Futucomiche - Singola | Storie di scenari e orizzonti
Laughing
Laughing | Copyright: Beryl Cook

Futucomiche

Il presente letterario ha un grande assente: la satira. Perché l'Italia, che rideva e di buon gusto, oggi non vede un nemico potente contro il quale schierarsi. Quando ci renderemo conto che i nemici hanno altri volti, torneremo a nominarli?

Laughing | Copyright: Beryl Cook
Francesco Spiedo

ha frequentato il master annuale alla Belleville, scritto decine di racconti sulle maggiori riviste letterarie italiane e collabora con minima&moralia, AltriAnimali e Limina Rivista. Ha esordito con Stiamo abbastanza bene (Fandango Libri, 2020) e sta per tornare in libreria con Non muoiono mai (Fandango Libri, luglio 2022).

Grande tra gli uomini e di gran terrore è la potenza del riso: contro il quale nessuno nella sua coscienza trova se munito da ogni parte. Chi ha coraggio di ridere, è padrone del mondo, poco altrimenti di chi è preparato a morire.

Giacomo Leopardi, Pensieri

 

Tra me e il comico è diventata una faccenda quasi personale: come lettore, e solo in secondo luogo come scrivente, mi sono imbattuto spesso in valutazioni sbrigative, condizionate da una certa avversione, del comico in letteratura. Una derubricazione a genere in chiave dispregiativa, una facile combinazione che porta da una presunta leggerezza a una conseguente superficialità, che definisce una letteratura di intrattenimento, implicandone quindi uno scarso valore come se intrattenere fosse poco significativo: banalmente è la televisione a intrattenere, la letteratura, anzi, la Letteratura pare debba fare altro. Questo è in generale il contesto letterario, mentre il successo teatrale, cinematografico e seriale della vis comica – che si combina con la più varia narrazione di genere, persino con l'impronta documentaristica o divulgativa – continua a crescere. D'altra parte la stessa definizione di comico risulta complessa e forse proprio per questo si tende a una sua banalizzazione. L'esergo leopardiano è, a mio personalissimo giudizio, la migliore e più ampia definizione di ciò che il riso è realmente. Mi sono chiesto quale fosse lo stato di salute del comico nella letteratura italiana e sto interrogando alcuni autori su cosa sia per loro il comico . Allora è nata un'ulteriore domanda, tanto spontanea quanto difficile: qual è il destino del comico? Eco, nel Secondo Diario Minimo, scriveva provocatoriamente di un WOM, cioè di una macchina che non produce alcun tipo di output, di informazione. Il futuro della letteratura comica, come ogni volta che ci si pone domande di questo genere, rischia di diventare un WOM, ossia una domanda senza via d'uscita.

Il titolo di questa indagine è un omaggio, neanche troppo velato, al Le Cosmicomiche di Calvino che possono ben rappresentare ciò che intendo con letteratura comica: una postura dell'autore, uno scivolare della penna, un suono delle parole che sappiano tagliare la realtà e analizzarla, persino studiarla e teorizzarla, senza per questo appesantirsi. Non un comico che necessariamente diverta, ma che produca una smorfia, sintomo di un'emozione veloce e non immediatamente identificata, una sorta di piacere che attraversa la lettura. La percezione di aver compreso, o quanto meno intuito, qualcosa che già avevamo percepito ma non avevamo definito, qualcosa che ci era del tutto estraneo e che quindi abbiamo finalmente scoperto, qualcosa che avevamo intravisto senza però ancora riconoscere. Si può ridere di sé, degli altri o del mondo. Si può fare ironia, satira, parodia, sarcasmo, umorismo. Letteratura comica può essere una pagina che sorprende in modo imprevedibile, ma anche una pagina che accusa o dileggia, una pagina che crea paradossi o assurdità, persino una pagina che fa commuovere, che svela, che mostra la realtà per quel che è senza troppi complimenti. Prima di guardare al futuro, proiettandolo attraverso un'analisi del presente più recente, non si può fare a meno di ricordarsi ciò che abbiamo lasciato alle spalle: l'ingombrante Novecento.

