Cara vecchia, nuova TV - Singola | Storie di scenari e orizzonti
"Television"
"Television" | Copyright: Paolo Libertini / Flickr

Cara vecchia, nuova TV

Digitale avanzato, palinsesti stravolti, nuove modalità di fruizione. Dialogo sullo stato dell'arte dell'industria televisiva.

"Television" | Copyright: Paolo Libertini / Flickr
Intervista a Fabio Guarnaccia
di Filippo Rosso
Fabio Guarnaccia

è direttore di "Link. Idee per la televisione". Ha pubblicato numerosi saggi su televisione, cinema e fumetto. Ha scritto tre romanzi, "Più leggero dell’aria" (Transeuropa 2010), "Una specie di paradiso" (Laurana 2015) e "Mentre tutto cambia" (Manni, primavera 2021). Collabora con il quotidiano Domani.

Filippo Rosso

(1980), è autore del primo e forse ultimo ipertesto narrativo italiano, s000t000d (2002). Ha scritto testi e articoli su diverse riviste. Nel 2020 ha fondato Singola, di cui è caporedattore. Vive e lavora a Berlino.

Gli sviluppi della società letti attraverso il medium della televisione. Il passaggio dall'analogico al digitale. E un pubblico sempre più giovane e in preda a visioni compulsive. Cosa succede ai palinsesti, come cambia la fruizione della televisione? E qual è il suo futuro? Lo abbiamo chiesto a Fabio Guarnaccia, da parecchi anni insider dell'industria televisiva e da 15 anni direttore di Link - Idee per la TV.
Il dialogo che nasce ripercorre in modo agile le molteplici trasformazioni in corso, a partire dalle nuove abitudini di consumo e le rinnovate significazioni del mezzo televisivo. In questo mare magnum in tempesta, una cosa è certa: la cara vecchia televisione non è andata in soffitta.  

Filippo Rosso - Innanzitutto presentiamoci un po', cominciando proprio da Link e dal tuo lavoro.

Fabio Guarnaccia - Link nasce alla fine degli anni Novanta come una newsletter interna a RTI per tenere aggiornati i dirigenti su quello che accadeva altrove nei media. è stata fondata da Davide Rampello e diretta da Alberto Sigismondi ed Elena Cappuccio. Io sono subentrato a Elena dalla seconda metà degli anni Zero.

A quei tempi in Italia non esistevano molti riferimenti, per cui guardavo soprattutto al mondo americano (McSweeney's, The Believer, N+1, The Paris Review) e europeo (032C, per esempio). Il lavoro di art direction di quegli anni è stato molto importante, prima con Graziano Mannu (che veniva dall'esperienza del Link di Bologna e lo Studio Ciclope), poi con Marco Cendron (POMO), con il quale abbiamo sperimentato molte soluzioni grafiche, cartotecniche e di stile.
Ogni numero in fondo era un unicum. Cambiava un po' tutto. Abbiamo anche lavorato con/e promosso la scena italiana dell'illustrazione che allora stava crescendo molto. Era un bel periodo e c'era molto fermento. Lato editoriale, con Luca Barra e Alessia Assasselli, ci interessava dare a Link un taglio più ampio alla sola indagine televisiva, comprendendo tutti i media audiovisivi, quindi pure la rete. Non ci interessava tanto la recensione al singolo programma e alla serie tv, a meno che non sia spia di qualcos’altro, come una certa pratica produttiva o professione, quanto analisi di tendenze che dicano qualcosa del consumo, della società o dell’industria. Ci sembrava mancasse qualcosa capace di tenere insieme uno sguardo approfondito sulla cultura visiva con il giornalismo culturale e l’accademia (un’accademia quanto più “ripulita” da un certo linguaggio specialistico-scientifico). Ricordo una definizione di Link che diede Luca Sofri su (Vanity Fair): una rivista letteraria che parla di tv. Credo fosse proprio la nostra ambizione. La cura del progetto grafico, oggi con lo studio Tomo Tomo, e il taglio approfondito ma godibile dei pezzi continuano a rimanere un nostro riferimento costante, anche online.

