Il porno "visto e non vissuto". Una conversazione con Marco Malvestio e il suo romanzo-saggio, Annette, recentemente pubblicato da Wojtek.
Tante sono le strade percorribili di fronte a un’ossessione, una fase di innamoramento durata anni, che continua e imperversa anche dopo tempo. C'è chi, come Marco Malvestio, decide di avvicinarla, dando una concretezza, seppure fittizia, al fantasma del suo amore. Annette (Wojtek, 2021) è il tentativo di recuperare attraverso la letteratura e l’artificio narrativo, un’immagine fantasma, quella di Annette Schwarz, attrice di film porno hardcore e oggetto dei desideri, delle ossessioni e delle fantasie del protagonista del romanzo di Malvestio, a metà tra saggismo e finzione. Nel raccontare la storia di questo innamoramento, l’autore percorre, infatti, queste due strade: si serve della scrittura saggistica per inquadrare, circoscrivendola in determinati contorni, la pornografia tout court e il tipo di porno che faceva Annette prima di ritirarsi; il focus doveva restare sempre su di lei, in modo tale da restituire l’immagine di una persona reale, concreta, ambigua, e perciò Annette è anche la storia di questa performer straordinaria per come “avrebbe dovuto essere”, secondo i paradigmi porosi e malleabili della finzione. Ne abbiamo parlato con l’autore.
Elvira Del Guercio - “La pornografia è fatta per essere osservata, non vissuta”. Una frase su cui sono dovuta ritornare più volte, leggendo Annette. Se penso, però, alla riflessione che fai sulla possibilità di avvicinare il tuo amore per Annette attraverso la letteratura, è un’affermazione che quadra perfettamente: Annette mi sembra la storia di un’ossessione, di una passione, per come “avrebbe dovuto essere” e in questo c’è tutto il senso del libro. Dunque, la letteratura quanto te l’ha resa vicina? Ci sono stati momenti in cui il fantasma di Annette evaporava o spariva, in cui lo sentivi distante?
Marco Malvestio - L’idea è che il porno sia fatto per essere visto e non vissuto. Ovviamente non vale per tutti, ci sono tanti e tante che fanno porno e guardano porno, ma penso che il motivo per cui la maggior parte delle persone lo guardano stia proprio nel poter non fare le cose che vi avvengono. Il fantasma di Annette, come tutti i fantasmi della scrittura, a volte ha una consistenza quasi fisica e a volte sembra molto più spettrale. La mia paura principale, nello scrivere il libro, era che lei sparisse, che venisse fuori un personaggio di cartapesta. Anche man mano che scrivevo, ogni tanto, mi dovevo fermare, dovevo capire come Annette parla, come si muove, conferirle un volto che fosse il più possibile reale. La cosa importante è che per scrivere il libro non ho mai cercato la vera Annette. A differenza di quello che è successo dopo nella mia vita, non la conoscevo mentre scrivevo e non ho fatto nessuno sforzo per cercarla perché volevo lavorare solo con delle proiezioni e finzioni: le mie finzioni di lei e quelle di sé che fa lei stessa nei suoi film. Questo per me era vitale. La persona vera suscitava in me un interesse, per così dire, personale, ma non letterario.
EDG - Le pagine in cui parli della “sua” storia (quando, per esempio, Annette trova il volantino della casa di produzione nella discoteca) sono molto cinematografiche, con un ritmo molto serrato, e secondo me saranno state anche la parte più difficile da scrivere.
MM - Erano sicuramente la parte più difficile. Il romanzo era un romanzo-saggio, come l’ho chiamato spesso. Ma il saggismo, essendo la cosa che faccio per lavoro in università, so di saperlo padroneggiare. Quella è ancora la mia comfort zone. Quei pezzi lì, invece, erano più difficili anche perché il rischio per un romanzo del genere è che possa partire un po’ per la tangente e occuparsi d’altro. Io volevo continuare ad avere il mio focus su di lei, volevo fosse il suo bildgunsroman, come però invenzione del mio protagonista, perché, appunto, ciò che leggiamo non è una cosa che succede davvero. Ha senso quindi che siano cinematografiche: non sono solo immaginate da me come autore, ma anche dal protagonista che le fantastica, e che lo fa in conformità con un immaginario a volte di seconda mano.
