La mano sinistra delle tenebre
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Il nuovo canone al femminile della fantascienza contemporanea.
In Kalpa Imperial, primo libro tradotto in italiano di Angelica Gorodischer, la scrittrice argentina racconta una storia che si fa teoria. Una lettura sullo storytelling sociologico.
Non so se Angélica Gorodischer, l’acclamata scrittrice argentina tradotta in Italia per la prima volta nel 2022 da Giulia Zavagna per Rina Edizioni, fosse una fan di Game of Thrones. Di certo Gorodischer aveva le idee molto chiare sulla letteratura che apprezzava e anche su quella che non rientrava nei suoi gusti: grande amante della fantascienza, tra i suoi modelli rientrano Tolkien, Andersen e il Calvino delle città invisibili, aborriva invece il realismo magico. A me piace pensare che alle Cronache del ghiaccio e del fuoco preferisse una bella rilettura di Ursula K. Le Guin, per esempio.
C’è un aspetto, tuttavia, che accomuna l’arcinota saga fantasy di George R. R. Martin e Kalpa imperial, il primo titolo di Gorodischer tradotto in Italia: il modo in cui la storia viene raccontata.
In seguito alla conclusione della serie tv HBO tratta dai romanzi di Martin, molti fan sono stati delusi dal finale di una narrazione che aveva lasciato il mondo con il fiato sospeso durante le prime stagioni. Tutti ci siamo interrogati sui motivi del drastico calo nella qualità e abbiamo trovato una schiera di colpevoli: gli sceneggiatori, la fretta, la regia. Qualcuno, però, ha portato il dibattito su un livello diverso rispetto alle chiacchiere sui social: è il caso di Zeynep Tufekci, professoressa associata dell’università del North Carolina e ricercatrice nell’ambito dell’interazione tra scienza, tecnologia e società.
In un articolo apparso sul blog della rivista Scientific American, Tufekci attribuisce la delusione dei fan per il finale di Game of Thrones al cambio nel tipo di storytelling tra la prima e la seconda parte della serie.
L’opera di Martin propone uno storytelling sociologico, plasmato cioè sulle regole del mondo e della società in cui si svolge la storia. I personaggi e il loro sviluppo sono importanti, ma nessuno è fondamentale e chi commette un errore imperdonabile è destinato a pagarne le conseguenze, sia il protagonista o una comparsa. Questo approccio è una novità in un settore – quello della letteratura di genere, ma soprattutto quello delle serie tv – dominato invece da uno storytelling psicologico, basato cioè su un personaggio o un gruppo di personaggi principali che fa da leva per la narrazione.
Gli spettatori di Game of Thrones hanno guardato con il fiato sospeso le prime stagioni della serie perché non sapevano cosa aspettarsi: tutto poteva succedere, qui le regole non erano le stesse delle altre serie tv. Quando, terminato il materiale primario scritto da Martin, la scrittura della serie è passata ad un più classico storytelling psicologico e la trama è diventata ordinata e prevedibile, la delusione del pubblico è stata inevitabile.
Nella fantascienza l’approccio sociologico allo storytelling è ancora raro, ma Martin non è un caso isolato: Angélica Gorodischer utilizza la stessa tecnica in Kalpa Imperial, pur con tutt’altri mezzi e contesto.
Kalpa è una parola sanscrita che indica un ciclo cosmico infinitamente lungo, e infatti infinitamente lunga è la storia dell’Impero che Gorodischer costruisce in quest’opera: talmente lunga che le generazioni si moltiplicano, i tempi si dilatano e la linea temporale finisce per valicare le possibilità della mente di chi legge.
Costituito da undici capitoli, Kalpa Imperial fu originariamente pubblicato e promosso come una raccolta di racconti: l’opera comparve divisa in due parti, nel 1983 e nel 1984.
È in effetti difficile incasellare in una definizione statica l’universo immaginifico di Gorodischer: gli undici capitoli hanno pochi personaggi ricorrenti e si svolgono spesso a millenni di distanza l’uno dell’altro, in diverse fasi della storia dell’Impero, in ordine non cronologico. Ciò potrebbe farci pensare che possano essere letti anche singolarmente, ma questo approccio toglierebbe spessore al gioco di rimandi e intrecci sapientemente costruito dall’autrice, dove ogni capitolo è fondamentale esattamente nel punto in cui si trova non tanto per contribuire a una storia, ma per forgiare un immaginario.