"Every channel the same" | Jeffrey / Flickr

FR - Erano più o meno i tempi in cui lavoravo nella sede italiana di The Box, il concorrente un po' sfigato di MTV che poi proprio da quest'ultima fu fagocitato. The Box trasmetteva su una serie di canali regionali, noi da Roma controllavamo che queste emittenti ricevessero i beta dei video che andavano in rotazione e aggiornavamo il database. Era il 2000, circa due secoli fa. Deve essere stata una bella fatica stare dietro a tutte le trasformazioni del mondo televisivo da allora a oggi. Ti ricordi di momenti nevralgici o di svolta che hai potuto seguire da vicino?

FG - Ce ne sono stati diversi, importanti. Nel giro di pochi anni siamo passati da una decina di canali a un centinaio con il passaggio al digitale terrestre. Il che ha significato l'ingresso di nuovi attori internazionali e anche di nuovi generi. Per dire, in Italia non esisteva il factual (introdotto da Discovery). In parallelo Sky ha sviluppato un'offerta di pay tv sempre più competitiva che col tempo ha allargato anche alle produzioni originali offrendo una via italiana a un certo tipo di serialità. Nel frattempo è cambiato anche il mondo dei contenuti, con titoli sempre più rivolti a un mercato frammentato composto da moltissimi canali, free e pay.

Non mi addentro su questo tema perché in fondo sono stati cambiamenti avvenuti altrove che grazie alla tv e alla rete hanno cominciato a diffondersi anche in Italia. Se col digitale ci riferiamo in generale a internet, anche la pirateria di contenuti audiovisivi ha fatto evolvere radicalmente i gusti del pubblico e le sue modalità di consumo, oltre a creare seri danni. Così arriviamo all'ingresso nel nostro mercato di giganti globali dello streaming, tanto a pagamento, da Netflix a Amazon Prime Video, quanto gratuiti, non solo Youtube ma anche i social, che sono diventati sempre più piattaforme video.
Tutti questi cambiamenti hanno avuto un riflesso sulla tv italiana, non solo in termini di contenuti offerti ma anche dal punto di vista industriale. Oggi si sono disegnati scenari competitivi che vedono, per semplificare, due forti contrapposizioni: tra la tv free e Google/Facebook, e tra Netflix, Prime Video, Disney Plus e la pay tv. Sono due raggruppamenti che insistono sullo stesso di tipo di risorsa, da un lato il mercato della pubblicità, dall'altro quello degli abbonamenti. Questa che ti offro non può che essere una risposta fallimentare, perché in nessun decennio ci sono stati tanti, continui e tali cambiamenti. A differenza di altri mercati dell'intrattenimento, però, la tv continua ad avere una forza non fungibile. Soprattutto quella nazionale e popolare che le assicura una maggiore resistenza nel tempo.

FR - Si potrebbe dire che chi sceglie Netflix, simili e pay tv lo fa per vedere ciò che vuole e quando vuole, al di là della gratuità o meno di ciò che vede. Mentre la vecchia tv è ancorata a palinsesti, programmi in prima serata, show per famiglie a pranzo... Una domanda abbastanza immediata è: siamo la fine dei palinsesti? O per lo meno come li conosciamo ora? Il cambiamento della fruizione, il voler vedere tutto e subito senza aspettare la puntata della settimana successiva, può portare a un ripensamento anche della struttura di serie e programmi, e quindi dell'offerta dell'industria. Tra i molti fatti eclatanti, penso a Marvel e al passaggio che l'ha portata, da uno o due film l'anno prodotti per il cinema, a scommettere sulle serie tv correlate ai suoi film.

FG - Senz'altro avere un'offerta di tv on demand è nello spirito dei tempi. Vale per Netflix e soci ma anche per le tv tradizionali. Nell'esperienza di consumo la libertà di guardare quando e dove voglio è nuova e allo stesso tempo irrinunciabile. Ma non credo che siamo alla morte dei palinsesti, ci sono molti indizi che dicono il contrario.

Per cominciare, organizzare i contenuti in un palinsesto significa che un editore sceglie per i suoi spettatori cosa vedere e quando. Significa sincronizzare il tempo di visione con i tempi sociali, tenere conto del momento dell'anno e dei fatti che stanno accadendo. Stare nel flusso della nostra esperienza sociale, quindi. Anche questo è un bisogno insopprimibile, così come il desiderio di libertà. Vi invito a dare un occhio al lavoro che Luca Barra ha dedicato ai palinsesti col volume “Palinsesto: Storia e tecnica della programmazione televisiva” e a più riprese su Link.
Se da un lato, quindi, c'è il desiderio di costruirsi un palinsesto fatto a propria misura, dall'altro c'è il bisogno di sentirsi come tutti, nello stesso momento. Anche per sentirsi meno soli, come è successo durante la pandemia. L'antropologo Franco la Cecla dice che

"guardare la tv è un'attività sociale. Se lo dimentichiamo non afferriamo i motivi della sua diffusione e rilevanza nella vita quotidiana. È una delle occasioni della socialità come altri eventi: farsi visita, spettegolare, andare alle feste di vicinato, ai funerali, alle gare di canto e agli spettacoli pubblici".