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No title | Sonia / Flickr

Nel 2001 Walter Pedullà pubblicava Le armi del comico, una raccolta di saggi che confermano la tesi di Baudelaire: il '900 appartiene al comico, almeno in Italia con la farsa di Campanile, l'umorismo di Pirandello, la satira di Gadda, solo per citarne alcuni e lasciando da parte Malerba, Savinio, Zavattini, Svevo, Palazzeschi. Un comico che è stato abbracciato nelle forme più disparate e con i più diversi obiettivi: scherzo, sperimentalismo, denuncia, parodia, satira, farsa, in chiave grottesca o addirittura psicologica. Un comico trasversale e, potremmo azzardare, generazionale. Non c'è autore che non l'abbia praticato, chi solo per brevi periodi e chi per tutta la durata della sua produzione, senza vergogna e senza spocchia. Una prospettiva che si scontra, e non poco, con una certa posizione dell'editoria italiana odierna che se da una parte ricerca scritture brillanti, leggere, ironiche, perché spesso intelligenti e capaci di intrattenere e stupire il lettore, d'altra parte sembra voler difendere una Letteratura alta e altra, seriosa, importante, una letteratura letteraria che vince premi, scala classifiche di vendita, che colleziona dense cartelle stampa, traduzioni e adattamenti. Eppure, parafrasando quanto scritto da Pedullà, se riuscirete a ridere della vita essa diventerà una commedia, senza alcun danno per l'arte 1 , ossia per la letteratura, per i libri, per i lettori e per gli scrittori.

Se avessimo tempo e spazio ci dilungheremmo sull'eredità comica della letteratura in Italia, che segna nomi giganteschi come quelli di Dante, di Boccaccio, del pessimista ma non per questo meno ironico Leopardi, dei premi Nobel Pirandello e Dario Fo. La risata appartiene alla cultura italiana, ma oggi sembra scomparire dalle nostre tavole, cioè volevo dire librerie, a favore di una produzione letteraria che addirittura nel linguaggio viene spesso tacciata d'essere eccessivamente libresca, editoriale. Inutile in questa sede ripetere ciò che potreste leggere, in modo più preciso e puntuale, in tanti saggi 2 , limitiamoci a ragionare sul ruolo che la letteratura comica aveva nel '900. Potremmo dire che il comico era la letteratura del '900, non limitata a un genere, non un marchio a fuoco su questo o quell'autore che aveva facoltà di sbarazzarsene in ogni momento. Il comico abbracciava tutto e tutti, spaziava, divertiva, rimetteva in discussione. Perché?

Le ragioni sono tante, possiamo sceglierne una e legarla al periodo storico: il '900 è stato il secolo delle due guerre, della disperazione e della fame, e non si è privato di scrittori come Céline – mi si perdoneranno i pochi riferimenti esterofili – o di Malaparte 3 , ma è stato anche il secolo del boom economico, della ripresa, della ricostruzione. È stato soprattutto il secolo che aspettava l'arrivo del nuovo millennio. Si viveva l'attesa di un grande cambiamento, tutto sembrava essere meno serio e preoccupante, la realtà avrebbe mutato forma: il mondo stava finendo e ne stava per nascere uno diverso. Il duemila sarebbe arrivato, con quei suoi tre zeri, a resettare tutto. Ora cosa ci aspetta? Qual è la sensazione che ci portiamo dietro dopo solo un ventennio del nuovo millennio – e forse almeno un decennio di quello appena passato?