EDG - Tutto quello che non c’è stato con Annette, l’hai potuto esperire nelle tue pagine. Un po’ come Hervé Guibert con le fotografie che non ha mai scattato. Ma in generale quali sono i tuoi riferimenti?
MM - Il libro ha una serie di modelli di lunga data: l’amore per una donna che non si è mai vista, costruendola come il proprio oggetto d’amore, fa parte ancora dell’amor cortese, e caratterizza la letteratura italiana da Petrarca e Dante in poi. In Italia, è una cosa che ha fatto tanto Walter Siti. Questo libro è anche appunto un esorcismo verso un certo modello sitiano che è anche un modello preponderante nelle università, lo scrittore che viene additato come il maggiore del nostro tempo e che quindi modello ingombrante con cui fare i conti. Lolita poi ha avuto grosso peso in Annette: non me ne ero resto conto finché non me lo hanno detto, perché in testa avevo semmai le ultime scene de L’educazione sentimentale di Flaubert, ma il finale di Annette è in fondo quello di Lolita. Tante cose di William T. Vollmann mi hanno ispirato, anche – Puttane per Gloria, Storie della farfalla…. Anche un dramma (poi un film) relativamente poco noto, M. Butterfly, parla proprio di questo, del desiderio di essere ingannati che si prova quando si è innamorati.
EDG - L'impianto di Annette è abbastanza stratificato: c‘è un po’ di saggismo, un po’ (presunta) autobiografia, e un po’ di finzione. Tre elementi complessi da bilanciare che, in realtà, nel libro trovano un equilibrio a partire dalla sincerità con cui tu esponi anche i tuoi dubbi, le tue paure e insicurezze. Arrivi anche a dire che, parlando della famiglia di Annette, hai probabilmente parlato anche della tua, seppure in filigrana. C'era fin dall’inizio quest’idea di unire più forme della narrazione o ci sei arrivato col tempo?
MM - Io penso che una delle cose più interessanti del porno sia il fatto che sia una cosa insieme molto finta e molto vera. Soprattutto per quanto riguarda porno mainstream. È un qualcosa di finto nel senso che il tipo di mondo che il porno disegna è un mondo che non esiste nella realtà, in cui tutto esiste solo in funzione della copula, di un accoppiamento senza difficoltà. Tutto nella narrazione del film è indirizzato a quello. È un mondo che non esiste. Le luci sono tanto posticce da essere quasi proverbialmente false. La recitazione del porno è l’esempio principe di cattiva recitazione. Le persone nel porno però si accoppiano sul serio. Sui set succede qualcosa di vero. Quando due attori normali fanno delle scene d’azione, si baciano, si sparano, è tutto finto; ma quello che succede sul set di un porno è reale, non è una copula simulata – e allo stesso tempo tutto negli strumenti formali del porno concorre a sottolineare la sua natura posticcia. C'è, al cuore della cosa, questo binomio tra artificio e realtà, e la forma che ho scelto io è una forma che cercava in un certo senso di rendere questo binomio. Ho dato al mio protagonista il mio nome e cognome, e allo stesso tempo niente di quello che gli accade è vero. Tutto è inventato. Non ho mai lavorato in Marsilio, mai fatto master in economia, l’unica cosa vera è che odio Venezia. Tra l’altro le informazioni biografiche di lui sono sconfessate già nella quarta di copertina, dove chiunque può leggere che faccio un altro mestiere. Però per me era fondamentale che si creasse questo equivoco. Che il lettore potesse dire questo è falso, ma allo stesso tempo sembra vero: per il lettore di Annette così come per lo spettatore del porno, la cosa in sé e l’artificio narrativo sono in qualche modo ossimorici ma indistinguibili.