Per queste ragioni credo che il palinsesto non morirà mai. Inoltre, ci sono delle conseguenze non trascurabili dell'organizzazione dei contenuti in un palinsesto e nella diffusione delle puntate una alla volta che anche le piattaforme di streaming stanno cominciando ad apprezzare, vedi Disney Plus con Wanda Vision o persino Prime Video con le ultime due di LOL. Intanto il titolo dura più a lungo e non si consuma in fretta come avviene con il binge watching. Poi si ha il tempo di costruire storie più lunghe, ma soprattutto di costruire l'evento, il mito. Pensa a fenomeni seriali come Lost o Game of Thrones, all'attesa che alimenta il desiderio e la fantasia degli spettatori. Molto difficile replicare questa portata con la messa in onda in contemporanea di tutti gli episodi. Sono davvero pochi i titoli nati sulle piattaforme che hanno saputo creare una mitologia così pervasiva, forse solo Strange Things. La programmazione settimanale dei network ha anche altre ricadute in termini di scrittura seriale, soprattutto sulla costruzione dei personaggi e sulla nostra affezione per essi. Detto questo, è vero anche il contrario, ovvero che il binge watching ha cambiato il modo in cui si pensano e si scrivono le serie e l'intera industria televisiva. Come sempre, porsi di fronte a un out out non ha molto senso. Esiste invece l'et et.

"Tour de chart" | Keriluamox / Flickr

FR -  Rimane che lo streaming, per l'industria, è stata una bomba non da poco. Al punto che ormai le stesse serie vengono scritte per essere fruite in quel modo lì.    

FG - La scrittura delle serie è cambiata adattandosi ai modelli di business che di volta in volta la televisione ha adottato e quindi ai modi che ha scelto per farsi guardare. Per dire, le serie dei network free, che campano con le inserzioni pubblicitarie, hanno adottato la classica struttura a quattro atti per adattarsi alle interruzioni pubblicitarie, per cui ogni atto chiude con un'attesa che tiene lo spettatore agganciato durante la pausa e chiude con un cliff anger che rimanda all'episodio in programmazione la settimana successiva.
La pay tv non ha interruzioni pubblicitarie ed è stata libera di costruire le sue serie sperimentando strutture interne diverse e più originali, mantenendo comunque il cliff anger di fine episodio per rimandare a quello della settimana successiva.
Le serie originali pensate per lo streaming, dal canto loro, hanno potuto idealmente fare a meno della struttura a quattro atti e persino del cliff di fine episodio, dico idealmente perché per incentivare il binge watching il secondo continua spesso a rimanere. Si può raccontare questa evoluzione come una progressiva perdita di vincoli e limiti per la creatività, libera di esprimersi come meglio crede. Ma, come provo ad argomentare in questo pezzo, sarebbe una lettura troppo retorica perché com'è noto i vincoli sono spesso ciò che incoraggia la creatività e la loro assenza può dare vita a forme originali e mai viste come pure a una certa pigrizia inventiva e a una maggiore uniformazione del gusto.

Oggigiorno, per dire, le serie pensate per il binge sono spesso simili a film lunghi, dove le prime puntate servono a costruire lo sviluppo dell'azione che si concentra negli ultimi episodi. Hanno uno sviluppo lineare e poco ritmo interno di puntata. Sono anticipate dall'attesa legata al tema, al cast, alla regia o al produttore, creano hype, ma si esauriscono in fretta. Durano non più di otto episodi e quasi mai più di tre stagioni. Tutti elementi che possono uccidere la capacità della scrittura seriale di creare mondi complessi, personaggi indimenticabili, sviluppi imprevisti, dovuti magari alla scrittura che si evolve nel tempo della messa in onda e delle stagioni, che cresce, quindi, in un flusso parallelo a quello della programmazione. Comunque, un modello non ha ucciso l'altro, per ora.