Di un mondo finito, nel senso di limitato, che non si potrà più espandere, destinato alla regressione, al collasso. Il mito novecentesco è caduto, smascherato. Il mondo è finito, finito il progresso e finito anche l'uomo. Non ne stiamo ancora ridendo, si spera di farlo presto dinanzi a grandi problemi come quello ambientale, climatico ed energetico. Campanile e Bergson, il primo nato nel 1899 o forse nel 1900 e il secondo autore de Il riso pubblicato proprio nel 1900, sono il simbolo perfetto di un'umanità positivista, ossia fiduciosa. Rappresentano un'eredità futuristica che crede nell'imprevisto, nel caotico, nel sorprendente e nell'ironico – che sono solo altri nomi per chiamare il comico – come possibilità di riformulare il mondo. Era il tempo di distruggere per creare ancora, un'epoca di grandi cambiamenti che però riusciva a radicarsi in certezze incrollabili o, più in generale, in una prospettiva di successo a lungo termine anche se tutto fosse andato distrutto. Ora appare tutto fin troppo imprevedibile, caotico, sorprendente in senso negativo, quasi spaventoso, non c'è nulla da riformulare perché tutto è ancora da formulare. Ridere pare essere oggi solo l'occasione per sopravvivere e per riuscire a sussurrare, prima di morire: sto morendo, sì, ma niente di serio 4 .

In un incontro del ciclo Mostruosi Accoppiamenti 5 , mentre i relatori accostavano Wallace e Celati, pensavo che il comico è come l'atomica. La fissione nucleare comprime atomi grandi in uno più piccolo e sprigiona calore, nel testo il comico comprime tante spinte diverse in una sola storia e sprigiona risata, piacere, divertimento. Non una frammentazione, ma una sorta di aggregazione. Non è sempre il tutto che si divide in mille frammenti, ma possono essere anche i mille frammenti a unirsi per formare il tutto: una realtà disgregata e disgregante che noi ci sforziamo di riunire e non una realtà unita che desideriamo frammentare. O almeno non più. Come la fissione sprigiona calore, questa compressione di tanti impulsi, storie, visioni in un unico testo sprigiona il comico, a tutti i livelli, dalla più spinta ricerca filosofica alla Wallace fino alla quasi macchiettistica risata a episodi di un Celati.

Per capirci prendiamo due esempi specifici e notiamo quanto, in fondo, giochino la stessa partita: parliamo dell'acqua. Confrontiamo la nota storia intitolata Questa è l'acqua 6 , proprio di Wallace, e la gag fantozziana del povero ragioniere che salta in una piscina vuota 7 : il cosa diavolo è l'acqua? dei due pesci giovani di fronte alla saggia domanda del vecchio pesce e il ma quale acqua? del sorpreso cameriere in livrea dinanzi alla signorina Silvani sono due facce della stessa medaglia. In entrambi i casi, sia che l'acqua ci sia davvero come nel caso dei pesci sia che l'acqua manchi come nel caso di Fantozzi, siamo di fronte alla sorpresa, all'ambiguità, al ribaltamento di ciò che dovrebbe essere. I pesci vivono nell'acqua, come fanno a non conoscerla? In una piscina attrezzata l'acqua dovrebbe esserci, perché mai non c'è? La risata è suscitata dall'assenza dell'acqua, nel primo caso cognitiva, ossia nella mente e nell'immaginazione dei due pesci, e nel secondo fisica, ossia nel rettangolo che definisce la piscina. Ma si ride, lo stesso, sia con una storia intellettualmente ricercata sia con una che somiglia a una semplice gag. Prima di tornare alla domanda iniziale perdiamoci in un'ultima deviazione che però sembrerebbe d'obbligo: perché dedicarsi al comico?

Ruberò, piegandola a mio favore, una splendida frase di Ravasio che, in La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera, scrive “se al necessario provvede dio, non resta che coltivare il superfluo”. Azzarderei che per la letteratura la storia, trama e intreccio, è il necessario mentre il tono, lo sguardo, lo stile quello è il superfluo 8 : il comico è una postura, più una questione di voce che di genere, quindi anch'esso è superfluo, esattamente come qualsiasi altro tono, ma in quanto tale degnissimo della nostra attenzione. Anzi, dovremmo coltivarlo, costruirlo, stimolarlo, analizzarlo. Non c'è niente di più piacevole che indovinare un autore dal modo in cui scrive, al di là di ciò che accade sulla pagina. Quello di Alberto Ravasio è un romanzo uscito da pochissimo, pubblicato da Quodlibet e finalista alla XXXIV edizione del Premio Calvino, e non sarebbe dovuto comparire in questa analisi: invece, con un tempismo che ha sicuramente dell'ironia, è capitato nel bel mezzo della stesura e mi ha aiutato a trovare una chiusa. Quindi lo incontreremo di nuovo, a tempo debito, ma per il momento salutiamolo.