EDG - A un certo punto, scrivi che nel porno c’è una componente performativa distante dalla realtà, in cui ci sono persone che fanno delle cose reali, concrete, che sperimentano piaceri e desideri in modo tale da riuscire a offrirci qualcosa di vero un’illusione di realtà, potremmo dire. Quanto, questa nozione, o meglio questo portato di verità, si conserva nel cosiddetto social porn, quello delle piattaforme come OnlyFans o altri siti dove lavorano i e le performer?
MM - Questa è una domanda molto interessante. Non ho affrontato queste cose nel libro perché Annette si è ritirata prima, ma sarebbe stato interessante. Trovo che lo sviluppo del porno oggi sia molto coerente con ciò che già succedeva prima. Quando hanno inventato il gonzo, tutto sommato, il resto è seguito un po’ da sé, anche se ci sono delle differenze importanti. Annette ad esempio all’epoca aveva il blog, che non uno strumento social, essendo unidirezionale; OnlyFans, con la customizzazione che si può fare del profilo è un’altra cosa. Nel social porn spesso l'impressione è che non si stia guardando porno per guardare uno spettacolo erotico, ma che lo spettacolo sia semmai l’intimità della coppia. Una cosa che si moltiplica con i social media normali. Puoi passare da Pornhub dove segui il canale di Danika Mori e poi passare su Instagram e vedere le storie di lei che si allena in salotto, che va a cena con il ragazzo e le amiche… Questa è una dimensione voyeuristica connaturata alla pornografia, ma che amplia notevolmente quello che un o una performer può scegliere di offrire ai suoi fan. A volte si ha l’impressione di comprare l’intimità di qualcuno. È più straniante.
EDG - Già ne parlavamo, ma le tue incursioni personali, o meglio quelle del Marco personaggio, sono le parentesi del tuo libro oltre che più divertenti, a mio avviso, anche più interessanti. La necessità di “spogliarti” davanti agli occhi del lettore si percepisce come stringente e profonda e immagino ti sia servita (anche) per elaborare il desiderio di e per Annette...
MM - Inserire elementi personali della vita del protagonista ha valore nella misura in cui serve a rimarcare la superiorità della finzione sulla realtà, perché il libro parla del fatto che le cose che ci inventiamo sono sempre più desiderabili di quelle che avvengono davvero. Per me era importante che all’immagine fantasmatica ma totalizzante di Annette facessero da contraltare delle persone reali che fossero meno desiderabili di lei per il protagonista non in quanto “inferiori” a lei, ma proprio in quanto reali. Noi possiamo essere soddisfatti della realtà fino a un certo punto.
EDG - Leggendo il tuo libro ho pensato ai rapporti problematici tra l’artista e la musa nella storia dell’arte: Montale e Irma Brandeis, Stiglitz e Georgia O’Keaffe, per fare giusto qualche esempio. In quei casi però c’era uno squilibrio di forze evidente: il maschio cristallizzava la donna in un’immagine che era solo sua, spesso in una posa vuota di intensità, inerme, privandola quindi di una sua agency. Tu invece racconti l’immagine che hai di Annette, riuscendo a renderne anche la plasticità, l’evidenza, ma soprattutto l’incidenza sulla realtà. Ti ci ritrovi?
MM - Annette è una musa nel senso diverso dagli esempi che hai portato, perché quelli sono casi in cui c’è un artista maschio che cannibalizza la donna. Non è stato il caso di Annette. Non la conoscevo di persona. È una musa nella misura in cui lo può essere un’immagine, un cartellone. Di nuovo, la mia paura era di schiacciare una persona vera sul fantasma del mio desiderio, anzi, su quello del protagonista. Avevo paura di non riuscire a dare forma a una persona reale, che venisse fuori un fantoccio pornografico. Un rischio che ho corso, e in cui qualcun altro sarebbe caduto, perché è un modo tipico di parlare di porno specialmente in Italia, sarebbe stato di fare Annette non una persona ma un’allegoria. Una dea del sesso e della seduzione. Io volevo che Annette venisse fuori come una persona normale, che facesse comunque qualcosa di straordinario, come la notorietà che ha ottenuto, che è per l’appunto straordinaria. Allo stesso tempo, però, è una persona normale, nel mio romanzo.