Per approfondire questi temi si possono recuperare due numeri di Link dedicati alla scrittura seriale. Serial writers e Autori seriali.

FR - Il discorso che portate avanti con Link si arricchisce sempre di più con l'analisi del mondo digitale. Vine, Tik Tok, lo stesso Youtube si ritagliano una fetta enorme del consumo dei video. Applicazioni di diverso tipo diventano canale di fidelizzazione per un successivo sviluppo di serie. Insomma, quando vediamo qualcosa sullo smartphone o sul laptop non solo il confine tra i diversi prodotti si fa più labile (penso a tutti quelli che stanno con un occhio al cellulare mentre guardano un film), ma questi terreni iniziano ad entrare in competizione tra loro, a contaminarsi. Come evolverà questa competizione?

FG - Fin da subito con Link abbiamo accettato che il terreno della tv e quello di Internet fossero destinati a incontrarsi e a intrecciarsi sempre di più. Nei primi anni Duemila poteva sembrare un azzardo ma col tempo è diventato persino banale dirlo. La televisione ha definito il mondo nel quale viviamo più di qualsiasi altro media che l'ha preceduta, ha influito sul modo in cui ci divertiamo, parliamo, conosciamo le cose, ci rapportiamo agli altri e al mondo, ha segnato una stagione lunga della politica. L'acqua di cui parla la storiella dei pesci resa celebre da Foster Wallace, insomma. Ha posto le basi di una serie di cambiamenti che la rete ha reso pervasivi, prendendo alla lettera alcuni concetti e trovando il modo di sostanziarli in progetti concreti. Così quella forma di show perenne che erano i reality, per esempio, sono diventati una realtà per tutti. E il mito dell'underdog, alla base della tv della gente comune, ha finito per diventare il monomito di intere generazioni: i social sono un generatore instancabile di celebrità di qualsiasi tipo, non importa chi sei e da dove vieni chiunque può avere successo.

Da questo punto di vista mi sembra che l'old media che ha subito maggiori trasformazioni e incarni oggi questi principi sia la musica. Di fatto oggi un mondo totalmente digitale, fatta eccezioni per i concerti (per il momento). Se la tv creava un flusso limitato al palinsesto, la rete ha portato ancora una volta alle estreme conseguenze il concetto trasportando le nostre vite, come singoli e società, all'interno di un flusso continuo che riguarda qualsiasi cosa. L'intrattenimento è solo una parte di questo cambiamento nel quale ogni gerarchia è saltata, come racconta bene David Bolter in Plenitudine digitale. Ma se restiamo legati al modo in cui ci divertiamo è evidente che l'immaginario oggi sia una galassia nella quale trovano posto i programmi tv e i social in misura variabile. Il tempo dedicato al video è ancora a favore della tv ma se andiamo a vedere uno spaccato per generazioni ci accorgiamo che questi equilibri si stanno spostando a favore del video digitale.

Una delle cose più interessante per chi si occupa di tv è vedere come alcuni brand tv, specie nel mondo della reality tv, siano oggi perfettamente ibridati con i tempi e le dinamiche della rete. Senza di essi molte discussioni che avvengono online non esisterebbero. Su come possa evolvere questa realtà proteiforme è difficile a dirsi. Se guardiamo agli aspetti di business il rischio è che il divario tra le dimensioni globali delle società che guidano Internet e le singole realtà locali possa aumentare ulteriormente con le prime destinate a formare monopoli sempre più asfissianti capaci di controllare ogni aspetto della comunicazione e del business. Sono temi molto dibattuti, molti ne sembrano consapevoli, ma poi nella realtà credo che pochi percepiscano quanto radicali siano per il nostro futuro e quanto urgente sia ristabilire equilibri competitivi e un sistema di regole che possa salvaguardare la pluralità e l'ecosistema dei media.

Per quanto riguarda il futuro di questa ibridazione non saprei, mi sembra però decisivo includere nell'equazione il mondo dei videogiochi. Personalmente trovo realistico uno scenario nel quale i multiverso alla Fortnite possano giocare un ruolo decisivo sul modo in cui ci relazioniamo e viviamo le nostre esperienze.

"Ruth watching TV" | Kai Hendry / Flickr

FR - Dici che i teenager la faranno sempre più da padrona anche per quanto riguarda il visivo? E magari vedremo i trentenni di oggi costretti a rincorrere e a doversi orientare come nuovi boomer dentro il multiverso?