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No title | Anthony Cronin / Flickr

In questa analisi della produzione italiana più recente, oltre alla segnalazione di due collane indubbiamente essenziali per seguire un certo tipo di letteratura, mi riferisco a Compagnia Extra di QuodLibet e a QuiSiScriveMale di Exòrma, ho scelto di concentrarmi su alcuni libri: partiamo da una serie di romanzi firmati da Fulvio Ervas che segue, o forse affianca 9 , quello che chiameremo filone montalbano. Dedicati all'ispettore Stucky, un poliziesco dissacrante e allegro ambientato al nord, e non al sud, ma che condivide con il successo di Camilleri quella fusione di genere giallo con un certo tono ironico. Una scrittura spiritosa e un po' buffa, capace di infarcirsi di tanto in tanto di qualche deviazione sul sociale, trattando dei mali del nord-est, ma che tutto sommato produce intrattenimento. Montalbano, volendo fare un riferimento forse più noto, non sarebbe stato lo stesso senza la lingua di Camilleri, ma non avrebbe certamente funzionato senza l'infarinatura comica. Abbiamo citato questa serie come esempio, ben riuscito, di testi ibridi che prendono il giallo, il noir, il poliziesco – generi che hanno grande successo di vendita e di pubblico – per combinarli con la comicità e ottenere una lettura indubbiamente piacevole.

Poi si apre un secondo filone che possiamo chiamare del memoir tragicomico di vite che, però, sono spesso confinate nel mondo della letteratura: penso al recentissimo Niente di vero di Veronica Raimo e al più datato 10 Il secondo libro di Governi. Divertenti romanzi di formazione, il primo quello di una futura autrice che scopre l'assurda serietà ridicola della sua famiglia e il secondo quello di uno scrittore che non riesce, non vuole, non può scrivere il suo secondo romanzo e fugge dagli editor, che hanno come si può notare in comune la professione del protagonista/narratore/autore. Sono testi anche molto diretti, potremmo dire persino coraggiosi sotto certi punti di vista, ma che restano limitati dal contesto. Il libro della Raimo funziona bene perché dentro c'è la famiglia Raimo, c'è il rapporto con suo fratello che non si chiama Ciro Esposito ma Christian Raimo. Il libro di Governi funziona se si è almeno un po' dentro alla dinamica editoriale, all'idea di scrivere e/o essere scrittori. Scherzano di sé, degli altri e del mondo, ma non pare proprio che quello sia il mondo che appartiene a tutti. O quantomeno non ai più.

Restano due testi, molto diversi tra loro, che però si avvicinano a un'idea di letteratura comica in chiave anglosassone, penso a Nostra signora dei Sullivan di Mammi, e a una narrazione tragicomica dei anni bui come quelli della Seconda Guerra Mondiale, è il caso di Salvarsi a vanvera di Colagrande. Nel primo ci si immerge in una società dai mille difetti, dove l'uomo viene ridicolizzato nei suoi aspetti più sinceri, ridendo e restando sorpresi per l'umorismo dell'autore e i notevoli colpi di scena. Una scrittura che rimanda all'assurdo tipico di certa scrittura made in USA.

Il secondo, invece, ha la notevole e spesso sottovalutata capacità di puntare un faro su una vicenda umana, tremendamente umana, ambientata in uno dei periodi forse più tristi e difficili da affrontare in Europa: il nazifascismo è la ferita indubbiamente ancora aperta con la quale ci confrontiamo e forse confronteremo ancora. Questi ultimi due titoli sembrano meglio cucire lo strappo con il Novecento, non a caso gli autori sono classe 1957 e 1960 ed entrambi figli della pianura, in qualche modo influenzati e affezionati alla comicità di Celati.