È dunque chiaro perché il modo di raccontare di Kalpa Imperial si avvicina allo storytelling sociologico: pagina dopo pagina, mentre si susseguono storie di imperatori, imperatrici, guerrieri, straccioni e narratori in un impero che si disfa, si rialza, si allarga e si restringe nel flusso del tempo che scorre avanti e indietro, emerge l’intenzione dell’autrice di raccontare non una storia qualsiasi, ma la Storia, quella totale e unica dell’Impero stesso.
E anche all’interno dei singoli capitoli, i destini dei personaggi sembrano raramente dominati dal caso o dalle loro scelte, ma piuttosto dalla volontà inesorabile dell’universo di finzione e dalle sue regole. L’Impero è un luogo dove un uomo che sa di poterlo fare è in grado di entrare nel palazzo imperiale e prendere il posto dell’Imperatore; dove una sfera solidificata di bolo animale può cambiare la vita di una giovane donna determinata; dove le città mutano faccia e identità nei secoli e hanno una storia tutta loro da raccontare.
A quest’impalcatura narrativa già complessa e solida, Gorodischer aggiunge interesse con un gioco di prospettiva che obbliga il pubblico ad una partecipazione attiva all’esperienza di lettura. Ogni capitolo, tranne l’ultimo, comincia con la locuzione: «Il narratore disse». A volte il narratore cambia nel corso della storia, un punto di vista diverso aggiunge dettagli e colore alla vicenda, e mentre i capitoli si susseguono scopriamo sempre di più sulla voce narrante, che nel capitolo/racconto L’imperatrice assume anche il ruolo di personaggio.
E allora diventa spontaneo chiedersi: chi ci sta raccontando questa storia? È sempre lo stesso cantastorie, che raduna intorno a sé le folle dell’Impero per raccontarne gli innumerevoli declini e successi, o è stato sostituito di racconto in racconto? E se, per sua stessa ammissione, non basterebbe una vita umana per raccontare la vicenda dell’Impero nella sua interezza, come ha potuto apprenderla lui stesso?
Un dubbio si insinua tenacemente nei lettori: che il narratore si stia inventando tutto; che stiamo leggendo, insomma, la Storia inventata di un Impero inventato. Da qui in poi, la lettura diventa indagine attiva, aumenta l’attenzione ai numerosi, ridondanti dettagli in cerca di contraddizioni, e leggere diventa quindi parte del processo creativo stesso dell’opera.
Sarebbe facile cadere nella tentazione di associare l’Impero al nostro mondo, cercando corrispondenze tra l’opera di Gorodischer e l’epoca in cui è stata scritta: nel 1983 l’Argentina emergeva faticosamente dalla dittatura militare; era un Paese da ricostruire e da immaginare quasi dalle fondamenta. Come molti scrittori di fantascienza, tuttavia, Gorodischer non apprezzava i parallelismi tra la sua opera di finzione e la realtà, non è possibile dunque quantificare l’impatto dell’orrore del suo presente sulla tensione quasi utopica che aleggia spesso tra le righe di Kalpa Imperial.
La spinta che ciononostante ci porta a cercare nella nostra realtà un riscontro per una storia ambientata in un mondo altro è proprio la chiave dello storytelling sociologico: ritornando all’articolo di Tufekci, l’autrice sottolinea il valore di questa modalità di storytelling nel modellare la capacità del pubblico di agire sulla realtà (e, nel caso di Kalpa Imperial, persino sulla finzione).
«Che sia fatto bene o male, il genere psicologico ci lascia incapaci di comprendere e reagire al cambiamento sociale», scrive Tufekci. In una società sempre più dominata dalla tecnologia e dall’intelligenza artificiale non c’è spazio per la classica narrazione dell’eroe e dell’antieroe a cui lo storytelling psicologico ci ha abituati. Non esiste un contesto lavorativo e di ricerca in cui il singolo possa fare la differenza senza interfacciarsi in maniera complessa con il suo contesto e il mito del self-made man perde di significato a ritmo sempre più vertiginoso.
Abbiamo bisogno di storie globali e interconnesse, in cui riconoscersi è più difficile e più doloroso: il caso di Kalpa Imperial conferma che la letteratura di genere è un ottimo posto in cui cercarle.