensieri mi si sono affollati in testa durante la lettura del bellissimo saggio (e non sono certo che si possa sintetizzare soltanto sotto questa categoria) di Massimo Palma, da poco uscito per Nottetempo: Olanda, 1945. Anne Frank e i Neutral Milk Hotel. Va da sé che solo scrivendo il titolo del libro a molte persone, eccetto forse i giovanissimi, si aprono una serie di cassetti infiniti dai quali partono e si sollevano nell’aria brani musicali, canzoni indimenticabili come In the Aeroplane Over the Sea o King of Carrot Flowers pt 1 e 2; e – contemporaneamente – passaggi dal diario di Anne Frank e la sua immagine quella che abita la nostra memoria dalle elementari, quella della ragazzina che sorride. Proprio quel sorriso – e questo uno dei temi che viene fuori leggendo il lavoro di Palma – è in fondo un falso, o meglio, un distorsore della memoria. Quella foto, quel sorriso, ci distolgono dalla verità, dall’accaduto che pure conosciamo. Anne Frank è morta, uccisa dai nazisti e noi non abbiamo una sua immagine del dopo, del campo di concentramento, non abbiamo un’immagine di lei che soffre. Siamo portati a pensare a una Anne Frank sorridente per sempre, il distorsore della memoria ci conforta, ci serve. Meglio pensare ad Anne al sicuro che scrive le sue pagine, i suoi pensieri, restando in un certo senso viva per sempre. Meglio pensare a una ragazzina che non muore mai.
«Alla fine dell’album, Anne Frank, la ragazza che Holland 1945 vede nascere con “le rose negli occhi”, è sulla bocca di tutti, sentita, parlata. Si sente l’odore delle sue labbra, si vede il profilo sulle lenzuola. E non è di nessuno».
E poi ci sono i Neutral Milk Hotel una delle band più famose per non voler essere famosa, nota suo malgrado, diventata mitica controvoglia. Chi segue la musica un po’ la storia la conosce, due dischi, il secondo è il concept ispirato dalla lettura del diario di Frank, qualche concerto e poi ciao, la sparizione, non fare più canzoni o al massimo farle per sé, una piccola reunion molti anni dopo e basta, però le canzoni sono ascoltate e riascoltate in tutto il mondo a distanza di venticinque anni. Sparire, dissolversi, come Anne Frank. E allora abbiamo un diario e un album straordinario, canzoni che non è possibile non cantare, con quegli accordi facili da mandare a mente, con la voce del leader Jeff Mangun che procede a strappi che urla e noi con lui non abbiamo mai smesso di intonare (anzi, di stonare): «What a beautiful face / I have found in this place» l’attacco e poi la strofa più celebre «And one day we will die / and our ashes will fly / from the aeroplane over the sea […]». Versi, musica e modo di cantare, tutto insieme è romantico e struggente, eppure è doloroso, eppure è un modo per portare una storia d’amore impossibile su un piano più alto, che va oltre la morte, oltre la storia, oltre la memoria. C’è un luogo in cui si può amare Anne Frank e può amarla chi ha scritto quelle canzoni, e può amarla ciascuno di noi. Un luogo in cui regnano i fantasmi, i volti scompaiono, si sovrappongono alle nuvole, but for now we are young e per sempre we are young, nel posto che non c’è, dove la musica stravolge la retorica. Qui, come scrive, Palma, Anne Frank finalmente resiste, a quello che è stato in quei giorni, a quello che è venuto dopo la sua morte, il suo omicidio, resiste alle tazze con il suo volto sorridente, alle scritte sui muri, agli striscioni razzisti da stadio. Jeff Mangun porta Anne Frank in un luogo in cui può essere amata, e nel farlo non segue una logica, segue una musica, disegna testi fuori da un’apparente ragione, senza senso compiuto, perché nulla c’è da compiere. È la musica, bellezza.
«Perché ogni morto è colui cui altri sopravvivono. Ai morti si ride in faccia il proprio potere – ma poi dei morti, del loro rancore, si ha paura».
I Neutral Milk Hotel non vogliono essere ricordati, non sono interessati alle vendite. Anne Frank non può essere dimenticata, ma non sappiamo come vorrebbe esserlo, perché avrebbe voluto vivere, tutto il resto è secondario. In questo non esserci, Massimo Palma, supportato da una prosa molto precisa, che non cede alla retorica, trova invece per loro un altro modo di comparire, stare nel regno dei fantasmi, che poi sono i veri protagonisti delle storie. I brani di Mangun, scritti nella periferia americana, in quel regno nel quale dominavano i Rem di Michael Stipe, nel suono che riproduce e annulla il tempo e lo spazio, spostano Anne Frank, le danno una voce, un respiro, le creano un regno dove possa durare per sempre, non sopravvivere, ma andare oltre le regole della sopravvivenza e di quelle barbariche che l’hanno uccisa.
«La chitarra acustica che domina e regna nel brano sussulta ancora mentre Mangum scioglie la sua invenzione in una formula “è incredibile / quanto può essere strano essere qualsiasi cosa in assoluto”».
Anne Frank si fa spettro nel disco dei Neutral Milk Hotel e vola sopra i continenti, diventa più forte della memoria, può fidanzarsi con un gruppo né rock né folk, con un tizio che urla nel microfono «Ti amo Gesù Cristo». Un disco lo puoi raccontare solo facendogli una sorta di controcanto, Frank la puoi raccontare solo liberandole dal racconto ripetuto e consolatorio, in cui l’hanno rinchiusa. Se vai a visitare la casa di Anne Frank e sei in coda, può darsi che gli addetti museali, gentilissimi, ti portino dei biscotti, quando mi è capitato ricordo di aver provato una sensazione di fastidio, mi pareva che la gentilezza fosse fuori luogo. Una percezione difficile da spiegare, un po’ di chiarezza l’ha fatta per me il libro di Massimo Palma.
Intrecciando accordi, parole, tipo di melodia, diario di Anne con altri pezzi di storia, altre pagine, come quelle di Primo Levi, di Philip Roth, di Kafka, di Sebald, Palma fa sì che il lettore entri in una sorta di campo magnetico immaginario, in cui il sorriso di Frank può essere spiegato da una frase di Roth, la sensazione di claustrofobia da un passo di Kafka, un verso dei Neutral Milk Hotel da una frase puntuale e pungente di Primo Levi.
«A volte i fantasmi tornano come parole, sono lì a dire che il lavoro del lutto è stato fatto male, che la lotta coi fantasmi non è mai neppure iniziata, persa in uno strano piacere di non vedere più i vivi come vivi, i morti come morti».
Di che cosa parla veramente una canzone? Adesso un po’ forse lo sappiamo e sappiamo di aver letto un testo di grande complessità e leggerezza che, come tutti i lavori di ricerca fatti bene, rende un po’ di giustizia non solo ad Anne Frank, non solo alla band americana, ma anche un po’ a noi, noi che abbiamo necessità di trovare sempre nuovi strumenti per vedere ciò che è visibile, ma che fatichiamo a riconoscere. What a beautiful story / I have found in this book.