Eppure il primo deve rifugiarsi in un'ambientazione non italiana, deve attingere alla cultura statunitense, diventa una satira del mondo USA e non certo dell'Italia, mentre il secondo è comunque defilato rispetto a operazioni come Lui è tornato dove si gioca senza pietà con la figura di un Hitler che torna e ritorna a fare l'Hitler. Resta invece un romanzo stupendo, tragicomico, con una lingua ben riconoscibile, capace di affrontare un periodo buio ma senza staccarsi da una prospettiva familiare, di un piccolo gruppo, di una faccenda contingentata. Non c'è il grande mostro di Mussolini, c'è una vicenda potremmo dire domestica, piccola. E non è un caso, mi viene da pensare che mentre il libro di Vermes diventava un bestseller, e se ne facevano trasposizioni anche italiane, da noi veniva dato alle stampe M. di Scurati, romanzo storico, assolutamente privo di comicità, fosse pure ironia se non satira.

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No title | Naud/ / Flickr

La produzione italiana più recente, quando gioca con la risata, ha tratti umoristici e non sempre comici. Se il comico, come sostiene Pedullà, deve essere spietato e ridere anche di se stesso in modo intransitivo, allora l'umorismo diventa una forma di compassione, di sorriso benevolo, di pacca sulla spalla. L'umorismo è accomodante, mentre la decisa inflazione del comico ha spinto verso l'assenza di satira. Nella dinamica conoscitiva di alcune tensioni moderne - ambientalismo, genere, lavoro – la satira ha un alleato infallibile che è il grottesco, ma è consuetudine moderna che le grandi crisi non vengano trattate con ironia. Almeno non ancora. Stiamo cercando di costruire una coscienza, potremmo dire una posizione, e il comico che dovrebbe ferire e colpire diventa solo intrattenimento, è semplificata in una forma di piacere. Esistono testi di denuncia, saggi o romanzi, interventi sociali importanti ma che all'operazione di accusa non abbinano mai la forma del comico: c'è un'iper-serietà, potremmo definirlo un problema di prospettiva, come se fosse necessario elevare la questione e non minarla con il comico che, come abbiamo già detto, viene spesso frainteso come forma deridente. Se ironizzo sulla pedofilia, anche con intenti di sensibilizzazione, metto in ridicolo il pedofilo e non certo la vittima. Se ironizzo sul problema ambientale mi scaglio contro le multinazionali o i Greta? Se ironizzo sulla fluidità di genere, chi è l'obiettivo di scherno? È indubbio che anche chi pratica il comico non sia capace di mettere a fuoco se il problema è troppo recente, socialmente ancora turbolento.

Senza dilungarci troppo, ma per correttezza metodologica, viene da chiedersi se la questione del comico sia da rintracciare solo in ambito letterario oppure abbracci anche le altre forme di narrazione: serie tv e film, grazie anche alla spinta di colossi come Netflix e Amazon Prime, procedono verso una commistione di generi e forme che, poiché continua a funzionare, usano spesso il comico per impreziosire il prodotto. La risata piace allo spettatore. Volendo piegare una famosa regola del business, il cliente deve sempre ridere anche quando si finisce per affrontare tematiche calde, anzi caldissime, pensate alla controversa e dibattuta commedia Don't look up. Il comico è possibile anche in queste forme, ma sembra impensabile in Italia. Mi viene in mente la serie Boris, successo incredibile e forse inaspettato, che però si limita – come abbiamo evidenziato per certa letteratura – a un ambito ben specifico, a un settore culturale, quello della televisione, ben definito e molto italiano, volendo rubare una citazione alla serie. Questo tipo di satira c'è, esiste, una parodia intellettuale, si pensi anche al Censimento dei Radical Chic di Giacomo Papi, ma che appunto ha il sapore di ironia da circolo ristretto e già, implicitamente e forse involontariamente, escludente ed esclusiva. Altrimenti contiamo su Albanese e Zalone, per quanto riguarda il cinema e certa televisione.