MM - Il tipo di pornografia a cui ti riferisci, un prodotto fatto da attivisti con un’esplicita intenzione ideologica, esisteva già da lungo tempo. Io penso che questo tipo di rivendicazioni si facciano anche nel porno mainstream. Ci sono personaggi (Lorely Lee, Dana Vespoli, Sasha Grey) che adoperano il porno con questo fine, ma è chiaro che si tratta di un gesto personale. Il gesto degli attivisti è senza dubbio più un gesto collettivo. Io penso anche che il porno mainstream sia qualcosa che anticipa quello che succede nel resto della nostra società di parecchi anni, e quindi il tipo di molteplicità di rappresentazione che si trovava già un tempo nel porno normale, non ideologico, segnala anche che il capitalismo è molto neutrale quando si parla di rappresentazione, purché non si parli di problemi strutturali.
Sicuramente oggi questo tipo di pornografia come strumento politico è molto più presente rispetto a dieci anni fa, è fatta da più persone, con più visibilità; poi ovviamente bisogna capire, come per tutta l’arte impegnata, se ha più valore in quei prodotti lì il messaggio o l’aspetto formale. Io poi non voglio dare giudizi estetici; per esempio io amo molto Ashley Vex, credo sia un grande artista e regista porno, mentre ci sono altri registi e registe che mi lasciano sinceramente più freddo. Poi di nuovo, come in tutti i campi, il rischio che le esigenze di impegno portano con sé è quello del contenutismo: non basta un cast più diversificato per fare un prodotto di qualità, così come non basta scrivere un libro con protagonista immigrato per parlare seriamente di immigrazione. È un bene però che ce ne siano.
EDG - Questa cosa si vede molto anche in un certo cinema “impegnato” che vuole fare vedere delle cose e anche lì rivendicare qualcosa di silenziato e taciuto ma lo fa spesso senza struttura, complessità, ambiguità. E il fatto che si perda l’ambiguità nelle narrazioni è problematico perché si toglie una parte fondamentale...
MM - Senz'altro è vero. Va detto che la pornografia non è, di norma, lo spazio dell’ambiguità ideologica. Penso vada la pena riflettere su questo: quello che si sta cercando di fare è un film porno che ha come scopo eccitare lo spettatore o si ha intenzione di fare un gesto politico? Non è che le due cose non possano coincidere, però è chiaro che a volte si sfocia più nel campo del film d’arte, del cinema militante, che nella pornografia. Penso sia una sfida complessa, e perciò molto stimolante, riuscire a insieme a fare riflettere e a suscitare desiderio.
EDG - Qualche volta mi trovo a parlare con persone che trovano molta difficoltà a entrare nell’ottica della queerness con cui ci si approccia oggi alla sessualità e al porno. Spesso mi viene detto: se mi eccito e provo piacere guardando il porno mainstream, o con pratiche sessuali standardizzate, perché non dovrei dirlo a gran voce, o anche rivendicarlo, appunto? Oppure, se una donna, come Annette anche, cerca la sottomissione perché le piace, come hai più volte fatto intendere, perché poi questa dovrebbe depotenziare il suo potere decisionale?