FG - Direi che già oggi i teenager stanno definendo i gusti e le modalità di consumo del visivo, tutto ciò che transita in rete, con le sue modalità procedurali e di flusso, risente del modo in cui viene consumato. Prendi la musica, quanto è stata rivoluzionata dallo streaming? Le dinamiche del successo sono cambiate, le classifiche sono così dinamiche, per esempio, che ogni settimana sono diverse. In un anno non si contano le novità, anche se poi si assiste anche a un certo appiattimento delle sonorità, degli stili e delle tematiche affrontate.

Del resto, anche se pensiamo alle serie tv in piena epoca di binge watching hanno finito per guadagnare da un lato originalità tematica, nel senso che mondi prima poco o per nulla messi in scena, come pure generi, oggi hanno dignità di esistenza, anche se poi le soluzioni narrative e la complessità di scrittura hanno finito per appiattirsi su una certa medietà che non prevede lo scarto, l'inaspettato, l'inusuale. Per quanto riguarda il multiverso, non so, ci saranno senz'altro soluzioni che per alcuni saranno semplicemente un'evoluzione naturale e per altri, chiamiamoli pure boomer per quel che vuol dire, ma tanto ci si intende, saranno semplicemente inaccessibili e incomprensibili. Già accade con Tik Tok, per dire. O con tutte le nuove app social che nascono come superamento dei social stessi.

Ricezioni

Ricezioni | Gualtiero / Flickr

FR - Tornando a Link, quali sviluppi lo attengono? Quali nuovi discorsi su cui sintonizzarsi?  

FG - In autunno esce un nuovo numero cartaceo dedicato proprio alla musica come prima industria dell'intrattenimento a essere stata smontata e rimontata dal digitale a suo uso e consumo. Capire cosa è successo, come si è rimodellato il business, come pure i contenuti e le tendenze, è utile per capire come opera l'offerta delle piattaforme. Dall'osservazione di questi fenomeni si possono individuare tendenze editoriali molto curiose, per esempio, uno dei temi che ci sta appassionando è vedere quanto centrale sia diventata una certa idea di italianità popolare nella produzione editoriale e sui social. Una certa idea di esotismo italiano degli anni Sessanta, soprattutto, con colori pastello, filtri, musica, moda e facce spensierate nelle mani di chi non ha mai vissuto quell'epoca, epurata dei suoi connotati storici, azzerata nei suoi reali significati che nel flusso tendono a scomparire del tutto per lasciare spazio solo a un'estetica che ricrea un'atmosfera Ghirri-degenerata con colonna sonora molto pop.

Non era per niente prevedibile che la rete mettendoci in contatto con il resto del mondo avrebbe esaltato alcune componenti nazionali (la musica da questo punto di vista è una spia, da anni la top 20 è quasi tutta italiana), dialettali, regionali, di oggi e di ieri, tutto mischiato insieme. Da un lato i linguaggi sono uguali in tutto il mondo, prendi la trap che ha sonorità standard, dall'altro i contenuti sono tutti o quasi locali. Quindi, continueremo a seguire temi editoriali, distributivi, di business, tecnologici e tutto ciò che ha a che fare con il cambiamento e la tv. Ci interessa molto anche capire da un punto di vista regolamentare come sarà possibile riportare nel mercato principi di concorrenza leale perché allo stato attuale le piattaforme e le aziende globali stanno giocando in modo poco fair in un mercato totalmente deregolato.

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Questo articolo è parte della serie:  Visioni
Italia - 1995-2021
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Fabio Guarnaccia

è direttore di "Link. Idee per la televisione". Ha pubblicato numerosi saggi su televisione, cinema e fumetto. Ha scritto tre romanzi, "Più leggero dell’aria" (Transeuropa 2010), "Una specie di paradiso" (Laurana 2015) e "Mentre tutto cambia" (Manni, primavera 2021). Collabora con il quotidiano Domani.

Filippo Rosso

(1980), è autore del primo e forse ultimo ipertesto narrativo italiano, s000t000d (2002). Ha scritto testi e articoli su diverse riviste. Nel 2020 ha fondato Singola, di cui è caporedattore. Vive e lavora a Berlino.

Pubblicato:
30-07-2021
Ultima modifica:
30-07-2021
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