La risata bisogna permettersela, noi possiamo? La percezione è quella di un tempo impaurito, terrorizzato, ansioso. La satira ha bisogno di un nemico: risultato non pervenuto. Pare assente il grande nemico, non ha volto, non ha nome, non si riesce a identificare un solo colpevole o un mostro, siamo permeati di relativismo, nel quale tutto è tutto e il contrario di tutto, il bene è male, ma anche il male alle volte è bene, e siamo inzuppati di angoscia, nella quale tutto è tutto perché in fondo è inutile. Che la satira sia scomparsa dai radar è una percezione che si respira già da un po' 11 , senza che sia stata davvero affrontata. Ritorniamo alla questione disastro sfiorata in precedenza: in un pezzo molto ben argomentato 12 vengono elencati e discussi i più recenti romanzi cli-fi che hanno trattato e discusso di ambiente, risorse, cambiamento climatico.

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No title | Steward Black / Flickr

La narrazione del disastro, come si evince dall'articolo e dall'ottimo saggio di Malvestio 13 , presenta alcuni difetti potremmo dire formali – tra cui l'eccessivo ricorso a un immaginario apocalittico, come se il mondo dovesse finire, come se la crisi ambientale andasse immaginata con toni holliwoodiani, come se per prendere sul serio un problema dovremmo essere necessariamente catastrofici. L'altra carenza, che evidenzio sia nella letteratura italiana sia in quella straniera, è una certa assenza di comicità: non si ride, non si riesce a ridere di questo destino che appare ormai segnato o quanto meno molto, molto, molto probabile. Perché? Questa domanda, che tra le altre cose mi pongo da solo, non è di semplice risoluzione, anzi. Potremmo citare ancora volta Pedullà che, sempre ne Le armi del comico, parla della realtà e della società come costituita da due fasi: una costruttiva e l'altra distruttiva. Il comico, come si può facilmente intuire, appartiene alla seconda e noi, oggi, invece, siamo in piena fase costruens e la stiamo attraversando non senza problemi. Per questo sembra difficile ridere, perché non si può ridere.

In qualche modo, e mi si perdoni l'approssimazione, non si può tollerare la risata, non è ammissibile l'ironia, si finisce nella morsa del politicamente corretto, nell'incastro tra cancel culture e libertà. Non è pronto il pubblico, ma forse non sono pronti neppure gli intellettuali: il comico, nella sua forma più incisiva e cattiva, è delicato. È un'arma e, come tale, deve essere gestita da mani sapienti, bisogna imparare a usarla. Su certi temi e sui tempi che corrono forse le armi sono impugnate dalle persone sbagliate. È necessario formare una nuova classe di scrittori perché non è vero che non si può più dire niente, ma sarebbe miope negare che la satira, la parodia, la comicità più cattiva faccia fatica a entrare nelle tematiche calde, negli argomenti del giorno, del decennio, del secolo. Il futuro è così compromesso e incomprensibile che ci appare impossibile strappare una risata, quando forse non ci resterebbe altro da fare che non una grossa risata.

È una questione che definisco sociale perché il comico è rappresentativo della classe dominante. Questa prospettiva, condivisa tra l'altro da Lukács 14 , ci spinge a fornire l'identikit dello scrittore novecentesco e dello scrittore di oggi. Un'analisi letteraria, come qualsiasi altra analisi, ormai non può fare a meno di confrontarsi con le scienze sociali e l'economia, con riflessioni a più ampio spettro, multidisciplinari. Lo scrittore ha potere sociale? Ha interesse a criticare? Si espone politicamente, culturalmente? È indubbiamente cambiata l'anagrafica sociale di chi scrive. La prospettiva futura, chi sarà lo scrittore del domani?, sembra dare fiducia al possibile ritorno della satira. Il comico, come sostiene Gino Ruozzi 15 , mette in discussione il potere, ne è nemico, mentre per un periodo piuttosto lungo la comicità ha anestetizzato, si è schierata con il potere. Sono speculazioni teoriche, una scommessa sulle generazioni che verranno, prive del secolare senso di colpa della classe 1985/1995 che si è confrontata con il racconto genitoriale e sociale ormai imploso. Generazione, dicevo, che potrebbe non aver più nulla da perdere e spingere il piede sull'acceleratore comico. Torniamo però a Ravasio e a Sputacchiera, procediamo verso una conclusione.