MM - Quello che secondo me si vede nella carriera di Annette, e forse di più in quella di Sasha Grey, è anche di fatto il controllo e il potere che si possono guadagnare dalla sottomissione. Prendiamo il tipo di porno fatto da Annette con John Thompson, in cui c’erano per lo più grandi scene di massa: da un lato, c’è una dimensione di degradazione; dall’altro, è chiaro che tutto avviene solo ed esclusivamente per la donna, in funzione della donna, e non è che questo non sia empowering – un’orda di maschi omega chiamati a pagare tributo alla donna intorno a cui ruota tutto. Poi certo, è anche problematico, così come tutto il sesso. Detto questo, le scelte sono anche individuali. Chi desidera farsi trattare in un certo modo, donne o uomini, alla fine lo fa perché gli piace: se le cose poi ci piacciono perché ci piacciono o perché siamo indotti a farcele piacere, questo è un discorso davvero più ampio della sola pornografia… E del resto vale la pena di chiedersi se la differenza è davvero importante. Per cui sì, ecco, la pornografia in senso assoluto è ovviamente problematica perché mostra i corpi come merce - perché spesso nella pornografia mainstream avvengono cose che perpetuano un certo tipo di dinamiche - ma allo stesso tempo non è detto che queste cose non piacciono alle persone che le fanno. Questi sono i pericoli del sesso che si riverberano nella rappresentazione del sesso.
EDG - Il sesso è problematico. Oggi ci è insegnato a viverlo in maniera non problematica, sempre comunque sicura, dove non ci debbano essere errori, delle cose che non vanno. Non so se segui My Secret Case: come ha detto un nostro amico comune, è proprio la polizia del sesso. Hanno una facciata di liberalizzazione del sesso che poi in realtà trasmette molta ansia.
MM - Peggio di “vietato scopare” c’è solo “obbligatorio scopare”. Sì, certo, è una tendenza che c’è tra tanti attivisti online; penso che nel complesso sia positivo perché, tutto sommato, è meglio così che col senso di colpa cattolico con cui siamo cresciuti. Però sicuramente è una narrazione falsa, questo tipo di cose sono belle quando sono complicate, e proportele senza contorno diventa un modo per venderti qualcosa, il che inevitabilmente anestetizza l’erotismo. Di fatto, il continuo parlare di sesso, il parlarne sempre in maniera controllata, con una tassonomia rigida puntuale e capziosa, dei ruoli precisissimi, vademecum molto educati per qualsiasi pratica – tutto questo è un modo per anestetizzare le differenze. Il modo in cui noi mettiamo fuori questa cosa è un modo per anestetizzarla.
EDG - Anestetizzare il desiderio.
Il desiderio è problematico. Non è che se diciamo subito le cose, se ti presento una lista delle cose che puoi farmi e non farmi, allora risolviamo tutto, rimuoviamo la possibilità che tu mi faccia del male. Metto in realtà dei paletti per impedirti di arrivarmi davvero vicino, è un modo per allontanare l’altra persona; ma uno dall’amore, dal sesso, dal desiderio, vuole proprio qualcosa che sia in grado di fargli del male. Poi è chiaro, come sopra: meglio questo che crescere senza la minima parvenza di educazione sessuale. Per quanto criticabile, da questo tipo di attitudine al sesso beneficiano tutti. Io non sono come Houellebecq che dice che abbiamo liberalizzato il sesso e quindi siamo in uno spazio di lotta contro tutti, però, ecco, non si può neanche pensare che sia un processo neutro. Non è che se ora parliamo di una cosa ad alta voce i problemi legati ad essa spariscono.
EDG - Un’ultima domanda. Più volte dici di essere ossessionato da Annette. Secondo te qual è la differenza tra ossessione e amore?
MM - Per amare qualcuno bisogna conoscerlo. Non si può amare alla cieca, senza conoscere l’oggetto del nostro amore. Essere ossessionati sì. Il mio protagonista si dice innamorato di Annette, ma ovviamente non lo è. Si tratta dell’amore dello stalker, che non è amore come lo intendiamo noi. Alla fine del mio libro, loro si incontrano e lui le chiede cos’è l’amore: lei gli risponde che l’amore è una cosa reciproca.