La scrittura di Ravasio è comica perché c'è un disallineamento tra l'argomento trattato e la lingua che lo tratta, tra stile e contenuto. È un testo che non perdona nessuno, né il protagonista, né la famiglia, né il paese, ma che allo stesso tempo assolve tutti, spiegandone le ragioni, i torni, le sofferenze. La componente satirica, e in questo aiuta già l'etimologia 16 del piatto pieno, ricolmo fino a scoppiare, è spesso abbinata a una visione a tratti grottesca: oltre al già citato Sputacchiera, vengono da nominare gli ultimi due romanzi di Alfredo Palomba, Quando le bestie arriveranno, e di Roberto Venturini, L'anno che a Roma fu Natale due volte. Sono due libri, diciamo tre considerando anche quello di Ravasio, totalmente diversi sia a livello di trama sia come tipo di storia: quello di Palomba ha l'aspetto di un horror, quello di Venturini somiglia alle allegri, ma anche un po' tristi, commedie all'italiana e infine Ravasio ha la forma di un pessimismo comico, filosofico e psicologico. Eppure in tutti ritroviamo una chiave di lettura grottesca, scene grottesche, impostazioni grottesche: già nei titoli c'è qualcosa di assurdo, sbagliato, che spaventa o fa sorridere, ma che in ogni caso turba e scuote la soglia di normalità. Come era grottesco, per usare un eufemismo, Il giorno della nutria di Zandomeneghi. La strada intrapresa sembra questa, di un'assenza satirica che verrà probabilmente colmata presto con dosi abbondanti di grottesco che andranno a intaccare argomenti finora lontani dalle pagine. Non è un caso se Ravasio, il più giovane tra gli autori citati, transessualizzi il suo personaggio e infili in un dramma sociale, generazionale, lavorativo e umano anche la questione di genere, il sesso, il corpo, tutti temi sensibili dei quali si parla, ma molto spesso non lesinando sulla serietà. Appropriandoci ancora, e per l'ultima volta, in modo del tutto arbitrario delle parole dello Sputacchiera di Ravasio diremmo che il comico non [è] un problema tra i problemi, ma la soluzione sovrannaturale a ogni cosa. O almeno così dovrebbe essere, tornare a essere: un'arma per risolvere, almeno a parole e in modo spesso illogico e irrazionale, le contraddizioni della realtà.

È evidente, in mancanza di dati empirici e concreti, che riflessioni di questo tipo rappresentino una speculazione e non abbiano alcuna pretesa di verità. Stiamo giocando a interpretare i dati, a valutare delle tendenze, ma eventi imprevisti – come l'arrivo di una pandemia o lo scoppio di una guerra 17 – potrebbero sconvolgerle. Porre però delle domande significa illuminare un problema e, sebbene la soluzione non sia esatta, faranno da spunto per ulteriori analisi e approfondimenti 18 . In conclusione possiamo riscontrare nel presente e nel prossimo futuro una mancanza: quella della satira. Perché forse l'Italia, che rideva e di buon gusto, oggi ha paura perché non vede un nemico potente contro il quale schierarsi, ma è anche un paese che non ride più neppure del suo passato oltre che del suo presente. Sarà che l'Italia è un paese per vecchi e i vecchi spesso non ridono. L'attuale comicità ci solletica, è innocua. Fin quando? Forse finché non ci renderemo conto che nuovi nemici esistono, ma hanno altri nomi, volti e forme. Basterà soltanto iniziare a nominarli.

 

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Note

 

1 Walter Pedullà in Le armi del comico, Mondadori 2001;

2 Si cita ad esempio Il comico nella letteratura italiana. Teorie e poetiche di S. Cirillo, Donzelli, 2005;

3 Sull'ironia di Céline e di Malaparte si è scritto molto, ma si cita Céline, Malaparte. Malaparte, Céline: una poetica del disincanto (L. Libeccio pubblicato sui Cahiers d’études italiennes n.24, 2017) nel quale si mettono a confronto i due autori e la loro visione grottesca, che è un'altra faccia del comico;

4 Un doveroso omaggio a Tre uomini e una gamba di Aldo, Giovanni e Giacomo, film del 1997 che riprende già nel titolo, e poi in parte delle vicende, compresa la sopracitata scena al fiume, alcuni elementi di Tre uomini in barca di J. K. Jerome, grande classico della letteratura umoristica mondiale;

5 VI incontro, 21 aprile 2022 Risus Purus con Giulio Iacoli e Francesco De Cristofaro, Dipartimento Studi Umanistici Università Federico II di Napoli;

6 Dal discorso per la Cerimonia di Laurea al Kenyon College, 21 maggio 2005;

7 Dal film Il secondo tragico Fantozzi, 1976;

8 Per spiegarmi meglio: una narrazione necessita di fatti – quindi di storia – e sussiste anche quando il narratore non ha una voce definita, persino anonima. Per avere un racconto è necessario e sufficiente una storia, mentre potrebbe essere sufficiente – ma non necessario – uno stile, ossia voce e postura. L'ideale sarebbe averli entrambi;

9 Il primo romanzo della serie firmata Ervas è Commesse di Treviso, 2006 edito marcosymarcos come tutti gli altri, mentre il primo di Montalbano, La pazienza del ragno, è del 2004.;

10 Pubblicato nel lontanissimo, editorialmente parlando, 2021;

11 Mentre raccoglievo materiale mi sono imbattuto in questo articolo La Letteratura non fa più satura di Paolo Di Stefano (30 dicembre 2015) che chiede, cito, dove sono gli eredi di Flaiano, di Longanesi? Dov’è finita quella verve travolgente, se persino Stefano Benni si è dato alle fiabe?

12 Raccontare la crisi climatica di Valeria Zangaro, Flanerì 25 maggio 2022;

13 Raccontare la fine del mondo. Fantascienza e Antropocene di Marco Malvestio, Nottetempo 2021;

14 Scritti politici e giovanili, Laterza, 1972;

16 Derivato dal nome di una pietanza, la (lanx) satura “piatto pieno”, composta da ingredienti variegatissimi, frutti e primizie; a sua volta deriva da satur pieno, saturo.

17 Si trova dell'ironia sul Covid, o meglio su una certa gestione della pandemia, nell'ultimo lavoro di Valentini, Vangeli Nuovissimi, pubblicato da Quodlibet (2022), e il web ha trasformato Putin, a furia di meme, in una versione modernissima di Hitler. Si tratta di svolte imprevedibili;

18 Per restare aggiornati sulla questione del comico si può consultare il sito della rivista RISU (Rivista Italiana di Studi sull’Umorismo) dedicata all’approfondimento della ricerca sull’umorismo nelle diverse discipline e il portale del CRU (Centro Ricerca sull'Umorismo) entrambi in italiano.

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Italia - 2022
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Francesco Spiedo

ha frequentato il master annuale alla Belleville, scritto decine di racconti sulle maggiori riviste letterarie italiane e collabora con minima&moralia, AltriAnimali e Limina Rivista. Ha esordito con Stiamo abbastanza bene (Fandango Libri, 2020) e sta per tornare in libreria con Non muoiono mai (Fandango Libri, luglio 2022).

Pubblicato:
15-06-2022
Ultima modifica:
16-06-2022
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